Terza Sessione: 19/05/2022
Intervento di Severino Saccardi (accompagnato da diapositive)

Grazie a Nicola Landucci, grazie al Consiglio Regionale della Toscana, non solo per l’ospitalità ma per la promozione comune di questa giornata. Devo dire, se posso fare una nota personale, che mi sento proprio a casa, perché ho fatto per una vita l’insegnante, sono contento di essere insieme a tante ragazze e tanti ragazzi come ci sono questa mattina; ed è bene che sia così, cioè che qui siate in tanti. Dopotutto, i problemi di cui parliamo stamani sono affidati soprattutto alle generazioni vostre, che saranno protagoniste del tempo che viene. Sono stato anche, per una legislatura, consigliere regionale ed ero seduto da quella parte lì dell’aula. Sono dunque, doppiamente a casa ed è una sensazione che ho piacere di condividere con voi. Qui siamo in un luogo, come diceva Nicola Landucci, di cui va capita la rilevanza, perché è il Parlamento regionale della Toscana, quello che anche voi voterete, scegliendo i vostri rappresentanti. Qui abbiamo (e lo ringrazio molto di essere presente) anche un ex presidente di Regione, Vannino Chiti: è stato un importante e bravo presidente in Regione. E poi con noi, ad aiutarci a riflettere, sul tema di questa mattina – Anni 2000: un mondo in armi – abbiamo amici ed esperti importanti: Giorgio Beretta, della Rete italiana Pace e Disarmo, uno studioso dei problemi degli armamenti e dell’impegno per il disarmo; Gianni Criveller, che è un missionario PIME, grande conoscitore della Cina, del Myanmar, di questa parte dell’Asia di cui noi abbiamo spesso notizie approssimative. Ha tradotto – ma ce lo dirà lui – in cinese libri importanti come L’obbedienza non è più una virtù di don Milani, che è un libro che parla di tutti questi temi (la pace, la nonviolenza, il rifiuto della guerra) di cui questa mattina siamo a discutere; abbiamo in collegamento da Roma Marta Dassù, direttrice della rivista «Aspenia», anche lei grande studiosa ed esperta di problemi internazionali; e poi abbiamo Gigi Riva. Gigi Riva non è il calciatore, eh, non vi fate imbrogliare. Gigi Riva è stato responsabile della rubrica Esteri della rivista «L’espresso» e, a parte questo, ha scritto su tanti altri temi: ad esempio, un libro bellissimo e drammatico su Nembro, uno dei primi paesi che sono stati investiti dalla pandemia, e sul piccolo mondo flagellato dall’irrompere della malattia ha scritto delle pagine veramente bellissime. E, dunque, stamani di che cosa siamo a parlare? Di quello che veniva anticipato dal titolo e dal dépliant del Convegno. Noi parliamo (all’interno del Convegno Se vuoi la pace prepara la pace 2022) di un tema specifico: parliamo delle armi e del disarmo, ieri pomeriggio abbiamo parlato dei diritti umani nel mondo, cioè del rispetto delle libertà nel mondo, oggi pomeriggio parleremo dei migranti e dei profughi che vengono creati dalle guerre, come quella dell’Ucraina, come quella della Siria, dell’Afghanistan, o dai cambiamenti climatici (che rappresentano un problema reale e grande: come vedete, siamo a maggio e sembra di essere ad agosto, c’è qualcosa che non funziona) che creano desertificazione, che impoveriscono l’agricoltura e spingono le persone a muoversi. Su questo bisogna riflettere e siamo a qui a farlo: bisogna muoversi per cambiare. E poi gli amici bravissimi che interverranno dopo di me ci aiuteranno a capire quello che, con padre Balducci, di cui ora vi parlerò velocemente (anche per immagini, proiettando delle slides, perché può essere utile usare più tipi e forme di linguaggio), e con i convegni Se vuoi la pace prepara la pace che abbiamo promosso fin dagli anni 80, crediamo di avere capito. Che cosa, esattamente? Che la pace non è solo un’assenza di guerra. Certo, noi in Europa – anche se poi c’è stato il dramma della ex Jugoslavia, ora c’è questa tragedia dell’Ucraina – abbiamo vissuto decenni di pace, e questo è importante. Ma perché la pace abbia fondamenti bisogna che ci sia il controllo degli armamenti, un processo di disarmo, il rispetto dei diritti umani, la giustizia, il rispetto delle libertà. Altrimenti, la pace non ha sostanza e non ha stabilità. Ecco perché articoliamo questo discorso (quello del tema-pace) in tanti temi, quelli che anche voi a scuola studiate nella vostra attività di Educazione civica (del resto, anche noi, insieme, oggi stiamo facendo qualche ora di Educazione civica). È una dimensione importante che va appresa, capita, approfondita. Allora, andiamo ad occuparci di Ernesto Balducci, di cui siamo a ricordare il centenario della nascita e anche il trentennale della scomparsa, perché morì purtroppo improvvisamente nel 1992 in seguito a un incidente stradale. Prete, uomo attento al dialogo con persone di tutte le religioni, con i non credenti, per cercare strade comuni per costruire un mondo migliore. Grande scrittore, conferenziere e uomo della parola di grande livello. Qui lo vedete con il nipote adottivo, Simone. Quel nipote adottivo è un bambino latino-americano, di origine amerindia, e Balducci, oltre all’affetto normale per un nipote, sembrava riversasse su di lui quasi una specie di affetto speciale, risarcimento per quanto questi popoli poveri hanno dovuto e spesso devono ancora soffrire. Questa è quasi una foto-simbolo, oltre ad essere bellissima per questo suo sorriso aperto. Ernesto Balducci, che è diventato un personaggio famoso, importante, stimato, aveva però origini povere. Noi abbiamo ricordato, noi di «Testimonianze» (la nostra rivista, «Testimonianze», è stata fondata da Balducci nel lontanissimo 1958, una rivista che a Firenze ha fatto un pezzettino di storia, credo) con gli amici della Fondazione Balducci –– Balducci a Santa Fiora. Balducci veniva da Santa Fiora. Santa Fiora è un paesino del Monte Amiata, bellissimo, e un tempo poverissimo. Paese di minatori. Balducci era figlio di minatori, e raccontava come il babbo facesse, per andare alla miniera, 14 km all’andata la mattina, a piedi naturalmente, e 14 al ritorno. Un ambiente in cui la vita era dura, ma in cui però non mancava mai la speranza di un mondo migliore. Vedete questo personaggio qui. Questo personaggio fa parte della memoria e delle radici storico-culturali di Ernesto Balducci. È David Lazzaretti. Personaggio dell’Ottocento, sepolto nel cimitero di Santa Fiora a pochi passi da Ernesto Balducci. Era un uomo del popolo, un carrettiere, un barrocciaio. Combatté in un paio di guerre del Risorgimento. Era irreligioso. Poi ebbe una crisi mistica, ma non si mise a rincorrere le visioni. Sul Monte Labbro – che è di fronte a Santa Fiora e dove c’è ancora il suo eremo – insegnò ai contadini a dividere i frutti della terra, un segno di fraternità. E presto fu odiato dai proprietari terrieri e anche dal clero, fu ritenuto eretico, e fu ammazzato da un carabiniere regio – una fine drammatica per lui che era un uomo nonviolento – alla testa di una processione vietata. Pensate quindi quanti significati ha una vicenda del genere. Sembra quasi un simbolo del mancato inserimento delle persone del popolo nel nuovo Stato unitario costruito dopo il Risorgimento. E Balducci ha sempre fatto riferimento a questa figura, una memoria importante, per capire la strada da prendere: la nonviolenza, l’attenzione agli ultimi, ai poveri, ai disgraziati, a insegnargli a condividere. E poi c’è un personaggio ancora più interessante. Il fabbro Manfredi. Fabbro ferraio, anarchico, contestatore delle autorità, da cui Balducci, siccome era di una famiglia molto povera e non poteva studiare – poi andò a studiare dagli scolopi perché si interessò di lui un amico editore – stette 6 mesi, fece l’apprendistato della classe operaia con questo fabbro ferraio, di idee eversive, ma «di robusta tempra morale, persona molto perbene». Quando Balducci andò a studiare dai preti, il fabbro anarchico ci rimase male e gli disse: «Ernesto, non ti far fregare dai preti», e poi non si rividero per tanti anni. Anni dopo Balducci fu coinvolto in una polemica su un tema che per voi è forse difficile da capire. Quello dell’obiezione di coscienza. Un tempo c’era l’esercito di leva; fare il servizio militare era obbligatorio: Quando si aveva qualche anno in più dell’età che avete voi si partiva – anche io ho fatto il militare – per «servire la patria» nell’esercito. C’era, però, chi invece diceva, per ragioni religiose o morali, «Io non voglio prendere il fucile e non voglio indossare la divisa», e questo era reato; si finiva, di conseguenza, un anno e mezzo nel carcere di Peschiera, o di Gaeta. Balducci insieme a don Milani si schierarono per l’obiezione di coscienza. La difesero, sostenendo: «No! Si può servire la patria anche in maniera non violenta, è un diritto!». Poi è stata fatta la legge per l’obiezione di coscienza e per il servizio civile, ma, allora, Balducci fu processato e condannato, come fu processato don Milani. «Un giorno – racconta Balducci stesso – andavo a Santa Fiora sulla tomba di mia madre e sento un uomo che mi mette una mano sulla spalla». All’inizio non lo riconosce e questi gli fa: «Non ci sono riusciti, Ernesto, i preti a fregarti», e Balducci si commuove, riconoscendo il fabbro Manfredi e commenta: «Ho sentito quelle parole di quel fabbro anarchico come una benedizione di Dio». Ecco, questo era il personaggio Ernesto Balducci. Finirei questa piccolissima carrellata di storie e di personaggi-simbolo con i martiri di Niccioleta. I martiri di Niccioleta sono minatori, sepolti anche essi proprio accanto a Balducci. Erano minatori che sono stati fucilati dai nazisti in ritirata perché avevano difeso la loro miniera, il luogo del loro sfruttamento, certo, ma anche il luogo della loro cultura del lavoro, della loro vita. E siccome spesso i tedeschi in ritirata compivano atti di rappresaglia gravissimi su persone o cose, quei lavoratori hanno difeso la miniera e a decine sono stati fucilati. Balducci dice: «Io mi sono sentito come un traditore» perché molti erano suoi compagni di scuola ed hanno avuto questa tragica sorte mentre lui era da un’altra parte, era andato a studiare, in un mondo dove «si passa per coraggiosi perché s’è scritto un articolo che ti potrebbe rovinare un po’ la carriera». Anche ispirandosi a tutti questi esempi si è andato poi definendo il suo impegno di vita, il cui significato è sintetizzato ne Il sogno di una cosa, un libro di scritti bellissimi dedicato alle sue terre amiatine. Il Sogno di una cosa è un titolo suggestivo. Riprende, un’espressione che già avevano usato Marx e Pasolini. Cosa vuol dire, nel caso nostro? Vuol dire che in questo ambiente povero, come quello dell’Amiata di una volta, non si era spento, nonostante tutto, il sogno di un mondo dove ci fossero giustizia e libertà. Più giustizia e più libertà. Tutto qui. Molto semplice. Ma è su una grande lezione di vita che siamo a riflettere. Una lezione che può esserci di utilità e di insegnamento anche in un tempo e in un contesto storico così mutato. Ragioniamo insieme, dunque, a partire da qui. Alessandra Valpiani ci accompagnerà con delle letture. Una lettura di Balducci, una di don Milani e una di padre Turoldo. «Tutti preti!» qualcuno potrebbe dire. Ma, intanto, erano preti molto particolari, che dialogavano con tutti. Però vorrei fare riferimento a qualcun altro che, proprio, un prete non è. Parlo di Ernesto Rossi. Ernesto Rossi era un radicale, liberale, uno di quelli che avevano scritto il Manifesto di Ventotene durante la guerra, quando c’era il fascismo e gli antifascisti erano in carcere ma già, da lì, sognavano l’Europa unita. E tra i sogni, c’era quello che la nuova Europa unita potesse abolire la guerra: vasto programma potremmo dire, mentre oggi il mondo è pieno di guerre, e anzi, come dice papa Francesco, c’è «una guerra mondiale a pezzi». Adesso c’è, ultima arrivata, questa drammatica guerra in Ucraina, come sapete. Però, questa idea di abolire la guerra era anche nell’orizzonte di padre Balducci. Come dimostra la copertina del primo Convegno Se vuoi la pace prepara la pace, del lontano 1981. Oggi stiamo svolgendo un altro di questi convegni. Questa copertina ha una grafica particolare, perché, nell’immagine proposta, sotto ci sono le frecce, simbolo degli armamenti, sopra ci sono le spighe che sarebbero simbolo dell’operosità, della pace. E c’è una casella vuota. Quella casella vuota sta alla scelta degli uomini e delle donne, dei cittadini che voi siete, sapere di quale contenuto (di guerra o di pace) verrà riempita. Ecco qual è il senso di questa suggestione. Balducci, e i convegni di «Testimonianze» ragionavano soprattutto su che cosa? Sulle contraddizioni dell’epoca particolare in cui viviamo. Ieri pomeriggio noi abbiamo parlato dei diritti umani: un tema importantissimo. C’è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 48, che è un programma (in cui sono state scritte cose importantissime) che ancora aspetta di essere attuato in gran parte del mondo. Quella Dichiarazione nacque perché prima c’erano stati eventi drammatici: la Seconda Guerra mondiale, la Shoah, cioè lo sterminio degli ebrei, e la bomba atomica. La bomba atomica lanciata su Hiroshima e Nagasaki. Lì, dice Balducci, cambia la prospettiva. Perché la guerra, che razionale non è mai stata ma fa parte della storia dell’umanità, con l’atomica esce dalla sfera della razionalità, in quanto, se due potenze atomiche si fanno la guerra, finisce l’intera civiltà umana. Ecco che allora bisogna ragionare in termini nuovi. Vado rapidamente perché non voglio rubare tanto tempo, ma faccio alcuni riferimenti per capire con più precisione di cosa si sta parlando. Però, nonostante questo, nonostante l’atomica, nei decenni, di guerre cosiddette locali ce ne sono state molte e hanno fatto milioni di morti. Per esempio, la guerra del Vietnam, dove c’era una potenza che interveniva dall’esterno, cioè gli Stati Uniti d’America, c’erano i nord vietnamiti e i vietcong che combattevano gli americani, e due potenze, nucleari anche queste come gli Stati Uniti d’America, cioè la Cina e l’Unione Sovietica, che appoggiavano i nordvietnamiti. E parliamo, venendo ai nostri giorni, dell’Ucraina. La cartina che viene proiettata è un po’ vecchia, ma serve a rendere l’idea della realtà di un Paese occupato e invaso: le zone colorate in rosso sono quelle controllate dai russi. C’è un Paese invaso, una potenza nucleare che lo ha invaso, e i paesi occidentali che appoggiano il popolo che sta subendo l’occupazione. Come vedete sono scenari diversi, in contesti storici molto diversi da quelli (come in Vietnam) di decine di anni fa, ma che hanno anche delle analogie fra loro e su cui, in ogni caso, dobbiamo ragionare attentamente per coglierne a fondo la complessità.

E adesso, andiamo alle ultime battute di questo nostro ragionamento fatto per flash e rimandi veloci. Parliamo un attimo del libro-simbolo di Ernesto Balducci. Se avrete voglia di leggerlo, dopo che stamani se ne è parlato tanto, ricordatevi che il suo libro più importante è L’uomo planetario. Che vuol dire L’uomo planetario? L’autore viene da un villaggio e dice sostanzialmente che il mondo oggi è come se fosse un unico villaggio. Nel bene e nel male; siamo sempre più divisi, ma anche sempre più uniti. C’è la pandemia, ci sono le guerre, ci sono i cambiamenti climatici. Ognuno ha la tentazione di andare per conto proprio, ma se non uniamo le forze non ne veniamo fuori. Questo è alla fine il senso del confronto con l’altro, che non vuol dire dimenticare la propria identità, anzi! Bisogna esserne consapevoli (della propria storia) e aprirsi agli altri. E di capirsi con gli altri c’è un tremendo e urgente bisogno di fronte ai gravi e grandi problemi del nostro tempo. Questa è una cartina degli stati nucleari nel mondo. Ce ne sono, di osservazioni da fare. Ci sono gli stati nucleari, che hanno armi nucleari. Ce ne sono altri, tra cui anche l’Italia, che non sono possessori di armi nucleari, ma in cui sono comunque presenti basi nucleari: noi infatti abbiamo basi della Nato nel nostro territorio. Poi ci sono paesi che non hanno mai aderito a un trattato importante, il trattato di non proliferazione nucleare, che è del 1970 e nel quale è stato messo a punto un accordo per dire, sostanzialmente: «Iniziamo un processo di disarmo e bonifichiamo, almeno in parte, la situazione, caratterizzata dalla presenza di un gran numero di armi nucleari»; ma ci sono paesi che, appunto, non vi hanno mai aderito. In ogni caso, cosa indica, in termini generali questa carta? Una tendenza di fondo. Per carità, la motivazione è che tutto ciò di cui qui si parla viene fatto per la sicurezza degli stati e per la difesa, ma la sostanza è quella della riconferma di una spinta ulteriore verso la corsa agli armamenti. Mi pare che nel 2021 la spesa militare nel mondo sia aumentata enormemente. La cifra complessiva, correggetemi se sbaglio, mi pare sia di 2 miliardi e 113 milioni di dollari; la spesa è aumentata dello 0,7%, che sembra poco, ma non lo è affatto. Anche qui, da noi, in Italia, nel nostro Paese, siamo a discutere di questi temi. C’è la guerra in Ucraina: dunque, aumentiamo le spese militari o no? Con Vannino Chiti è stato fatto un ragionamento di questo tipo: impostiamo una strategia di riassetto complessivo della difesa europea, invece di aumentare la spesa militare nei singoli stati nazionali. È un dibattito che è in corso e di cui voi, piano piano, bisogna che cominciate ad interessarvi, perché è una questione che tutti ci riguarda. Ed eccoci all’ultima slide e anche all’ultima parte di questo mio ragionamento. Nel nostro Paese c’è una legge che vieta, o comunque limita la libertà e la possibilità di vendere armi a paesi in cui non si rispettano i diritti umani, cioè dove si pratica la tortura, dove non c’è libertà di parola, dove gli oppositori vengono incarcerati. Ma, per molte vie, a volte, mi pare che questa legge venga aggirata, e ci sono rapporti con paesi non proprio raccomandabili. In realtà, di immagini ce n’è un’altra. È la foto di un altro prete importante, don Lorenzo Milani, che dedicò la sua vita a fare scuola ai poveri sul colle sperduto e battuto dal vento di Barbiana. Milani, come è notissimo, aveva un suo motto: I care, cioè, m’interessa, mi sta a cuore, questa cosa mi sta a cuore. Come si affrontano, poi, in concreto, i problemi è già un altro discorso, perché ognuno, in merito alle diverse questioni, ha la sua opinione. Anche stamani voi sentirete gli amici che parleranno, parleranno avendo anche posizioni diverse, anche esprimendo punti di vista diversi. La nostra rivista «Testimonianze» ha una sua linea editoriale, però è sempre stata attenta a coltivare la pluralità delle voci, dei punti di vista, perché è così che si cresce. L’essenziale è lavorare tutti avendo a cuore la cura del bene comune. Io penso che, in questo nostro tempo di grandi cambiamenti, parta un cammino importante da fare per voi che siete già giovani cittadini, naturalmente, e che sarete i protagonisti della storia di domani. Vi ringrazio moltissimo. Mi pare ci sia la prima lettura di Alessandra Valpiani, che legge la Salmodia contro le armi, un testo che David Maria Turoldo, che era un grande prete poeta, con voce tonante lesse al primo Convegno di «Testimonianze» della serie Se vuoi la pace prepara la pace. È il punto di vista di Turoldo, espresso in forma di poesia, ed è una suggestione potente, che va al cuore di uno dei temi di fondo che siamo qui ad affrontare insieme.