Toscana: la bellezza di un territorio e le politiche di una regione
di Enrico Rossi

Il territorio e il paesaggio della Toscana, conosciuti in tutto il mondo per la loro bellezza, non sono un dato acquisito una volta per tutte: sono beni fragili, che si reggono su equilibri delicati, risultato di un lavoro paziente e di lungimiranti decisioni. Per questo la Regione Toscana si è dotata di strumenti legislativi di tutela del paesaggio, nella convinzione che il vincolo non è un limite, ma uno strumento per preservare – senza fermare le trasformazioni – la qualità del territorio, portando avanti un lavoro delicato che vede coinvolti, nelle conferenze paesaggistiche, le varie realtà locali per definire, attraverso il confronto e il dialogo, le regole in sintonia con le linee guida del Ministero e della Convenzione Europea del Paesaggio.

Una costante attenzione

Il governo del territorio è, per la Regione Toscana, un tema cruciale. Questa importanza non deriva solo dal valore inestimabile del paesaggio toscano, risultato di una secolare interazione tra natura e cultura, tra un ambiente di straordinaria ricchezza e varietà e l’incessante opera del lavoro umano. Vi è anche la profonda consapevolezza di quanto questo equilibrio non possa essere considerato un dato acquisito per sempre, ma richieda, al contrario, una costante attenzione e sforzo per mantenerne l’integrità e la bellezza. Scelte politiche ed economiche sbagliate possono metterlo facilmente a repentaglio. L’Italia ha una legislazione avanzata nella tutela del paesaggio, che affonda le sue radici in una lunga tradizione culturale e nell’art. 9 della Costituzione: «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico della nazione». Allo stesso tempo in passato modelli di sviluppo sbagliati hanno portato a squilibri profondi: solo dal 1995 al 2006 l’Italia ha consumato 750 mila ettari di superficie libera, un territorio equivalente all’Umbria. Dinamiche come queste, oltre ad alterare paesaggi che sono il risultato di evoluzioni secolari, espongono il territorio a rischi che diventano sempre più rilevanti di fronte alle nuove questioni poste dal cambiamento climatico. Sempre più spesso ci troviamo di fronte a fenomeni estremi, a sconvolgimenti e a catastrofi le cui conseguenze possono essere tanto più gravi quanto meno siamo in grado di immaginare una politica organica di governo del territorio. Le scelte che vengono compiute non possono non essere informate ad una considerazione complessiva che ne valuti l’impatto sul territorio. La politica, come diceva Machiavelli, ha il compito di approntare gli argini che possano provare a contenere gli sconvolgimenti arrecati dalla Fortuna. Al tempo stesso, proprio per le sue caratteristiche uniche, il territorio toscano può essere una risorsa straordinaria, un elemento sul quale impostare una strategia a lungo termine di sviluppo sostenibile.

Il PIT e la Legge 65/2014

È sulla base di queste considerazioni che nella scorsa legislatura ci siamo posti il problema di quali potessero essere gli strumenti più adatti per difendere il territorio e per porre un limite al consumo di suolo. La risposta è stata trovata in due strumenti fondamentali: il PIT (Piano di indirizzo territoriale) con valenza di Piano paesaggistico e la Legge regionale 65/2014. L’obiettivo di queste misure era quello di valorizzare il patrimonio territoriale e paesaggistico per favorire uno sviluppo regionale sostenibile e durevole. Pur inserendosi da un lato in un solco in parte tracciato dalle politiche precedenti della Regione, queste misure erano al contempo innovative ed esprimevano un disegno ambizioso, fondato sulla consapevolezza di quanto il territorio potesse essere un elemento centrale in una visione di sviluppo della Regione. L’idea di territorio che ispirava questi provvedimenti era quella di un ecosistema animato da una costante relazione tra lavoro, operosità, manutenzione, tutela e cittadinanza. L’obiettivo non era imporre nuovi vincoli, ma riordinare e chiarificare quelli già esistenti, in modo da fornire uno strumento efficace per la pianificazione e per la decisione. La legislatura attuale, dal punto di vista delle politiche del territorio, si è assegnata il compito di proseguire nella direzione tracciata da questi due strumenti, portandoli a compimento e a piena attuazione. Si tratta di materie di grande complessità e questo deve avere inevitabilmente un riflesso anche sul ruolo che la Regione assume nel progettare tali politiche di cambiamento. C’è innanzitutto la necessità di far comprendere ai cittadini la finalità e la natura di questa legislazione. La tradizione del riformismo toscano ci insegna che l’impegno e la partecipazione attiva dei cittadini sono elementi fondamentali per il perseguimento del bene comune. Al tempo stesso è necessario un continuo confronto con tutti gli interlocutori. Solo in questo modo è possibile rendere davvero efficace questo quadro regolativo. È stato necessario, in particolare, coinvolgere gli enti locali, che non avevano partecipato in prima battuta alla redazione di questi strumenti. In questi primi anni di vigenza della Legge 65/2014 e del PIT PPR, infatti, la Regione ha cercato di accompagnare e supportare le amministrazioni locali nell’assunzione di scelte di pianificazione che si traducessero in atti di governo conformi al PIT, in un quadro di norme e principi condivisi e applicati in maniera omogenea. Il PIT con valenza di Piano paesaggistico rappresenta una grande innovazione culturale e di metodo. Si tratta di uno strumento di pianificazione regionale, condiviso con il MIBACT, pensato per dare vita ad una nuova stagione di pianificazione che permetta di governare le trasformazioni che interessano il paesaggio regionale nel suo complesso. Come accennato, alla base vi è l’idea che il paesaggio possa essere innanzitutto un fattore di crescita e un motore di sviluppo. Il paesaggio, secondo il principio fondamentale che sottende i 18 articoli della Convenzione Europea del Paesaggio, è ciò che mette in relazione il territorio con l’uomo che lo percepisce. Il Piano paesaggistico della Toscana si fonda appunto su questo concetto di paesaggio, implicito nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs 42/2004), nonché di quella Convenzione Europea del Paesaggio che proprio a Firenze, il 20 ottobre del 2000, è stata firmata. La necessità di pianificare il PIT in collaborazione con il Ministero rappresenta una sfida con la quale in questi anni la Regione si è confrontata affrontando le complessità legate alla sua messa in opera.

La Conferenza paesaggistica

Ogni settimana, insieme alle quattro soprintendenze di zona, attraverso lo svolgimento di una media di 5/6 conferenze paesaggistiche, ci si propone di perseguire l’adeguamento al Piano paesaggistico dei diversi livelli di pianificazione comunale e di settore. Da gennaio 2015 ad agosto 2018, sono state portate a compimento oltre 250 conferenze paesaggistiche, la maggior parte per varianti agli strumenti urbanistici, ma è iniziato anche il percorso per conformare i primi nuovi Piani Strutturali e i Piani Operativi. La Conferenza paesaggistica rappresenta la novità più importante contenuta nella nuova normativa. È il luogo individuato dal Piano paesaggistico per attuare lo strumento che deve garantire la preservazione delle regole costitutive del nostro paesaggio, garantendo al contempo tutela e sviluppo. La scommessa che sta alla base del complesso percorso che la Regione sta portando avanti, è quella di andare oltre la sola tutela. Ci si propone ora di definire attraverso il confronto e il dialogo, nuove regole in grado di anticipare e, dunque, indirizzare la concezione dei singoli progetti, per garantire il governo del territorio e delle sue trasformazioni in sintonia con quanto suggerito anche dalla Convenzione Europea del Paesaggio. È stato firmato con il Ministero dei Beni Culturali un accordo per regolare il funzionamento della Conferenza paesaggistica. L’obiettivo è stato quello di arrivare ad avere procedure più semplici per abbatterne i tempi ed armonizzare i criteri di valutazione degli uffici regionali e delle sovrintendenze. Su questa strada dobbiamo proseguire con grande convinzione. Del resto, è il Codice dei beni culturali e del paesaggio a disporre che gli strumenti di pianificazione territoriale o urbanistica debbano essere conformi o adeguati alle disposizioni dei piani paesaggistici, demandando alla legislazione regionale l’individuazione delle procedure, da condursi con la partecipazione degli organi ministeriali. L’attuazione per PIT PPR presuppone da parte di tutti gli attori, dalla Regione al Ministero, le sovrintendenze e gli enti locali un cambio di visione, un nuovo approccio culturale rispetto alla gestione ed alla tutela del paesaggio. Si tratta di un salto culturale che richiede l’impegno di tutti gli attori coinvolti concentrando l’attenzione sugli strumenti di pianificazione soprattutto al momento della previsione, piuttosto che a quello del progetto. Sarà per questo necessario continuare a lavorare per migliorare il funzionamento delle conferenze paesaggistiche, semplificando le procedure e agevolando gli sforzi di pianificazione che oggi i comuni stanno portando avanti. Al contempo dovrà proseguire lo sforzo per l’aggiornamento del quadro conoscitivo, lavoro che viene portato avanti con l’Università, con le sovrintendenze e con Anci in merito alle aree compromesse e degradate e alle aree boscate.

Un cambiamento di prospettiva

Negli ultimi anni il nostro impegno è stato rivolto anche all’applicazione della L.R. 65/2014, cominciando dalla definizione dei regolamenti attuativi. Sono state apportate anche alcune modifiche alla legge, che sono servite, oltre ad allinearla con i dispositivi nazionali successivi, soprattutto a semplificarne l’attuazione. Un esempio concreto è quello che riguarda le conferenze di co-pianificazione, le regole per la pianificazione del territorio rurale, o la pianificazione intercomunale. Importante anche l’impegno per omogenizzare la legge con il PIT e soprattutto a dare chiare indicazioni ai comuni sull’applicazione dei due strumenti, proprio nell’ottica di quella rinnovata collaborazione che ha caratterizzato questa fase. È stato organizzato con Anci un percorso di corsi di formazione rivolti a tutti gli attori della pianificazione, che hanno rappresentato non solo momenti di crescita, ma anche di scambio e di utile discussione. Dall’entrata in vigore della legge i comuni hanno iniziato il lavoro per l’aggiornamento e adeguamento dei propri strumenti urbanistici in prevalenza avvalendosi delle norme transitorie, ma in molti al contempo hanno colto la visione innovativa che punta su una pianificazione strategica di area vasta che si realizza tramite i piani strutturali intercomunali, oggetto di specifici finanziamenti regionali. Oggi i comuni che hanno avviato questo percorso sono ben 163, per un totale circa 3.5 milioni messi a disposizione dalla Regione, dal 2016 al 2018. In questi ultimi anni sono state seguite le procedure per oltre 600 varianti ai regolamenti urbanistici dei comuni e circa 200 nuovi strumenti di pianificazione, tra PS e PO. Resta di fronte a noi l’avvio della vera e propria stagione del rinnovo degli strumenti di pianificazione, come previsto dalla L.65, seguendo il percorso di conformazione al Piano paesaggistico e mettendo al centro la parte statutaria, in quella che sarà una stagione fondamentale per disegnare lo sviluppo territoriale della Toscana in modo più maturo e consapevole. Sono stati anni impegnativi, ma sono anche anni di grande fervore e di positivo confronto con le scelte dei territori. Per il novembre 2019 si stimano in circa 150 i procedimenti relativi ai Piani Strutturali ed ai Piani Strutturali Intercomunali e in circa 200 quelli relativi ai Piani Operativi, avviati. Si tratta di un passaggio davvero strategico per la Toscana, che vede la Regione in un ruolo di regia e coordinamento, che consentirà il superamento di logiche locali, a favore di analisi e valutazioni più rispondenti alle reali esigenze della popolazione. Con la fine della legislatura corrente pensiamo di lasciare in eredità alla Regione un lavoro importante che consentirà di disporre di strumenti che permettano di coniugare le diverse necessità che riguardano il territorio toscano che, per la sua bellezza, la sua varietà e la sua armonia, rappresenta da sempre uno dei punti di forza della nostra Regione.

Questo sforzo è animato dalla consapevolezza di fondo che il territorio e il paesaggio sono beni fragili, che si reggono su equilibri delicati. I muri a secco, i corsi d’acqua, gli argini, i fossi, le colture: tutto è parte di un insieme, che è il risultato di un lavoro paziente e di lungimiranti decisioni, come le bonifiche e i rimboschimenti che furono promossi dal riformismo dei Lorena. Il vincolo non va allora concepito come un limite, ma come uno strumento per preservare – senza fermare le trasformazioni – la qualità del suolo, dell’aria, dell’acqua che rendono la Toscana un luogo ancora così apprezzato nel mondo. Il cambiamento di prospettiva che stiamo promuovendo ha un’importante dimensione culturale e come tale richiede un continuo confronto, anche dialettico, tra politica e intellettuali. Da questo punto di vista si è talvolta schematizzato questo rapporto nelle due possibilità opposte dell’opposizione o del rapporto strumentale. La nostra esperienza, per quanto riguarda il percorso che ha portato all’approvazione del Piano, è diversa, e mostra che anche oggi è possibile un rapporto di reciproco stimolo e confronto tra cultura e politica, che, qualora potesse essere esteso anche ad altri ambiti potrebbe indicare una via per sottrarsi alla sfiducia e al disincanto che dominano il nostro tempo.