Un’Europa capace di ripensare se stessa
di David Sassoli

Stiamo vivendo una fase di grandi cambiamenti. Sin dal primo giorno di questa legislatura europea abbiamo detto che questa sarebbe stata una stagione di forte discontinuità con i modelli economici, sociali e politici del passato.
Nei primi due decenni del nuovo secolo abbiamo assistito ad un rallentamento della costruzione europea perché una visione economica imperniata sul neoliberismo, su una globalizzazione senza regole e su un mercato sempre più dominato dalle logiche finanziarie, non ha fatto altro che produrre ferite, e talvolta vere e proprie fratture, nel corpo sociale.
Se è vero che gli egoismi nazionali ci frenano e che le istituzioni hanno bisogno di maggiore coraggio politico, è altrettanto vero che non esiste una strada alternativa rispetto all’Europa. Nessuno può farcela da solo e quindi, oggi più che mai, è necessario proteggere l’unità e la coesione europea, cioè il contesto nel quale diverse generazioni hanno fatto esperienza di pace e hanno saputo costruire un modello che per una lunga stagione ha favorito benessere, crescita economica, diritti sociali e civili.
Sappiamo che la globalizzazione non può essere fermata, ma nostro dovere è lavorare affinché vi siano regole e diritti fondamentali garantiti. Ecco perché abbiamo bisogno di rendere più efficienti le nostre istituzioni, proteggere i nostri valori e sostenere la nostra indipendenza.
Questa pandemia, ovvero un fenomeno mondiale che è riuscito a fermare e condizionare la vita del pianeta, ci ha dato una lezione: siamo tutti interdipendenti, legati gli uni agli altri.
In virtù di questo dobbiamo valorizzare ancora di più l’identità della cittadinanza europea. Con l’esperienza degli ultimi dieci anni abbiamo capito che non è accettabile un’economia senza morale, uno sviluppo senza giustizia, una crescita a scapito delle generazioni future.
In questo senso l’Europa sarà utile, non solo ai nostri paesi e ai nostri cittadini. Le sfide che dobbiamo affrontare sono impegnative e chiedono all’Europa una grande unità. Pensiamo, ad esempio, alla lotta alla povertà, alle grandi questioni finanziarie, alla sfida ambientale, alla sicurezza, agli investimenti, all’immigrazione, alla politica agricola, all’industria, alla sfida tecnologica.
Quali di queste grandi questioni potrebbero essere affrontate dai nostri singoli paesi? Nessuna. E per molte sfide lo spazio europeo è già troppo piccolo.
Ma un’Europa più solidale – e quindi più forte – non può essere solo il risultato di interventi legislativi, poiché occorre restituire centralità alla persona umana, investire sul valore della comunità e perseguire uno sviluppo integrale orientato al bene comune. Mai come in questo momento abbiamo bisogno di partecipazione, dialogo e collaborazione. L’Unione deve tornare ad avere fiducia in se stessa.
Per questo dobbiamo caricarci sulle spalle l’ansia di cambiamento che ci ha trasmesso papa Francesco, quando ci ha invitato tutti a lavorare per «un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo», che possa recuperare la progettualità dei padri fondatori, interpretare i cambiamenti del nostro tempo e aprirsi alla complessità del mondo.
È necessario quindi riappropriarci delle nostre radici e rimettere al centro del pensiero un’etica della persona, che vada oltre la semplice logica del profitto economico. Per farlo dobbiamo continuare ad abbattere i muri, ridurre le disuguaglianze e sentire la responsabilità di proteggere la nostra casa comune da coloro che scommettono su nuovi autoritarismi.
Tutto questo ci impegna a definire anche una nuova idea di Europa, come ci hanno chiesto milioni di cittadini lo scorso anno quando, alle elezioni europee, hanno dato fiducia ad un cambiamento possibile: un’Europa che ascolta, che si pone al servizio delle persone e che cerca convergenze sui grandi temi. Un’Europa utile, che non si accontenti di autoconservarsi, disposta a mettersi in gioco, a ripensare al proprio funzionamento democratico. Servono grandi riforme e con la drammatica lezione del Covid-19 non è più tempo di aspettare. Domani sarà troppo tardi.