di Severino Saccardi


Ci sono momenti in cui, in condizioni di difficoltà personale, capita di trovarsi immersi in contesti che, direttamente, ci fanno capire quanto grande sia l’esigenza di una risposta ai bisogni dei settori più fragili della nostra società. Bisogni ai quali dovrebbero fare prioritariamente attenzione le istituzioni e la politica. Ma una importante azione complementare è svolta da vitali realtà della società civile (come quelle presentate in questo volume) che, con il loro operato, fondato sul sentimento della misericordia e sul valore della solidarietà, forniscono un importante contributo alla lunga marcia dei diritti umani.


Quando cominci a guardarti attorno
Capita, non poche volte, di rendersi conto come, talvolta, l’esperienza personale ci avvicini alla sostanza e all’urgenza delle cose, assai più di tante raffinate analisi del mondo in cui ci troviamo a vivere. Posso darne testimonianza, a partire dal mio recente e attuale vissuto. Si tratta di una vicenda, la mia, come tante, che purtroppo accadono e con cui ci troviamo a fare i conti. Una vicenda cui, nei miei spazi social, ho fatto solo un sobrio accenno perché (a differenza di un costume ormai invalso), continuo a ritenere giusto distinguere il privato dallo spazio pubblico. Qui ne parlo solo perché mi pare utile per introdurre il discorso e il tema di cui in questo volume ci occupiamo. Veniamo al dunque.
Come sanno i tanti amici (che, con affetto e anche fattivamente mi sono stati accanto e che qui ancora ringrazio), a fine maggio ho avuto un incidente di non poco conto. Una brutta caduta. Una di quelle situazioni in cui di corsa devi essere portato in ospedale, ricoverato e poi (dopo qualche giorno, nel mio caso, operato). Quella dell’ospedale, come molti sanno, è una esperienza non da poco. C’entra la situazione fisica del tuo corpo, che ha bisogno di assistenza e di lenimento, ma anche lo spirito (il morale, la psiche, usiamo il termine che vogliamo), ha da affrontare una prova non indifferente. Devi fare i conti con te stesso. Fare appello a una forza d’animo che non sapevi nemmeno di avere e che a volte ti soccorre e, a volte, ti viene meno. E poi, cominci a guardarti intorno.
Della sanità pubblica si sente molto parlare di questi tempi. Per i suoi limiti e le sue carenze, certo. Per la mancanza di investimenti e per la lentezza.
Si pensi alla questione esasperante dei tempi per gli esami diagnostici e alle vistose insufficienze della medicina territoriale e di base. Eppure, c’è anche un’altra faccia della medaglia. Lo si può sperimentare da vicino. Come è occorso a chi scrive. Nonostante una situazione strutturalmente critica, dove più, dove meno, c’è anche un altro dato da tener presente: nel nostro Paese, ci sono numerosi bravi medici, infermieri, operatori sanitari che lavorano bene (o molto bene, con punte di eccellenza) e sanno prendersi cura di chi è loro affidato. Così è, del resto, in tante realtà. Si pensi alla scuola. Un’istituzione che vive una situazione particolarissima di crisi di identità, di carenza di risorse e, talora, di autorevolezza, persino. E che, pure, come sa chi ne conosce più da vicino la realtà, è arricchita dall’impegno meritorio di non pochi bravi insegnanti, il cui lavoro è misconosciuto.
Tornando a parlare dell’ospedale, va detto che, a chi si trova ad essere ricoverato, sgomento e preoccupazione per la propria situazione personale a parte, viene comunque da guardarsi attorno. Oltre alla tua sofferenza fisica, ci sono i tuoi compagni di stanza o di reparto, con cui inizi a prendere confidenza, cogliendo elementi di criticità di cui normalmente ignori, o nemmeno immagini l’esistenza.

Solitudini del nostro tempo
Percepisci così il gravame di problemi, di lacerazioni, di ferite interiori, di difficili situazioni individuali, abitative, familiari che tante persone portano con sé. Prendono corpo le solitudini del nostro tempo. L’ospedale, in cui a nessuno piace essere ricoverato perché «quando c’è la salute c’è tutto», si sarebbe detto, saggiamente, una volta, in certi casi, esercita un ruolo quasi di supplenza, dando di fatto sostegno anche alle fragilità sociali. Non è poco. Sia lode, per questo, pur con tutte le sue insufficienze, alla nostra sanità pubblica. E poi? Chi se ne occuperà? Chi avrà un po’ d’attenzione per loro? In tanti, troppi casi, risposta non c’è. La politica e le istituzioni dovrebbero, forse, in merito, porsi qualche domanda in più. E dare, soprattutto, risposte più credibili. L’ospedale in cui, ripeto il concetto, nessuno vorrebbe di per sé andare (ma la vita a volte, decide per noi), è anche un luogo in cui si impara. Ci sono lezioni che ti vengono impartite; incroci frammenti insospettabili di esistenze altrui. Un mio compagno di stanza, che qui chiameremo con il nome immaginario di Dario, era persona sensibile, colta, gradevole e attenta. Sapeva (anzi, sa, naturalmente, anche se ora non so dove si trovi) parlare di musica e di cinema. Amava (anzi, ama) i buoni libri e la buona compagnia. Mi ha fatto un po’ da punto di riferimento nei momenti difficili. Nella vita «normale» (prima del ricovero, e, temo, anche dopo) vive in strada. È un «senza fissa dimora», come si dice. È un uomo tranquillo, pacifico e, direi, per vocazione, non violento. Vive nella marginalità, ma non approva i marginali che commettono reati a danno degli altri. Essere dotati di sensibilità non sempre è una caratteristica che paga. Dario, per come l’ho conosciuto, ha un carattere buono, che non gli ha portato fortuna nella vita. Dall’ospedale, durante il suo lungo ricovero, ha ricevuto non solo cure, ma anche in qualche modo, protezione e alloggio. Così sarà magari, più o meno, anche per un periodo successivo, se verrà destinato ad una struttura di riabilitazione. Ma dopo, a meno che non riceva un’assistenza sociale adeguata, verrà riconsegnato al suo destino. Forse, non per volontaria cattiveria da parte di nessuno, ma per forza d’inerzia, potrebbe andare alla deriva. Così può succedere, e succede, anche in tanti casi, per così dire, meno estremi. Il nostro è un mondo pieno di bisogni sociali, di fragilità esistenziali e umane, di vite segnate dalla penuria di risorse materiali e di relazioni umane. Bisogni a cui spesso non viene data risposta o che ricevono comunque risposte parziali o inadeguate. Non è un caso se tanti cittadini e cittadine, pur sbagliando, certo, non hanno più fiducia nella politica. La politica sembra vivere in un suo mondo, staccato dalle esigenze della gente. È a partire da questo sentimento di delusione che nasce e cresce il consenso di cui (in maniera apparentemente inspiegabile) si giovano le forze populiste. Certo, muoversi a compassione per la sorte altrui non fa parte delle prerogative della politica. Ma rispondere e dare rappresentanza, ai bisogni e alle contraddizioni della società nel suo complesso, sì. Come diceva don Milani, in modo ineguagliabile: «Uscirne insieme è la politica». Ma al di là dei tempi, e spesso dell’ingiustificabile latitanza della politica, c’è intanto necessità di risposte più tempestive ai problemi ampiamente diffusi nella società. Di samaritani c’è bisogno più che mai. Non solo in termini religiosi, ma anche in anche in senso civile e laico, la compassione e la misericordia sono sentimenti importanti. Non solo ingentiliscono l’animo umano, ma contribuiscono a civilizzare la società. Un riferimento trasversale alla dimensione della misericordia, di fatto, se si va a rileggerne i contenuti, percorre anche le riflessioni e i contributi degli autori che hanno collaborato alla realizzazione del volume di «Testimonianze» su L’attesa della povera gente del villaggio planetario1. Un’attesa a cui, alla fine sempre lì torniamo a battere, sarebbe prioritariamente compito dei poteri pubblici dare risposte.

Per antica tradizione
Ma una strada da percorrere è indicata, da sempre e per antica tradizione, da esperienze germinate dal cuore pulsante della società medesima. Da associazioni, organizzazioni, enti, confraternite che, di fatto, sia pure a partire da matrici culturali assai diverse, trovano la loro ragione sociale di esistenza nella pratica delle opere di misericordia. O, meglio, come forse più adeguatamente potremmo chiamarle, nelle opere di solidarietà. Sono commendevoli le spinte che muovono alla compassione e alla misericordia. Ma, a volte, sembrano quasi implicitamente rimandare all’immagine di chi, sia pure meritoriamente, si piega, in maniera caritatevole, e con un qualche nascosto sussiego, sull’altro. La dimensione della solidarietà è diversa. Le storiche associazioni operaie erano denominate società di mutuo soccorso. Si tratta di una dimensione che dà aiuto e cerca di offrire risposte alla sofferenza altrui, ma educa anche. Fa apparire come normale l’idea che, quando il bisogno sarà attenuato, toccherà anche a chi è stato aiutato di dare una mano agli altri. Sono esperienze in cui non si parte davvero da zero. C’è tutta una storia della cultura della solidarietà di cui, per fortuna, la nostra società è ricca. Cooperative, leghe, misericordie, pubbliche assistenze, fratellanze, onlus, organizzazioni no-profit, associazioni del Terzo Settore. C’è una memoria da recuperare, ci sono percorsi da ricostruire e c’è la presenza, nel mondo attuale, di non poche esperienze di volontariato e di solidarietà operante. Alcune si pongono come continuazione meritoria di realtà che molto hanno fatto per il bene comune e per il soccorso nei confronti del prossimo. Altre sono di formazione più recente e tentano, talora, strade nuove per servire, comunque, una buona causa. Un patrimonio di volontariato, di spirito collaborativo, di strategie (a volerne sintetizzare il senso), tese a rendere più accettabili e più vivibili (più giuste) quelle porzioni del mondo in cui ci si trova ad operare. In questa sezione tematica abbiamo dato spazio e opportuno rilievo ad alcune rimarchevoli e paradigmatiche esperienze. A partire dalla colossale realtà dell’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa. Un pezzo significativo della storia di Firenze (e non solo), del Quartiere di Rifredi, di tutti coloro che dell’accoglienza lì garantita hanno beneficiato e di chi a quell’originale percorso (legato alla lezione indimenticabile di don Facibeni) ha contribuito. Un impegno che continua, con modalità e dimensioni consistenti, a cercare risposte al disagio, che oggi percorre, in forme specifiche e preoccupanti, il mondo giovanile.
E poi c’è la Comunità di S. Egidio, la quale, in tutte le sue ramificazioni ed espressioni, ha fornito e continua a fornire un fondamentale contributo alla cultura della pace e del dialogo, e all’assistenza delle persone in difficoltà. Un’altra storia importante è quella di Mani Tese, che qui viene sinteticamente riproposta, e del suo perdurante impegno, di carattere prettamente non ideologico, per la giustizia e per la costruzione di una rete di solidarietà. Alla dimensione globale (sempre chiara, anche se implicita) rimanda il discorso di Oxfam. Per inciso, mi piace ricordare quando con UCODEP di Arezzo «Testimonianze» ha avuto un fattivo rapporto di collaborazione negli anni del Progetto Archivio Sviluppo.

Nella lunga marcia dei diritti umani
Questa è, alfine, dopotutto, la posta in gioco: dare spazio e far guadagnare terreno, in un mondo dominato dalla logica del conflitto, della guerra e della competizione selvaggia, ai valori della libertà e della giustizia. I quali, però, come papa Francesco aveva così fortemente sottolineato, hanno da essere innervati nell’esperienza vitale della fraternità2.
Non si tratta solo di combattere, in questa direzione, una battaglia politica, culturale e ideale. Anche, certamente; ma c’è bisogno, inoltre, di esperienze concrete e vitali che, sia pure a partire da identità diverse (animate da spinte di carattere religioso e/o civile) siano in grado di dare, nel cuore della società, un contributo fattivo al cambiamento, in positivo, della realtà. Di questo si nutre, anche, la lunga marcia dei diritti umani3. Il samaritano, la cui figura qui richiamata in senso del tutto «laico», sia ben chiaro, si muove e dà il suo esempio, ponendosi al di fuori e al di là delle logiche della politica. Ma su quell’esempio dovrebbe forse, pur nella distinzione dei piani, tornare a riflettere una politica orientata ad operare per il bene comune.

1 L’attesa della povera gente del villaggio planetario è il titolo della sezione tematica del volume 557-558 di «Testimonianze» (a cura di Fabio Dei, Severino Saccardi, Simone Siliani, Giacomo Trentanovi).
2 V. in prop. Libertà Fraternità, Uguaglianza. Valori alla prova del mondo globale (sez. tematica a cura di Miriana Meli e Severino Saccardi), «Testimonianze» n. 539.
3 V. in prop. E. Balducci, La lunga marcia dei diritti dell’uomo, in «Testimonianze» nn. 481-482.