Prima Sessione: 09/04/2022
Intervento di Enzo Bianchi

Grazie, anzi ringrazio per l’invito che mi è stato fatto e che ho accettato con convinzione, con gioia, perché padre Ernesto Balducci resta per me, veramente, un maestro e un amico. Io ho avuto la grazia di appartenere alla generazione dopo Balducci, una generazione nella quale ho potuto avere veramente come amici un gruppo di uomini di Chiesa straordinari. E non dico tanto le figure direttamente ecclesiali come posso aver avuto nel cardinal Pellegrino, ma penso a quelli che sono stati veramente amici con me, ed eravamo amici tra di noi: padre Turoldo, Raniero La Valle, Alberigo, padre Calati. Ci trovavamo sovente insieme, ho avuto una grande assiduità con loro, ci trovavamo in seminari, in convegni, venivano a Bose. Io più volte sono venuto alla Badia fiesolana, anche a predicare esercizi, come mi chiedeva padre Ernesto Balducci, ma devo dire che tra tutte le figure, padre Ernesto Balducci era quella che sentivo più vicina a me, più delle altre, perché in qualche misura c’era una sensibilità ecclesiale e soprattutto di dialogo col mondo che ci accomunava. C’era una diffidenza verso il mondo devozionale che ci accomunava, c’era una diffidenza verso ogni forma di clericalismo che ci accomunava, per cui io devo dire che Balducci continuo a leggerlo e altri no. Li ricordo con simpatia, Balducci continuo a leggero e per me resta davvero un grande amico, non solo, forse il primo che avesse in bene la comunità di Bose, la fiducia e la speranza, scrivendo, con la pagina dell’esodo del primo gennaio del 69, dopo aver passato una settimana con noi, in quell’inverno, una pagina che resta la più bella e credo la più vera scritta su di noi e su quello che era un abbozzo di progetto, ma perché anche umanamente ci trovavamo bene insieme e credo, a partire dall’atteggiamento della condivisione di una bontà sobria della tavola, di un calice di vino e del buon pane. Padre Balducci aveva questa capacità dello stare a mensa e del mostrare tutta la sua simpatia e la sua amicizia, quindi veramente un amico con cui ho condiviso ciò che di umano può esserci, di più significante, autentico, in una persona. E quello che mi colpiva di Balducci (io avevo ancora avuto la fortuna tra l’altro di conoscere ed incontrare La Pira), quello che ricordo in Balducci, oltre quell’assillo per la riforma della Chiesa, era man mano, da quando io l’ho cominciato a conoscere nel 66, la fede nel Concilio fino agli ultimi anni, un allargamento sempre più del suo interesse dalla Chiesa all’umanità.

È stata veramente una crescita, l’orizzonte che si allargava. Se nel dopo Concilio era la riforma della Chiesa – e ricordo la battaglia che abbiamo fatto insieme con lui contro il progetto di una costituzione della Chiesa voluta da Paolo VI, e come sapemmo opporci, un piccolissimo gruppo, finché quella costituzione per fortuna è mai avvenuta e non è stata approvata, che sarebbe stato veramente un disastro per la Chiesa darsi una costituzione, sarebbe la mondanità più rara –, man mano lui accresceva davvero l’interesse per l’umanità, per le culture che allora si chiamavano del terzo mondo, per l’altro, la diversità, e quando alcune volte siamo stati insieme, anche in Francia, a la Tourette, il famoso convento di Le Corbousier dove c’erano i domenicani che facevano questi dialoghi con il mondo e con le altre religioni quando in Italia, addirittura, c’era diffidenza per tutto questo, lui riusciva benissimo già a forgiare l’idea che sarà poi l’uomo planetario. Che va al di là dell’uomo planetario (ha poi vinto in realtà la globalizzazione), è l’uomo planetario come profezia positiva di un movimento che si stava instaurando, che vedeva cadere la frontiera tra Est e Ovest dopo gli anni di Guerra fredda, che permetteva di vedere l’umanità in convergenza per la pace, la giustizia e i grandi valori che Balducci diceva, come me, essere quelli dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, mettendo però in evidenza, rispetto alla triade repubblicana, che al primo posto deve stare la fraternità, perché se non c’è la fraternità non ci sarà neanche l’uguaglianza e la libertà. Balducci era veramente un uomo visionario, un uomo della chiarezza.

Certo, il credente, quando uno legge ancora il commento di Balducci al Vangelo di Giovanni, pur non essendo Balducci un esegeta, non era un uomo che si dava agli studi di esegesi, viene davvero ancora colpito dalla capacità di lettura spirituale di quell’uomo, nella fede. Certamente, l’esempio di papa Giovanni l’ha forgiato a questo dialogo sul mondo, al tema della pace, e proprio l’espressione che prima veniva ricordata è proprio quella di papa Giovanni nella Pacem in Terris, che la guerra è irragionevole, non può venire, sta fuori dello spazio della ragione. Questa era la posizione, che non può essere semplicemente classificata pacifista, è una posizione a favore della pace, una pace attiva, una pace a caro prezzo, una pace che deve essere perseguita ad ogni costo, perché convinta che la guerra è irragionevole, che la guerra è davvero sempre un’inutile strage, perché quelli che sono morti in guerra lo sono morti per sempre e a loro chi restituirà la vita? Sono vittime per sempre, questo dobbiamo metterci in testa, e metterci sempre noi al posto delle vittime, non semplicemente ragionare della guerra dall’esterno, perché se ragioniamo della guerra dall’esterno andiamo sulla linea, sul tracciato se la guerra è giusta o no, discorso che padre Balducci non sopportava, perché una guerra è sempre ingiusta. Quindi, padre Balducci aveva questa grande capacità, e quando negli ultimi tempi l’attenzione era soprattutto sull’uomo, certamente poteva lasciare turbati o sbigottiti come quella pagina che prima abbiamo sentito in cui si dice che, certamente, ognuno pensa a un dio suo universale, ma che in realtà noi dobbiamo abbandonare questa frontiera se vogliamo il dialogo con gli altri e accettare che ognuno legittimi la sua verità, la pensi, ma che nel dialogo io devo accettare che l’altro definisca la sua verità, dica la sua verità e devo rispettarla come sua verità, né devo avere atteggiamenti di proselitismo per forzarlo perché lui accetti la mia verità. Questo non è sincretismo o irenismo, come l’hanno sovente accusato. Io devo dire che al momento del funerale ero in Santa Maria del Fiore e non sono stato molto contento, invece, dell’atteggiamento della Chiesa, perché, certo, non ci sono state parole negative su di lui, e a un certo punto si è evocato il giudizio futuro. Io avrei voluto che si riconoscesse che è stato un profeta che non sempre abbiamo capito.

Paolo VI, con molta onestà, ha saputo dire per don Mazzolari: «Noi non abbiamo capito, andava avanti, troppo avanti e troppo più veloce di noi e noi non l’abbiamo capito». Ecco, questo io spero almeno che la Chiesa dica, non fece irenismo: non l’abbiamo capito. Era un uomo integerrimo, non gli si poteva fare nessuna accusa di niente, una vita sobria, una fedeltà alla Chiesa cattolica e alla fede. Certamente era soprattutto un cristiano e uno di quelli che se ci fosse oggi io penso direbbe con me che parlare di Dio è insufficiente, che Dio è una parola insufficiente, che non è più sufficiente. Lui sì direbbe questo, perché come cristiani Dio non ci basta, ma diremmo che a livello di dialogo con l’umanità è l’uomo nella sua nudità che ci fa tutti fratelli e tutte sorelle ed è lì che noi dobbiamo cercare di vivere su questa terra, sulla quale siamo coinquilini e abbiamo un’unica chiamata, un’unica vocazione alla giustizia, alla libertà, alla pienezza di vita. Lui aveva questa convinzione forte, per lui veramente c’era questo primato dell’uomo e il cammino di umanizzazione che trovate sovente nei miei scritti non è così presente in lui, ma l’idea io la devo a lui, è lui che è stato maestro in me a farmi vedere che, se c’è una via da perseguire, è l’umanizzazione e su quella via possiamo trovarci tutti e le diversità sono un arricchimento, non sono un motivo di scontro o di violenza, ma un arricchimento per un’umanità che sia il più possibile ricca, il più possibile in pienezza di vita.

Questo mi sento di dire di Balducci. Oggi, se ci fosse, sarebbe inorridito da questa guerra e state tranquilli che non sarebbe appiattito su un pensiero unico, come si vuole in questo momento in Occidente, perché indubbiamente c’è un’aggressione, c’è un popolo aggredito, ma c’è anche una guerra combattuta per procura, perché il vero scontro è di nuovo uno scontro di civiltà, è uno scontro, se diciamo la verità, tra Oriente e Occidente e ci sono addirittura, purtroppo, quelli che vogliono che questa guerra sia santa, giusta, e la vorrebbero una guerra teologica, da una parte l’anticristo e dall’altra parte il bene, e non è solo il patriarca di Mosca, perché gli altri contendenti, anche le autorità religiose delle altre confessioni cristiane dicono le stesse cose. Si maledicono a vicenda l’uno contro l’altro, cosa che noi speravamo fosse definitivamente tolta da quelli che sono i vessilli delle guerre. Dio non fa la guerra e non sta con gli uni o con gli altri. Dio, nella guerra, deve solo aver pietà di noi che ci uccidiamo. Grazie.