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L’UOMO DEI DIRITTI, IN CARNE E OSSA

di Domenico Quirico

 

L’uomo della Dichiarazione universale dei diritti umani, non è una figura giuridica astratta: l’uomo dei diritti ha carne e ossa e lo troviamo quotidianamente incarnato nel Migrante e nel Profugo. È in mezzo a noi, nel nostro opulento Occidente, ma non lo vediamo, perché viene trasformato in fantasma, in estraneo, in escluso da un morbo più buio della violenza: l’ipocrisia.

 

«Ma, allora, Dio a che serve?»

L’uomo, l’uomo in carne ed ossa, che nasce, soffre e muore, che mangia, beve, pensa e ama e odia. L’uomo che si vede, che si ascolta. Il fratello di ognuno di noi. E poi c’è l’altro: l’uomo delle ideologie, dei fanatismi,

delle interessate divagazioni politiche, delle chiacchiere degli stolti, che non ha luogo o tempo, che non ha gioia né sofferenza vera. Ovvero il non uomo. Il nostro è il primo, quello in carne ed ossa. L’uomo dei Diritti. Attenti, non commettete l’errore: non pensate che l’uomo fissato in questa sublime invenzione che compie settanta anni sia astratto, che lo si debba cercare soltanto sui libri e nelle leggi internazionali. No. È il Migrante, il Perseguitato nei mille luoghi del mondo in cui il delitto si traveste da legge o da prescrizione santa di Dio. È qui tra noi, anche nel sontuoso Occidente, laddove non sappiamo essere all’altezza di ciò che diciamo di essere. L’uomo per cui sono stati inventati i diritti universali lo vedete crocifisso, vilipeso, umiliato, torturato nelle fotografie che arrivano da luoghi veri, vicini, che si chiamano Libia Iraq Nigeria Birmania Somalia Afghanistan…

E ancora, ancora. Nel terzo millennio gli esseri umani sono di nuovo venduti e comprati come armenti. Come ai tempi di Cleone e di Spartaco. La fede nel diritto è coperta di cenere: derisoria, puerile, sterile.

 

A lettere maiuscole

Sì, allora lo scrivo maiuscolo, Migrante, Perseguitato, ne ha diritto, quando l’uomo è ridotto così, a sola sofferenza, la sua bocca si muove a parole essenziali; quando è caduta la povera astuzia, l’eloquenza lamentosa del dolore, ed è impossibile anche la mimica della implorazione in un volto che è soltanto una spugna. Silenzio: non parlate. Non berciate stupidaggini così: «Vabbè, sarà vero, questa gente soffre ma dobbiamo occuparcene solo noi? Alla fine che si liberino da soli…». C’è un morbo più buio della violenza, è l’ipocrisia. Silenzio. Non fate retorica. Guardate! La constatazione è tremenda: la pietà e la legge muoiono ogni giorno a qualche chilometro da noi, sono la cronaca del tempo. Il grido delle vittime risuona agghiacciante nelle contrade giallastre e bianche di mille dittature. Più agghiacciante dei rintocchi della crocefissione. I loro volti si affacciano dalle immagini come fantasmi estranei ed esclusi. Eppure per noi, uomini dell’isola felice dell’Occidente, ogni avvenimento è solo un piccolo cattivo segno in più. Di tanto in tanto una eccezione che le cronache ingigantiscono per creare la illusione dell’inatteso. Mi è venuta in mente la domanda che mi pose una giovane migrante in un centro di accoglienza di Tripoli, tre anni fa, citandomi le sue piaghe: ma allora Dio a che serve? Quello che vedete è l’ennesimo capolavoro del Male, un lembo dell’inferno trapiantato sulla terra dei vivi. Il Male oggi non si nasconde più, non si vergogna, anzi chiede la nostra complicità, la nostra collaborazione. Vuole che sappiamo. E noi da questa parte del mare sappiamo. Da anni. Irridono e calpestano l’unica invenzione perenne che l’Occidente ha creato nel secolo dei pizzi, dei minuetti. E delle rivoluzioni. Il diritto e l’uomo universale: senza aggettivi aggiunte specificazioni qualità passaporti brevetti. L’uomo nudo. Il problema del Male si impone di nuovo come una forza distruttrice. Dobbiamo, per l’ennesima volta, scegliere tra rinchiuderci in noi stessi o difendere la Legge dell’uomo. Avverto in questo anniversario come una terribile sosta nelle cose, una sosta di estasi nella inazione, un girotondo tremendo di trottola, assorbente, monotono, eterno: la sensazione di un guasto nel tempo storico.