di Vittoria Franco

Il tema della fraternità è tornato alla ribalta grazie a papa Francesco e alla sua enciclica Fratelli tutti. Il concetto viene però da lontano, dal diritto naturale e dai principi religiosi per cui gli esseri umani sono fra loro fratelli perché figli di un unico Dio. Ma è stato con Voltaire, con il suo richiamo alla tolleranza, e poi con la Rivoluzione francese che essa viene inclusa in una parola d’ordine che la collega con la libertà e l’uguaglianza e che la immette nella sfera pubblica. E pur non potendo essere definito ormativamente, un tale principio può contribuire alla qualità delle relazioni umane in quel mondo comune cui tutti apparteniamo e in cui la fraternità può essere assunta come un universale non più neutro, ma duale, comprendendo anche la sorellanza come monito di consapevolezza di un limite insuperabile che impedisce l’assoggettamento delle donne.

Un concetto che viene da lontano
Il tema della fraternità è tornato alla ribalta grazie all’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti1. Il concetto viene però da molto lontano e ha conosciuto una svolta radicale quando il termine è entrato a far parte del trittico assunto come motto della Rivoluzione francese del 1789 insieme a libertà e uguaglianza. Fra coloro che avevano contribuito a preparare la cultura più adatta per accoglierlo vi è Voltaire, che ne parla nel capitolo Della tolleranza universale del suo celebre Trattato sulla tolleranza (1763): «Non ci vuole una grande arte né un’eloquenza molto ricercata, per provare che dei cristiani devono tollerarsi a vicenda. Dirò di più: vi dirò che bisogna considerare tutti gli uomini come nostri fratelli»2. Anche se diversi per credi religiosi o perché non credenti, siamo perciò chiamati a vivere come fratelli contribuendo egualmente al bene della società: questo è il principio fondamentale della tolleranza. È la tolleranza che può produrre «il bene fisico e morale della società» e creare un «regime di mitezza»; essa non ha mai provocato una guerra civile, mentre «l’intolleranza ha coperto la terra di massacri».
Voltaire individua dunque nella fraternità il principio fondativo di una società tollerante e pacifica ben prima che essa diventasse un elemento del trittico rivoluzionario. E per definirla, egli riprende la regola aurea, il grande principio universale del diritto umano che si fonda sul diritto naturale: «Non fare ciò che non vorresti sia fatto a te». È il principio che viene assunto poi nella Costituzione del 1795 all’art. 2 del capitolo sui doveri: «Tutti i doveri dell’uomo e del cittadino derivano da questi due principi, impressi dalla natura in tutti i cuori: “Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi. Fate costantemente agli altri il bene che voi vorreste ricevere”». In questa Costituzione la fraternità non fa parte del trittico – vengono nominate soltanto libertà e uguaglianza, alle quali viene aggiunta la proprietà –, ma fra i doveri vi è ripreso proprio il principio che l’illustre illuminista aveva posto come fondamento della fraternità.

Una scelta di ragione

Assumendo dunque la tolleranza, intesa come vivere fraterno, a fondamento del vivere pacifico, Voltaire fa diventare la fraternità principio laico che governa sia la società civile che la politica. Quando la fraternità entrerà a far parte della divisa rivoluzionaria, sul piano teorico la strada era perciò già spianata, e il lavoro lo avevano compiuto prima i giusnaturalisti con l’idea dei diritti naturali dell’uomo e poi gli illuministi che collocano come perno dell’umanità la ragione eguagliatrice. È stato giustamente rilevato come anche le teorie contrattualiste abbiano contribuito a dare alla fraternità una dimensione politica, immaginando «(…) la possibilità di un rapporto fraterno come scelta di ragione e libero atto di riconoscimento reciproco»3. Con un’elaborazione che da Locke arriva a Kant si costruisce così una solida teoria della modernità, della società secolarizzata, laica, che si fonda sulla separazione fra Stato e Chiesa e sul rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino.
Nella società moderna, ciò che contraddistingue le relazioni «(…) non è più la religione, ma l’azione razionale di individui, la cui diversità è fonte di conflittualità e antagonismo e che tuttavia sono vincolati al sistema di relazioni, che strutturano l’impresa-società nel cui ambito ognuno chiede di essere riconosciuto non in quanto figlio di Dio, ma come socius, individuo indipendente, fine in sé con i medesimi diritti di libertà e di parità nell’ambito della cooperazione sociale»4.
Il principio di tolleranza che si basa sulla fraternità è importante perché senza un principio che presieda alla convivenza fra concezioni diverse non è possibile una società laica che si fondi non soltanto sul rispetto reciproco dell’individuale libertà e dignità di ciascuno, ma anche sul mutuo soccorso, che vuol dire: farsi responsabili verso gli altri oltre che verso se stessi, farsi carico di una cura5; significa perseguimento del bene comune con condivisa responsabilità reciproca. Siamo dunque in un territorio nuovo di una fraternità senza padre. È noto tuttavia che il destino delle tre parole della divisa rivoluzionaria è stato molto diverso: libertà e uguaglianza sono diventate le protagoniste di diverse teorie politiche nel corso dell’Ottocento e del Novecento, dal liberalismo al socialismo, mentre la fraternità ben presto è entrata nell’ombra divenendo un «principio dimenticato»6, salvo riemergere soprattutto nella seconda metà del 900 con le vesti della solidarietà.

«È possibile amare tutto il nostro prossimo?»
Fraternità è in origine un principio cristiano, anche se è presente in altre religioni: riconoscersi fratelli in quanto figli dello stesso Dio, fraternità in Cristo. «La memoria ebraica e la memoria cristiana hanno una connotazione di impegno a un agire che trasforma ogni sé e ogni altro in “fratello”»7. Dio «(…) ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro», si legge in Fratelli tutti. In questo senso, fraternità ha una dimensione di universalità che diventa più forte in un mondo globalizzato.
Con la Rivoluzione e con il suo inserimento nel trittico insieme con libertà e uguaglianza essa viene però trasformata espressamente in un principio politico e sociale. «Fraternità libertà uguaglianza» diventano il fondamento dei diritti fondamentali e della cittadinanza. È a questo punto che si aprono nuove possibilità e inedite prospettive nella teoria politica, oltre che nella politica come pratica. Essa fa balenare un «mondo nuovo». Un novum che mette in crisi anche il modo con il quale il cristianesimo aveva fino ad allora inteso la fraternità8. Declinata insieme con le altre due, la fraternità scardina l’ordine esistente e può esprimere tutta la sua potenzialità rivoluzionaria perché mette al centro «l’uomo e il cittadino» (sarà Olympe de Gouges nel 1791 a declinare anche al femminile la Dichiarazione dell’89 con un esito di impressionante attualità9). Fraternità senza eguaglianza e libertà resta infatti circoscritta, rimane carità, amore del prossimo, vicino o lontano che sia; ma soprattutto rimane al di fuori della sfera pubblica. Comprensibili i tentativi di papa Francesco di immaginare un amore politico universale ispirato all’idea di fraternità, ma li si può accettare solo se si resta su un piano metafisico o teologico. Ci si deve chiedere se tale carico di energia amorosa verso tutto il resto del mondo sia alla portata di singoli uomini e singole donne. Come scrive in una lettera il personaggio dostoevskiano Nastas’ja Filippovna a proposito dell’amore per tutta l’umanità: «È possibile amare tutti gli esseri umani, tutto il nostro prossimo? (…) Rispondo di no; mi parrebbe persino una cosa poco naturale. L’amore astratto per l’umanità è anzitutto l’amore per se stesso»10. Più accettabile e interessante per un laico è invece la definizione della fraternità come «amicizia sociale», che si ritrova nella stessa enciclica. L’amicizia è diversa dall’amore per l’umanità. Hannah Arendt coglie il punto quando definisce l’amicizia come relazione nella sfera della polis e nel discorso pubblico e la fa diventare una categoria filosofico-politica. L’amicizia è scambio di parole, nel senso della philia greca: è discorso sul mondo che rivela l’amicizia fra cittadini11.
È un tipo di amicizia che non può essere confusa con l’amore, nonché universale. Più realistica la definizione di amore del prossimo come «cura del bisognoso» che dà Ratzinger12.

Alla fine lo aveva capito anche Sartre

Anche se appare marginale rispetto alle altre due, e se nelle costituzioni democratiche del secondo dopoguerra non compare se non in quella francese e in poche altre, nelle sue varie declinazioni – solidarietà, riconoscimento della dignità dell’altro, rispetto delle differenze, giustizia, tolleranza – la fraternità è divenuta fondamentale nella costruzione di una democrazia più sostanziale. L’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata a Parigi il 10 dicembre 1948, raccoglie questa cultura quando recita: «Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali per dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e coscienza e devono agire gli uni nei confronti degli altri in uno spirito di fraternità». Il carattere universale della fraternità laica è da attribuire proprio al riconoscimento dell’eguale dignità di tutti gli esseri umani, nelle loro differenze. Come sostiene Kant, è l’umanità il limite all’agire individuale; umanità come genere umano di cui tutti siamo egualmente parte con tutte le differenze che contraddistinguono la personalità e l’identità di ciascuno. Il che implica che l’io e il noi trovino nuove modalità di declinazione sociale e politica, oltre che etica. Alla fine della sua vita l’aveva capito anche l’esistenzialista Jean-Paul Sartre che, in La speranza oggi13, recupera il concetto di fraternità concepito sia come appartenenza alla stessa specie e come condivisione della medesima origine, sia, soprattutto, come condivisione di un fine comune per il futuro, che consiste nella realizzazione dell’uomo. Quest’ultima riguarda una «modalità morale» che ha una relazione con il «desiderio di società»: «Noi cerchiamo di vivere insieme, come uomini e al fine di essere uomini»14.
A questo punto, per Sartre l’umanismo non è più un modo di ammirare se stesso nell’indipendenza, com’era stato in altri periodi, ma un andare verso l’umanità, alla ricerca di un «rapporto con il suo prossimo». All’indipendenza dall’altro di ciascun individuo di L’être et le néant ora sostituisce «la dipendenza di ogni individuo in rapporto a tutti gli altri individui». Una dipendenza morale che non è tuttavia costrizione, bensì recupero di una dimensione di libertà nelle scelte che si compiono (e che si possono sempre non compiere). Ne emerge una «dimensione dell’obbligo» di tipo kantiano, obbligo inteso come «vincolo interiore», rapporto con la propria coscienza.

Le «oasi di fratellanza» di Edgar Morin
In tale «dimensione dell’obbligo» come vincolo morale si può trovare la risposta a una questione importante che pone Edgar Morin: l’impossibilità di imporre la fraternità per legge. A differenza di ciò che si può fare per la libertà e l’uguaglianza, scrivere norme che le garantiscano o che le impongano, «(…) non è possibile imporre la fraternità tramite la legge. La fraternità non può derivare da un’ingiunzione statuale superiore, deve venire da noi»15, magari dalla consapevolezza della comune mortalità che dovrebbe ispirare una mutua «fraternità di compassione». Anche se la fraternità come compassione non può essere imposta per legge, è però vero anche che essa può divenire la molla per leggi che promuovano l’inclusione sociale. E tuttavia, la sua realizzazione dipende anche dalla forza di quel vincolo morale che ci porta verso gli altri. Essa non indica una fratellanza di sangue e nemmeno una fraternità in nome di un’entità trascendente, ma diventa unione costruita dagli uomini e dalle donne nel nome di una fraternità senza padre; costruzione culturale e sociale che dà l’impronta alla qualità delle relazioni. Richiede uno sforzo creativo e costruttivo di uomini e donne a partire dalla condivisione di «un comune destino» e nel segno di un diverso «dover essere» che contempli la responsabilità condivisa. In questo senso, morale e politica sono strettamente collegate e anche chi non crede può trovare le sue motivazioni a praticare la fraternità in qualche forma. Come sostiene Morin invocando un «umanesimo rigenerato», «(…) comprendere l’altro comporta il riconoscimento della nostra comune umanità e il rispetto delle sue differenze. Sono queste le basi su cui potrebbe svilupparsi la fraternità tra tutti gli umani in un’avventura comune di fronte al nostro destino comune»16.
L’umanesimo rigenerato porta a una fraternità allargata ad altri viventi e al Pianeta, giacché non si limita al riconoscimento dell’uguaglianza di diritti e della piena umanità a ogni persona, ma «(…) comporta anche la coscienza della responsabilità umana nei confronti della natura vivente della nostra Terra. Comporta la coscienza della comunità di destino di tutti gli umani, sollecitata sempre più dal processo scatenato della mondializzazione. Comporta infine la coscienza che ciascuno di noi è un momento della formidabile e incredibile avventura umana, la quale è un ramo ipersviluppato della formidabile e incredibile avventura della vita, la quale è un ramo ipersviluppato della formidabile e incredibile avventura del cosmo»17. La strategia che Morin indica per dare corpo a questo nuovo umanesimo e praticare la fraternità in un mondo globalizzato è quella di creare «oasi di fraternità», che inizialmente possono essere circoscritte, ma che tuttavia possono divenire «(…) luoghi di vita migliore, e al contempo luoghi di solidarietà e di fraternità»18. Dobbiamo creare – aggiunge il filosofo francese – «(…) degli isolotti di vita altra, dobbiamo moltiplicare questi isolotti dal momento che o le cose continueranno a regredire e le oasi saranno degli isolotti di resistenza della fraternità, oppure vi saranno delle possibilità positive ed esse diverranno allora punti di partenza per una fraternità più generalizzata in una civiltà riformata»19.

La fraternità può comprendere la sorellanza?
La fraternità può comprendere anche la sorellanza? Sorellanza è un termine che si è diffuso al di là delle comunità religiose soprattutto col femminismo, a partire dalla fine degli anni 60, e indica la solidarietà fra donne nel riconoscimento di una condizione comune e nella condivisa consapevolezza di essere oppresse, assoggettate al genere maschile. Una coscienza che ispira azioni comuni di liberazione fino all’estremo del separatismo, almeno nei paesi occidentali e fra le donne bianche. L’intersectionality che è stata teorizzata soprattutto negli anni successivi20 – cioè il tener conto di diverse forme di oppressione dovute a diverse identità che si intersecano e producono molteplici livelli di ingiustizia sociale – ha corretto quella definizione semplificata o addirittura l’ha messa in discussione, enfatizzando anche la dimensione del conflitto fra donne. E tuttavia, nominare la sorellanza resta importante perché ha fatto emergere che la fraternità è complessa, fatta di almeno due generi, e contiene anche il femminile. Il che implica che il suo esercizio deve contemplare quella dimensione di irriducibilità di un genere all’altro di cui parla Luce Irigaray, di un limite che si pone ai due generi nella pratica delle loro relazioni, limite necessario a creare relazioni senza dominio e prevaricazioni di un genere sull’altro, bensì basate sul rispetto reciproco.
I fratelli che si riconoscono come tali soprattutto nel nome del potere21 e le sorelle devono essere in comunicazione fra loro per stabilire un nuovo patto di con-vivenza fra i generi.
Sorellanza ha di per sé una dimensione meno universale rispetto alla nozione di fraternità così come si è costruita nel tempo; essa può essere considerata un concetto contingente, legato alla presa di coscienza delle donne rispetto al loro status di emarginate e discriminate. Possiamo anche dire che è destinata a essere superata – insieme con la fratellanza nel nome del potere – in un orizzonte di costruzione di un mondo comune di uomini e donne, di riconoscimento del reciproco rispetto delle libertà di ciascuno e di ciascuna e della dignità umana delle donne pur nelle loro differenze. Nonostante che abbia la sua origine nel maschile frater, la fraternità può – deve – giungere a comprendere anche la sororità e divenire un universale che però non è più neutro, ma duale, giacché comprende la sorellanza come monito di consapevolezza di un limite insuperabile che frena e impedisce l’assoggettamento delle donne.

1 Papa Francesco, Fratelli tutti, Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, Roma 2020.
2 Voltaire, Trattato sulla tolleranza, Editori Riuniti, Roma 1970, p. 124.
3 M. R. Manieri, Fraternità. Rilettura civile di un’idea che può cambiare il mondo, Marsilio, Venezia 2013, p. 82.
4 Ibidem, p. 80.
5 Mi occupo del tema nel mio Responsabilità. Figure e metamorfosi di un concetto, Donzelli, Roma 2015.
6 A. M. Baggio (a cura di), Il principio dimenticato: la fraternità nella riflessione politologica contemporanea, Città Nuova, Roma 2007.
7 E. D’Antuono, La fraternità tra memoria e oblio, in «Quaderni di Dialoghi», Speciale 2021.
8 A. M. Baggio, Introduzione a Il principio dimenticato, cit., p. 6.
9 O. de Gouges, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Rinvio al mio Care ragazze. Un promemoria, Donzelli, Roma 2010 (2a 2011).
10 F. Dostoevskij, L’idiota, Garzanti, Milano 1978, pp. 570-71.
11 H. Arendt, L’umanità in tempi bui. Discorso su Lessing, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006.
12 J. Ratzinger, La fraternità cristiana, Queriniana, Brescia 2005. Interessanti in proposito le considerazioni di F. Amerini, La fraternità cristiana. Note a margine di un libro di Joseph Ratzinger, in Solidarietà, Diabasis, Parma 2017.
13 Jean Paul Sartre, Benny Lévy, La speranza oggi. Le interviste del 1980, Mimesis, Milano 2019.
14 Ibidem, p. 74.
15 E. Morin, La fraternità, perché? Resistere alla crudeltà del mondo, Ave, Roma 2020, p. 13.
16 Ibidem, p. 42.
17 Ibidem, p. 55.
18 Ibidem, p. 46.
19 Ibidem, p. 53.
20 Molto utile a chiarire la multidimensionalità dell’esperienza è A. Loretoni, Un femminismo intersezionale e multidisciplinare, in «Iride», 1/2018.
21 Cfr. C. Pateman, Il contratto sessuale, Editori Riuniti, Roma 1997.