di Giorgio Valentino Federici

L’Africa è il continente del futuro, in termini demografici, socio-economici e di produzione e sfruttamento dell’energia ad usi industriali e civili. Per questo esistono progetti di implementazione di grandi infrastrutture idroelettriche (sulle quali si è già mossa la Cina, soprattutto per l’estrazione del cobalto), che unite all’uso del fotovoltaico nei deserti potrebbero coprire il fabbisogno locale con scarso impatto ambientale (anche se su questo aspetto non tutti concordano) e favorire lo sviluppo di quei paesi. Progetti che potrebbero essere utili anche per l’altra sponda del Mediterraneo. È forse il caso di pensare a una transizione ecologica euro-africana?

Il driver sarà la demografia
Negli scenari, al 2050 e oltre, del Next Generation European Union non si tiene conto adeguatamente del contesto internazionale, e in particolare di quello africano, con il quale i giovani europei dovranno confrontarsi. Negli scenari che si ipotizzano (2050, 2100) il driver che conterà sarà la demografia (Livi Bacci, 2015). Le popolazioni dell’Africa, e di quella subsahariana in particolare, diventeranno sempre più importanti e decisive saranno le condizioni del loro sviluppo umano. È possibile un miglioramento dei livelli di vita di un’area che al 2050 rappresenterà 1/4 della popolazione mondiale e due terzi dei 10.900 milioni previsti per il 2100 dalle Nazioni Unite (Neodemos, sito)? Ancora maggiore sarà il numero di giovani dell’Africa subsahariana che pretenderanno di svilupparsi e di muoversi e che già ora sono connessi al mondo.
Quali sono le condizioni di partenza? Oggi in Africa vive oltre il 17% della popolazione mondiale e il continente consuma soltanto il 4% dell’energia globale. Nell’Africa subsahariana la metà della popolazione ha un reddito dell’ordine di un dollaro al giorno.
La prima questione che intendo affrontare è, allora, questa: in che misura l’uso di fonti energetiche rinnovabili (idriche, eoliche, solari, biocombustibili) per la produzione di energia elettrica, indispensabile allo sviluppo, potrà contribuire alla progressiva uscita dalla povertà del continente africano. E in che misura questa questione è (o potrebbe essere) connessa con quella del Green Deal europeo.
Vorrei iniziare accennando alle potenzialità idroelettriche del continente africano e in particolare a quelle, sostanzialmente ancora intatte, del fiume Congo: una risorsa rinnovabile, disponibile per decenni e non influenzabile in modo significativo dai cambiamenti climatici a oggi ipotizzati. Esistono progetti approvati dai paesi dell’Unione africana di sviluppo idroelettrico nel Bacino del Congo che andrebbero molto accelerati con la partnership dell’Unione europea, che solo recentemente sembra accorgersi delle grandi opportunità che questo sviluppo energetico potrebbe rappresentare per gli africani e, direttamente o indirettamente, per noi. Anche in riferimento al problema delle migrazioni che sembra maggiormente preoccupare gli europei, è evidente che solo realizzando poli di sviluppo africani che consentano fruttuose migrazioni all’interno dell’Africa sarà possibile offrire un’alternativa agli spostamenti verso l’Europa. L’Africa ha sostanzialmente smesso di contare nella geopolitica con la fine dell’Unione Sovietica, all’inizio degli anni 90 del secolo scorso. Solo la Cina ha capito per tempo le potenzialità africane e ha occupato uno spazio che oggi le assegna un ruolo di leadership in molte parti dell’Africa.
In riferimento al Congo è ben nota la concessione cinquantennale di sfruttamento delle miniere di cobalto nel Sud della RDC, Repubblica Democratica del Congo, che ha fatto della Cina il leader mondiale nel settore delle batterie. Lo sfruttamento minerario del Congo è e sarà strettamente connesso proprio allo sviluppo idroelettrico del fiume e in particolare alle centrali di Inga, presso la sua foce. Anche nella realizzazione di questi impianti la Cina, come vedremo, è protagonista.

Senza energia elettrica non c’è sviluppo
Non c’è sviluppo senza energia e in particolare senza energia elettrica.
Il passaggio dalle fonti energetiche rinnovabili (con cicli annuali, stagionali o giornalieri: lavoro umano e animale, acqua e vento nei mulini, sole per il mondo animale e vegetale) a quelle fossili non rinnovabili e all’energia elettrica hanno prodotto un’accelerazione della storia umana che in poco più di due secoli (Smil, 2020) ha consentito uno straordinario sviluppo demografico, con una contemporanea crescita degli indici di sviluppo umano HDI, Human Development Index (Federici, 2018).
La rivoluzione industriale non sarebbe mai avvenuta se l’umanità avesse potuto contare solo sull’uso di fonti rinnovabili. Non c’è oggi alcun esempio di un Paese che sia uscito dalla povertà con l’esclusivo uso di fonti rinnovabili.
È l’energia fossile a basso costo di produzione e trasporto (petrolio e gas naturale) che ha permesso e permette a molti paesi (circa 5 miliardi di persone) che controllavano queste fonti e il loro commercio di svilupparsi, di ulteriormente arricchirsi e/o di uscire dalla povertà. Sono i paesi che oggi emettono praticamente tutti i gas serra che stanno provocando il riscaldamento del pianeta. Essi stanno cercando di affrontare il problema dichiarando che ridurranno le loro emissioni, anche se in modo diversamente accelerato e a oggi con modesti risultati.
Sono invece circa 3 miliardi le persone che nel 2021 ancora non hanno potuto avere beneficio dalla transizione energetica dal rinnovabile al fossile e dall’accesso alla energia elettrica e che, di conseguenza, vivono in condizioni di povertà. Queste persone vivono in aree del pianeta dove peraltro è previsto il maggiore sviluppo demografico al 2050 e al 2100. In particolare, in Africa, circa 600 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità su una popolazione complessiva di circa 1,4 miliardi.
Al di là di recenti dichiarazioni di principio non sembra che l’Europa intenda occuparsi concretamente di questi temi, né sembra comprendere il ruolo fondamentale che essa potrebbe esercitare non solo a beneficio dei cittadini africani, ma anche nell’interesse dei cittadini europei.

Aree adatte a grandi impianti idroelettrici
A oggi uno sviluppo energetico che limiti le emissioni di CO2 può giovarsi solo di risorse rinnovabili e dell’opzione nucleare. La possibilità di impiego delle centrali elettronucleari nel continente africano, che potrebbe apparire avveniristica, è invece un’opzione perseguita da alcuni paesi (Cina e Russia in particolare) che prefigurano una futura colonizzazione del continente («Il Caffe Geopolitico», sito). Non è tuttavia sull’opzione nucleare che intendo soffermarmi. L’Unione africana ha individuato da tempo alcune aree adatte a realizzare grandi impianti idroelettrici: il bacino del fiume Congo, con un potenziale di 774 TWh (un Terawattora è pari a un miliardo di kWh) l’anno, il bacino del Nilo in Etiopia (290 TWh) e il bacino dello Zambesi (38 TWh).
Se pienamente sfruttate queste risorse potrebbero ampiamente coprire gran parte delle necessità del continente nel medio termine. Su questi corsi d’acqua sono già previsti alcuni grandi progetti in corso di realizzazione o programmati, anche problematici e divisivi fra i vari paesi africani, come la Diga del Rinascimento sul Nilo, in Etiopia. Non sono trascurabili gli impatti ambientali di queste grandi opere, ma molto consistenti ne sono i benefici.
Lo sfruttamento idroelettrico del fiume Congo sembra poter essere invece unificante gli interessi di molti paesi e avere un impatto ambientale molto ridotto. Analizziamo in particolare il progetto Grand Inga alla foce del fiume.

Il progetto Grand Inga
Il progetto è stato adottato dall’Unione africana (UA) nel quadro del piano cinquantennale Agenda 2063 (2013-2063) di sviluppo, coordinato fra gran parte degli stati africani in particolare subsahariani (African Blue Economy Strategy). Il progetto, secondo l’UA, è strettamente collegato al raggiungimento degli MDG (Millennium Development Goals). Lo sfruttamento di questa risorsa da parte di numerosi stati si basa sulla realizzazione di una rete di trasmissione, in corrente alternata e in corrente continua ad alta tensione, estesa a gran parte dell’Africa e che potrebbe raggiungere anche l’Europa (Fig 1). Ovviamente questa rete sarebbe disponibile per collegare le centrali solari e eoliche distribuite nel territorio, analogamente a quanto accade nella rete di trasmissione italiana. Grand Inga prevede impianti della potenza di 40 GW (un Gigawatt è pari un milione di kW ), con una producibilità prevista di 260 TWh. Per comprendere la rilevanza di queste cifre è sufficiente che il lettore le confronti con i valori della potenza idroelettrica totale installata nel mondo, che nel 2019 era di 1.308 GW, con una energia generata di 4.306 TWh. Il picco di potenza richiesta nella rete in Italia è stato nel mese di agosto 2019 di 58 GW.
La potenza delle centrali idroelettriche italiane nel 2019 era di 22,9 GW. Gli impianti idroelettrici in esercizio nel 2020 in Africa avevano una capacità installata di 37 GW. Si tratta dunque di un potenziale energetico che potrebbe avere uno straordinario impatto sullo sviluppo non solo della RDC ma di una gran parte del continente africano! Gli impianti idroelettrici in siti adeguati garantiscono una produzione di lungo periodo (oltre cento anni se manutenuti adeguatamente) con costi minori rispetto a qualsiasi altra risorsa energetica. Nel 2018 il costo medio nel mondo dell’energia idroelettrica è stato di USD 0,047 per kWh. Per lo sviluppo del progetto Grand Inga da 40 GW è stimato un costo di USD 0,03 per kWh.
Gli impianti di Inga, grazie alla grande portata permanente del fiume, sono sostanzialmente ad acqua fluente e non prevedono grandi volumi di immagazzinamento, hanno cioè bisogno di serbatoi di modeste dimensioni. La portata del fiume viene ridotta solo per qualche decina di km prima del suo sbocco nell’Atlantico. Questo impatto ambientale è evidentemente modesto, anche se troverà probabilmente la forte opposizione dei campioni del rafting che non potranno più godere appieno delle rapide di Inga!
Ma per l’Africa, e in particolare quella subsahariana, lo sfruttamento di questa risorsa energetica rinnovabile, permanente, non influenzabile significativamente dal cambiamento climatico, a costi molto bassi e con modesto impatto ambientale sarebbe foriero di un forte sviluppo per quelle popolazioni.
Si noti, inoltre, che il progetto non prevede lo spostamento di popolazioni numerose: l’area è abitata da alcune decine di migliaia di persone (37.000 secondo la ONG Terraline [Sito] molto critica sul progetto) che potrebbero essere finalmente aiutate a uscire dalla povertà.

Consumi civili e consumi industriali
Nel 2020 il consumo annuo di energia elettrica pro capite in kWh era: USA 11.730, Italia 4.703, Nigeria 115, RDC 72. Tutti gli altri stati subsahariani hanno dotazioni molto basse ad esclusione del Sud Africa che ha una disponibilità di 3.668 kWh pro capite, peraltro dovuta anche all’importazione di energia, da oltre cinquant’anni, dalla grande centrale idroelettrica di Cabora Bassa, sullo Zambesi, in Mozambico e da altri impianti idroelettrici nel Lesotho.
Nel 2060, con Grand Inga in funzione e la rete di interconnessione ipotizzata, la disponibilità di energia elettrica annuale pro capite media dell’intera area subsahariana (circa un quarto della popolazione mondiale) potrebbe arrivare ad un migliaio di kWh pro capite.
Nel 2100 con la disponibilità energetica stimata da GEIDCO di 685 TWh (tutta la potenzialità del bacino del Congo) l’energia elettrica pro capite salirebbe a circa 2.000 kWh, per circa il 35% della popolazione mondiale! Questa energia verrebbe impiegata sia per i consumi civili che per quelli industriali, permettendo uno sviluppo industriale oggi assente.
Purtroppo, i piccoli impianti oggi in funzione a Inga (circa 1 GW) sono utilizzati per lo sviluppo minerario e nemmeno in parte per gli usi civili delle popolazioni dell’area, dove lo sfruttamento delle miniere avviene a carico di manodopera spesso minirile. Questi impianti sono gestiti da un Consorzio guidato dalla GEIDCO, la compagnia cinese che gestisce la centrale idroelettrica più grande del mondo, quella delle Tre Gole sullo Yangtze (22,5 GW). Come ricordato in precedenza, la Cina ha un accordo con la RDC di sfruttamento cinquantennale delle miniere di cobalto che sono collocate proprio a Sud del bacino del Congo.

I progetti di energia solare in Africa
Un breve cenno su come si sta sviluppando il solare (fotovoltaico e termico) in Africa e un confronto con i progetti idroelettrici. L’elettrificazione dell’Africa è in corso (Puig, 2021). Le imprese private di numerosi paesi anche europei hanno partnership nei paesi africani, in particolare nella direzione di una offerta elettrica distribuita territorialmente, basata prevalentemente sul fotovoltaico.
L’obiettivo è realizzare fra l’altro reti minigrids per piccole comunità, spesso anche non collegate alle reti di distribuzione elettrica nazionali, che sono assenti o molto carenti.
Per quanto riguarda grandi progetti di impianti solari va citato il progetto DESERTEC (Sito). L’idea nacque alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso dopo che l’incidente di Chernobyl mise in crisi lo sviluppo nucleare in Europa. Il progetto si propone di utilizzare i deserti di tutto il mondo per impianti solari di enormi dimensioni in grado, secondo i membri della «DESERTEC Foundation» (fondata nel 2009), di dare un contributo decisivo alla soluzione dei problemi energetici del Pianeta. In particolare, per l’Africa il progetto è stato declinato nel deserto del Sahara e coinvolge i paesi, prevalentemente mediterranei, nordafricani e mediorientali MENA (Middle East and North Africa).
Inizialmente l’obiettivo era usare il Sahara per portare energia elettrica in Europa, in una prospettiva che è stata definita neocoloniale. Il progetto oggi invece punta a contribuire prevalentemente alla crescita dei paesi MENA. Le possibilità di sviluppo del solare hanno alcune controindicazioni, anche specifiche per i paesi africani. I problemi sono connessi alla loro intermittenza, che le rende poco utili allo sviluppo industriale, all’approvvigionamento dei materiali e al consumo di suolo (Seminara & Carli, in questo numero). Inoltre, la gestione della generazione distribuita (a livello di piccole comunità) basata su pannelli solari e batterie potrà presentare seri problemi di manutenzione e forse soprattutto di sicurezza. Alcuni stati subsahariani non hanno un controllo del territorio che impedisca furti di attrezzature di piccoli impianti distribuiti su vaste aree. In termini di occupazione di suolo il confronto fra idroelettrico e fotovoltaico in termini di densità energetica (potenza in kW per unità di superfice occupata) è impietoso. In Italia gli impianti fotovoltaici nel 2018 (TERNA, sito) avevano una potenza istallata di 20,108 GW e occupavano una superficie di 301.171 km2.

Impianti                             Densità energetica

Fotovoltaico Italia           67 kW/km2

Centrale Grand Inga       177.000 kW/km2

Media Centrali
idroelettriche
della Svizzera                    56.000 kW/km2

La povertà è sostenibile?
I grandi progetti idroelettrici incontrano spesso l’opposizione di movimenti ambientalisti e di ONG che in Africa operano e che hanno denunciato lo scarso beneficio per le popolazioni locali legato alla costruzione delle grandi dighe, come fino ad oggi si è a volte verificato, insieme alle problematiche a carattere ambientale. Anche i possibili finanziatori internazionali come la Banca Mondiale vedono con sospetto questi progetti per il legame con fenomeni di corruzione frequenti nei paesi africani. Questo ha prodotto negli ultimi vent’anni una drastica riduzione dei finanziamenti internazionali ai paesi africani per le infrastrutture (dighe, strade, trasporti) necessarie allo sviluppo. I finanziamenti sono stati dirottati all’assistenza sociale e agli impianti solari ed eolici di modeste dimensioni, preferiti nella prospettiva dello «sviluppo sostenibile», considerato un percorso proponibile pure per i paesi poveri. Anche le Nazioni Unite hanno di fatto condiviso l’idea che fosse possibile uno sviluppo senza energia e infrastrutture, in netto contrasto con quanto è avvenuto e avviene nei paesi ricchi del mondo (Shellenbergher, 2020).
Particolarmente irragionevole e spesso dannosa è stata l’opposizione di alcune ONG alla costruzione di dighe grandi e piccole per non turbare le condizioni «naturali» dei corsi d’acqua.
Ci si serve del cambiamento climatico per opporsi alle centrali idroelettriche e al controllo dei bacini idrici senza tener conto che l’adattamento al cambiamento climatico sarà prevalentemente legato alla gestione dell’acqua, al suo immagazzinamento e alla difesa dal rischio a essa collegato. I serbatoi artificiali grandi e piccoli sono e saranno indispensabili in Africa come lo sono e saranno da noi. Le grandi opportunità del progetto Grand Inga, il consenso dell’Unione africana, il ridotto impatto ambientale, la potenzialità per la ricaduta sulla povertà dovrebbero consentire una forte collaborazione internazionale in grado di sviluppare al meglio il progetto, tenendo conto delle problematiche sociali e ambientali comunque connesse alla realizzazione di grandi infrastrutture.
La creazione di una grande struttura di interconnessione potrebbe consentire una gestione integrata delle energie rinnovabili (idroelettrico, solare ed eolico), anche con la realizzazione di impianti idroelettrici di accumulazione e pompaggio per limitare l’impiego delle batterie necessarie al solare e all’eolico.
Per i paesi subsahariani infine la gestione comune dell’energia elettrica potrebbe essere una straordinaria occasione di costruzione di robuste istituzioni nazionali e sovranazionali, oggi molto carenti.

Pannelli solari nel Sahara?
La transizione energetica europea potrebbe collegarsi a quella africana con strategie verso le energie rinnovabili che potrebbero essere complementari.
In termini di riduzione delle emissioni di gas serra i nostri enormi finanziamenti previsti per eolico e fotovoltaico non avrebbero migliore risultato se fossero impiegati in Africa per ridurre la povertà producendo energia rinnovabile idroelettrica, che per grandi impianti ha costi bassissimi, e che potrebbe essere trasmessa anche in Europa? O potrebbero essere utilizzati per produrre idrogeno in loco per un successivo trasporto? L’alto irraggiamento solare per metro quadro nel nostro Paese (si dice: siamo gli Emirati Arabi del futuro!) spinge a puntare sul fotovoltaico che produrrà inevitabilmente forte impatto ambientale, contestazioni e ritardi nella transizione. Non sarebbe preferibile mettere i pannelli nel Sahara che ci batte come irraggiamento e portare energia elettrica o idrogeno in Europa, evitando un disastroso consumo di suolo, riducendo l’impatto ambientale, influenzando positivamente lo sviluppo della sponda Sud del Mediterraneo e creando quindi le condizioni per una riduzione dei flussi migratori? È possibile pensare a una transizione energetica euro-africana?

Riferimenti bibliografici e sitografici
GEIDCO (Global Energy Interconnection Development and Cooperation Organization), Research on Hydropower Development and Delivery in Congo River, Springer, 2020.
G. V. Federici, Società cosmopolitica e cultura del limite, in 1948-2018: diritti umani in cammino, «Testimonianze», nn. 521-522, 2018.
M. Livi Bacci, Il pianeta stretto, Il Mulino, Bologna 2015.
D. Puig et al, An action agenda for Africa’s electricity sector, «Science», 6 Aug 2021, Vol. 373, Issue 6555, pp. 616-619.
G. Seminara, B. Carli, COP26 per il Clima. Beni comuni ed energie rinnovaboli: Due questioni planetarie, «Testimonianze», n. 540, 2021.
M. Shellenberger, L’apocalisse può attendere, Marsilio, Venezia 2020.
V. Smil, Energia e civiltà. Una storia, Hoepli, Milano 2021.
DESERTEC, Sustainable Wealth for Every Human on Earth, https://www.desertec.org.
«Il Caffe Geopolitico», https://ilcaffegeopolitico.net/170697/lafrica-sulla-via-del-nucleare.
Neodemos, https://www.neodemos.info.
TERNA, https://download.terna.it/terna/Annuario%20Statistico%202018_8d7595e944c2546.pdf.
TERRAONLINE, https://www.terraterraonline.org/blog/inga-3-una-mega-diga-sul-fiume-congo-fara-decine-di-migliaia-di-sfollati/.