DEI DIRITTI E DEI DOVERI

di Agnes Heller

 

Esistono obblighi senza diritti? È il quesito che, sia sul piano storico che filosofico, impone di affrontare la questione della reciprocità fra diritto e obbligo (o dovere), declinata nei termini della cittadinanza nonché della relazione con le generazioni passate e quelle future, con le implicazioni che questa relazione comporta, legate ai concetti di vita e di libertà, non solo in ambito personale, parentale o di città o Stato, ma anche nei riguardi del pianeta terra. La relazione è necessariamente asimmetrica con le generazioni future, perché in quanto tali, esse non possono ancora avere diritti, ma l’obbligo delle generazioni attuali può essere proprio quello di preoccuparsi delle loro possibilità di vita e, quindi, del «diritto ad avere diritti».

 

Quello che insegnavano la Bibbia e il Maestro Meng

Esistono obblighi senza diritti? La domanda può apparire retorica, come tutte le domande cui è possibile dare una sola risposta, e «ovviamente» anche in questo caso. In tutte le relazioni ordine-obbedienza di asimmetrica reciprocità, gli obblighi, o piuttosto i doveri, non vengono di solito accompagnati da dei diritti. Non vi è alcun diritto collegato in tali relazioni, almeno non nell’attuale accezione della parola «diritto», dal momento che si tratta di prerogative. Nell’antica Roma un figlio non poteva neppure reclamare il proprio diritto alla vita davanti a suo padre, il quale poteva legalmente ucciderlo se ciò lo aggradava, senza neppure l’obbligo di una giustificazione. Anche oggi, in alcune culture, un padre ha il diritto di uccidere sua figlia se ritiene un suo comportamento sessualmente «immorale». Obblighi, fondati su principi morali, non solo sulle norme di diritto, esistono anche in ogni relazione di reciprocità asimmetrica. Sebbene le donne non siano state generalmente titolari di diritti, i mariti avevano spesso degli obblighi verso di loro. Le religioni spesso prescrivevano degli obblighi, anche delle rivendicazioni morali, senza che ad essi corrispondessero dei diritti. Per esempio, la Bibbia impone di dare agli stranieri ciò che spetta loro: dovete agire doverosamente verso gli stranieri perché non dovete mai dimenticare che anche i vostri antenati furono stranieri. Questo obbligo è già un caso di giustizia intergenerazionale, sul quale tornerò. Secondo il Maestro Meng, dobbiamo comportarci verso nostro padre come ci aspettiamo che nostro figlio si comporti nei nostri riguardi. Anche questo è un esempio di giustizia intergenerazionale, sebbene diverso dal primo, dal momento che esso prevede degli obblighi verso tuo padre, senza dei diritti corrispondenti, ma puoi aspettarti di avere gli stessi diritti davanti ai tuoi figli. Alcuni aspetti di questa tradizione hanno acquisito più tardi una forma giuridica cosiddetta «diritto del bambino». Ho detto «cosiddetta», in quanto i bambini piccoli sono solo potenzialmente, e non realmente, titolari di diritti dal momento che non esiste una asimmetria reciproca fra loro e i genitori. Certamente, è necessario che vi sia una legge, con specifiche e serie sanzioni contro coloro che non trattano i bambini secondo i canoni morali e culturali delle società moderne, che non ottemperano i propri obblighi morali e legali. Tuttavia, io ho seri dubbi che queste violazioni della legge debbano necessariamente essere considerate delle violazioni dei diritti.

 

Quella causa vinta da Cicerone

Per esporre la mia posizione preliminare senza mezzi termini: solo in relazioni di reciprocità simmetrica i diritti costituiscono il fondamento (arché) di una rivendicazione, tanto in senso positivo che negativo. Un patrizio Romano aveva il diritto di partecipare all’elezione di tutti i magistrati della città, mentre la plebe aveva acquisito il diritto di eleggere solo i propri rappresentanti. Un cittadino Romano ha inoltre il diritto di non essere crocifisso. Nel caso di tutti i diritti politici o anche dei «quasi-diritti», la reciprocità simmetrica è presupposta nella stretta relazione nella quale si trovano i titolari dei diritti, sebbene non abbiano tra loro altri tipi di relazioni. Cicerone riuscì a vincere la sua causa contro un magistrato Romano non sulla base del fatto che l’uomo era un malversatore e un ricattatore, ma sulla base del fatto che egli aveva fatto crocifiggere – senza neppure un processo – un cittadino Romano. Questo è solo un esempio del fatto che la violazione del diritto di un altro comporta sempre delle sanzioni, legali, morali e in particolare politiche. Ciò significa che i diritti politici, i diritti dei cittadini, vanno sempre insieme all’obbligo di onorare i diritti di tutti gli altri cittadini e ad impedire che essi vengano violati. Questi diritti sono libertà. Kant ha formulato il tradizionale, e ancora, dal mio punto di vista, assolutamente valido principio del liberalismo: ciascuno ha il diritto, la libertà di fare ciò egli o essa vuole, finché non limiti la libertà, le libertà, degli altri. In questo senso i diritti politici, che sono libertà, vanno insieme ai corrispondenti obblighi di onorare e di non limitare le altre libertà dei cittadini. Ma per quanto riguarda i titolari di diritti, le libertà e i diritti politici sono prerogative, non obblighi. Dipende dalla Costituzione dello Stato (scritta o non scritta) se le prerogative si trasformano in obblighi. Per esempio i cittadini americani possono o meno decidere se votare o no, mentre in Australia è obbligatorio votare alle elezioni nazionali e se uno non va a votare, deve pagare una multa o andare in prigione. Tuttavia, l’essere tutelati dalla legge, o l’essere titolare di pieni diritti non sono la stessa cosa. Uno straniero è anche un titolare di diritti, un residente straniero può anche beneficiare della totale protezione della legge (come negli Stati Uniti), ma non beneficerà di tutti i diritti di cittadinanza, come ad esempio partecipare alle elezioni presidenziali. Senza mezzi termini, la categoria dei titolari di tutti i diritti politici è più piccola della categoria di persone tutelate dalla legge. Allo stesso tempo, comunque, il godimento di alcune libertà (ho la libertà di farlo se lo voglio) può riguardare tutti coloro che vivono in uno Stato, ma può essere limitata anche entro il gruppo di coloro che hanno piena cittadinanza. Per esempio, la libertà di religione è stata la prima libertà goduta da chiunque negli Stati Uniti, al tempo in cui era invece limitata nel Regno Unito anche tra cittadini. Infine, vi sono casi di diritti che non comportano obblighi, per esempio il diritto di guerra: uno Stato può sostenere di avere il diritto di muovere guerra contro un altro Stato, ma nessuno è obbligato a riconoscere che questo è un diritto. Questi esempi casuali non sono così superati come potrebbe sembrare. Per esempio, in uno Stato totalitario non ci sono titolari di diritti politici, perché non ci sono cittadini, ma solo sudditi. Il solo diritto garantito ai sudditi è l’antico diritto feudale: lo jus supplicationis. Ciascuno ha diritto di chiedere favori. Infatti János Kádár lo ha espresso correttamente quando ha dichiarato che ciascun ungherese ha il diritto di richiedere il passaporto. I sudditi non hanno altro che obblighi senza corrispondenti diritti. Tuttavia non soltanto negli stati totalitari le relazioni formali tra i cittadini sono asimmetriche, ma in tutti gli stati anti-liberali. Si possono trovare stati anti-liberali, ancorché formalmente stati democratici, in diverse parti del globo. Questi stati tengono elezioni nazionali con la partecipazione di tutti i cittadini, per quanto la maggioranza spesso opprima le minoranze. In simili casi di legge formale della maggioranza, membri delle minoranze tribali, religiose, etniche non hanno altri diritti che quello di supplica. E, come ho detto, i diritti politici presuppongono reciprocità simmetrica, rispetto per i diritti degli altri, obbligo di onorarli e sanzioni legali contro coloro che violano il diritto degli altri. Oggi i diritti politici sono intrinseci alle democrazie liberali, e solo in quelle sono diritti dei cittadini. Sono diritti accompagnati quanto meno da un obbligo, specificamente quello di rispettare i diritti di tutti gli altri. Per quanto riguarda i diritti dei cittadini, il tradizionale principio di giustizia «a ciascuno secondo il proprio grado» è sostituito dal nuovo principio democratico «a ciascuno lo stesso», che vuol dire uguali diritti e uguali doveri. La violazione dei diritti degli altri comporta sanzioni, soprattutto sanzioni legali. Almeno questo è il moderno modello dei diritti e dei doveri dei cittadini a cui le società e gli stati liberal-democratici tendono, sebbene non vi aderiscano perfettamente.

 

Fra felicità e libertà

La struttura di un altro tipo di diritti, quelli chiamati diritti sociali, differisce dalla struttura delle libertà. La formula delle libertà è: io posso se voglio, e nessuno può legalmente impedirmi di fare ciò che voglio (per esempio, cambiare la mia religione o partecipare ad una manifestazione o simili). La struttura dei diritti sociali è la seguente: sono titolato ad avere ciò di cui ho bisogno, per esempio ho diritto a cure mediche se sono malato. Un altro diritto particolarmente rilevante è quello all’educazione primaria o secondaria. Anche il diritto di proprietà è un caso speciale, sebbene né la formula della libertà né quella dei diritti sociali vi si possano applicare. Tali diritti sono anche accompagnati da obblighi, ma non solo l’obbligo di rispettare il diritto dell’altro. L’educazione è un diritto, ma fino ad una certa età è obbligatorio. Così anche per alcune vaccinazioni. Il principio di giustizia si applica contestualmente, per esempio, nell’educazione elementare come «a ciascuno lo stesso», e nell’educazione superiore come «a ciascuno in base al merito». I diritti sociali sono stati accettati più tardi delle libertà. Tuttavia, sono diritti solo nelle democrazie liberali, dove sono anche diritti di cittadinanza. La presenza di istituti di welfare non è la stessa cosa dei diritti sociali. Ci sono istituti di welfare senza libertà civili, sebbene non vi siano diritti sociali senza libertà politiche e civili. Vi sono anche diritti detti umani come il diritto al rispetto, alla dignità, all’autodeterminazione in casi relativi alla religione, all’ambiente, alle visioni del mondo, ecc.

I diritti umani sono una costruzione ideale, perché solo nelle democrazie liberali con diritti di cittadinanza, la loro violazione viene sanzionata. Nella maggioranza delle nazioni odierne, questi e altri diritti umani sono viceversa costantemente violati senza alcuna richiesta di sanzioni legali. Comunque, il concetto e l’idea di «diritti umani», anche indipendentemente dai diritti dei cittadini, è una importante e attiva narrazione. Fornisce formalmente un punto di riferimento o anche il fondamento per un rifiuto critico di quelle istituzioni politiche nelle quali questi diritti sono continuamente violati. Il paternalismo, la pratica di un cosiddetto governo benevolo che si prende cura del proprio popolo, può creare istituzioni di welfare, ma ciò non sostituisce né i diritti civili né quelli umani. Anche perché i sudditi di un governo paternalista non possono adire dinamicamente alla giustizia né sono autorizzati a dire cose come «Le attuali istituzioni sono ingiuste, altre potrebbero essere giuste o migliori». C’era un tempo in cui il proposito di fare felice un popolo contro la sua volontà, fu discusso ampiamente sia da Kant che da Hegel. Kant dice che un popolo non può essere reso felice contro la propria volontà poiché la libertà viene prima della felicità; Hegel dice che un popolo non può essere felice, e basta. L’intera questione si catalizza sull’enunciazione elementare che ho esposto: non c’è diritto sociale senza libertà, perché il popolo deve essere libero di cambiare i diritti sociali, e per essere capace di farlo ha bisogno di godere delle libertà civili. Altrimenti l’unico diritto che gli rimane è lo ius supplicationis, una concessione al posto di un diritto.

 

Giustizia intergenerazionale

È da qui che voglio tornare al problema dei diritti delle generazioni future. Voglio chiarire il mio punto di vista fin dall’inizio. Abbiamo degli obblighi verso le future generazioni, anche la responsabilità di adeguarci a questi obblighi, ma le generazioni future non possono avere diritti. Non c’è e non può esserci reciprocità simmetrica tra noi e nessuna futura generazione, in realtà nessuna reciprocità. Permettetemi allora un altro approccio: parliamo di giustizia intergenerazionale. Prima di tutto bisogna discutere se si possa applicare una giustizia o una ingiustizia verso le generazioni precedenti. Per giustizia si intende qui correggere precedenti ingiustizie, fare ammenda. Ci sono tre tipologie del fare giustizia, in questo senso: attraverso la retribuzione, attraverso la restituzione e, infine, attraverso il giudizio morale o storico; tutti e tre i modi di fare ammenda hanno senso solo se abbiamo in mente il passato prossimo e non il passato remoto. La retribuzione è la strada maestra per fare giustizia in caso di crimini contro l’umanità, eccidi di massa, crimini di guerra, abuso di potere politico se i criminali sono ancora vivi. La retribuzione è normalmente nelle mani della popolazione di una nazione contro coloro che hanno commesso i crimini (come oggi in Cambogia o in Argentina) ed essi sono anche gli unici che possono procedere alla punizione (come è successo in Spagna). Ma la punizione può essere comminata solo nelle Corti internazionali, come il processo di Norimberga dopo la Seconda Guerra mondiale o la Corte di Bruxelles oggi. La retribuzione non è restituzione, perché i morti non posso essere resuscitati. La restituzione può assumere diverse forme (dal riappropriarsi delle proprietà confiscate fino all’aiuto finanziario), sebbene sia sempre una strada a senso unico, mentre il giudizio è una strada a doppio senso. Cosa si può fare attraverso la restituzione se coloro che hanno perpetrato la violazione sono morti? Prima di tutto, una parte o anche una nazione deve prendere su di sé le colpe dei padri e dei nonni, deve ammettere che questi crimini sono stati commessi. In questo caso le misure legali non possono venire prima delle ammissioni morali. Come la restituzione di alcune terre agli aborigeni australiani o il risarcimento economico cinquant’anni dopo per coloro che hanno sofferto nei campi di concentramento o i cui genitori sono stati uccisi sotto il nazismo. Nel caso di un giudizio morale retroattivo non c’è spazio per retribuzione o restituzione. Una volta che una persona sia stata condannata oppure sia stata eseguita la sentenza di morte, può essere riabilitata (come Galileo dalla Chiesa Cattolica), ma la giustizia intergenerazionale può andare anche in senso opposto. Persone in passato acclamate eroi possono essere degradate a mostri sotto il peso dei loro crimini scoperti oggi. Sicuramente esercitare la giustizia in questi casi può risultare una finzione in quanto una volta accaduti i crimini non possono essere annullati. D’altra parte, invece, è tutt’altro che fittizio pensare che i nipoti di quei colpevoli stiano ancora scontando le conseguenze delle colpe dei loro padri. Non i morti ma i vivi devono ammettere i loro doveri morali e, di nuovo, i vivi e non i morti devono reclamare i loro diritti morali. Secondo la tradizione, per esempio la Bibbia, il rispetto è dovuto ai nostri antenati, non solo quando sono vivi ma anche alla loro morte. È un obbligo dei figli e dei nipoti prendersi cura della sepoltura dei propri antenati e degli altri congiunti. Quest’ultimo obbligo, o meglio dovere, non può essere descritto in termini di diritti: una persona viola i comandamenti divini se non ottempera ai sacri doveri (v. Antigone). Io voglio enfatizzare un punto non marginale. Il dovere è verso i nostri antenati e non verso quelli degli altri, certamente non di tutte le generazioni precedenti alla nostra. Ripeto, anche in caso di giustizia intergenerazionale riferita alle generazioni precedenti, solo il giudizio morale può risalire oltre due generazioni nel passato. Ma, almeno, noi sappiamo, o crediamo di sapere, cosa i nostri bisnonni hanno fatto e quale fosse il loro senso di giustizia, ma non abbiamo idea di quello dei nostri nipoti o pronipoti. I nostri antenati morti sono, in verità, stranieri, ma tanto più lo sono le future generazioni. Per la verità, molti della nostra generazione sono a noi stranieri, ma almeno possiamo conoscerli, conoscere le loro sofferenze e le loro gioie attraverso i giornali, la televisione e anche le esperienze personali. Mentre non possiamo neppure immaginare la vita, i bisogni, le sofferenze e le gioie delle future generazioni. Questo è il motivo per cui ho detto che per noi sono assolutamente stranieri.

 

Gli alberi del domani

La prossima domanda è se gli assolutamente stranieri possano chiamarci in giudizio prima di essere nati. Se diciamo che loro hanno dei diritti, possiamo dire anche che noi potremmo essere puniti se li violassimo? Ma chi ci sanzionerebbe? Non le generazioni future, perché non esistono ancora. Solo noi potremmo sanzionare noi stessi se facessimo qualcosa che violasse i diritti di una futura generazione, un diritto che loro non hanno. Così, i loro diritti sono le nostre proiezioni. Noi li immaginiamo esattamente come i nostri. Noi proiettiamo noi stessi dentro le generazioni future, presupponendo che ciò che è giusto per noi lo sia anche per loro, e che non violare i loro diritti significa non fare a loro ciò che non vorremmo fosse fatto a noi. Sostanzialmente, la legge fondamentale della giustizia. Così facendo, noi potremmo sovrapporre la nostra immagine di ciò che è giusto a generazioni ancora non presenti. Ma che cosa accadrebbe se i loro bisogni fossero diversi dai nostri? Walter Benjamin, nelle sue note sulla filosofia della storia, approfondisce il pensiero che noi non siamo mai gelosi e invidiosi della generazione futura. Quando si parla di generazioni future abbiamo sempre dei buoni propositi. Di più, tradizionalmente, noi erigiamo edifici per il piacere delle future generazioni, piantiamo alberi, sotto la cui ombra non noi ma loro potranno divertirsi. Vogliamo che essi ereditino benedizioni. Quello che ci aspettiamo da loro è che ci conservino nei loro ricordi, nei loro buoni ricordi, che non vengano dimenticati né la nostra persona, né il nostro nome, né le nostre gesta. Noi vogliamo che essi raggiungano al nostro posto ciò che noi non siamo stati capaci di raggiungere, diventare ciò che noi non siamo riusciti a diventare. Noi proiettiamo i nostri desideri – immortalità compresa – nelle vite e nei bisogni delle generazioni future. Tale proiezione era nei tempi passati abbastanza razionale, perché il mondo cambiava ma lentamente e la struttura dei bisogni di figli e nipoti non differiva sostanzialmente dalla struttura dei bisogni dei loro antenati. Oggi, simili proiezioni sembrano meno razionali, perché sappiamo meno delle vite dei nostri nipoti di quanto i nostri antenati ai loro tempi sapessero. Tuttavia, dopo tutto, fare cose per le future generazioni può difficilmente essere descritto in termini di obblighi, e certamente non in termini di diritti. Ma c’è un obbligo di cui siamo consapevoli: nessuna generazione, a nostra conoscenza, coltiva il desiderio di lasciare alle prossime generazioni un mondo peggiore di quello che essa ha ereditato dai propri antenati. Questo è anche il desiderio della nostra generazione. Possiamo temere che i nostri nipoti vivranno peggio di quanto abbiamo vissuto noi, ma non possiamo desiderare che così debba essere, e noi speriamo che quanto meno non debbano vivere peggio. Le generazioni future non possono essere titolari di diritti, a meno di non parlare in modo figurato, noi, però, abbiamo l’obbligo di lasciare loro un mondo migliore del nostro, o almeno non lasciarne uno peggiore. Per quanto possibile. Noi sentiamo l’obbligo per fare del nostro meglio per non peggiorare la situazione per le future generazioni, nel senso che lo speriamo, lo desideriamo. Se questo è un obbligo, allora è un obbligo senza diritti. Ma lo è? Quando parliamo delle future generazioni, di solito abbiamo in mente i nostri figli o nipoti; la futura generazione della nostra famiglia, del nostro popolo, della nostra città, del nostro Stato. Ci si aspetta che facciamo del nostro meglio per migliorare le loro vite. Tuttavia, cosa accade se mentre discutiamo di future generazioni noi abbiamo in mente tutte le persone che vivranno sul pianeta dopo la nostra morte? Se abbiamo in mente una responsabilità planetaria? Se presumiamo di avere una responsabilità non solo per il destino dei nostri nipoti, ma anche per il destino di tutti i nipoti del mondo? Se assumiamo che esista una tale responsabilità, allora abbiamo anche un obbligo?

 

Responsabilità retroattiva e responsabilità prospettica

Ci sono due tipi di responsabilità; una retroattiva e una prospettica. Abbiamo una responsabilità retroattiva per le azioni che abbiamo compiuto, e abbiamo una responsabilità prospettica se siamo in carica. Così come il capitano ha in carico la ciurma e i passeggeri. Responsabilità planetaria significherebbe che mi faccio carico dell’ambiente umano in generale, e del futuro della razza umana complessivamente. Così, anche in questo caso, noi potremmo difficilmente sostenere che le generazioni future del nostro pianeta siano portatrici di diritti. Noi potremmo solo dire che abbiamo degli obblighi verso le generazioni future. Ma che tipo di obblighi? Mentre, parlando di giustizia intergenerazionale, abbiamo in mente una giustizia dinamica non statica, un tipo di giustizia costantemente messa in discussione, nella procedura di contestazione della giustizia, gli argomenti devono essere cercati in qualcosa di diverso dalla giustizia. Di solito fanno riferimento a due grandi valori: libertà e vita. Se c’è una rivendicazione sul piano della giustizia dei diritti

delle generazioni future, questa deve essere il diritto alla vita e alla libertà. Il valore della vita ha interpretazioni completamente differenti. Diritto alla vita può significare il diritto di nascere o il diritto ad avere uguali possibilità nella vita o il diritto ad avere una buona vita, e così via. La libertà come diritto ha anche diverse interpretazioni come indipendenza personale e nazionale, l’autonomia (libertà morale), libertà (libertà politica) e altre. La domanda che può nascere è la seguente: quale tra queste interpretazioni di vita e libertà può promuovere la vita delle generazioni future? E possiamo chiederci inoltre, se possiamo migliorare la vita per tutte le future generazioni sulla terra, o soltanto per la generazione futura della nostra famiglia, della città o dello Stato. Iniziamo con la libertà. Noi non possiamo né rinviare né limitare l’autonomia morale o eteronomia della generazioni future. Non ne siamo responsabili. Così come non siamo responsabili dell’indipendenza nazionale, o dell’indipendenza personale delle generazioni future, o di individui nelle future generazioni. Tuttavia possiamo essere responsabili delle loro libertà politiche, dei loro diritti di cittadinanza, della promozione, come disse Hannah Arendt, del diritto ad avere diritti. Per dirla chiaramente, solo nelle democrazie liberali siamo responsabili delle libertà delle generazioni future. Il nostro obbligo è mantenere e sviluppare i nostri istituti di libertà, che da parte loro permettono a tutte le generazioni a venire di interpretare liberamente la libertà e di istituzionalizzarne la propria comprensione. È un obbligo della popolazione di una democrazia liberale lasciare alle generazioni future la pratica della contestazione della giustizia, così che esse possano decidere cosa sia giusto per loro. Per quanto riguarda le libertà noi non possiamo fare di più per tutte le generazioni future sulla terra che mantenere l’idea pratica, il testamento suggerito dalla Arendt, cioè il diritto ad avere diritti (quello è il cosiddetto diritto umano) e lavorare sulle nostre libertà, mettendole alla prova sui nostri discendenti nei nostri stati, città, culture, mondo. E che cosa dire del valore della vita? Che cosa se nella nostra contestazione della giustizia richiamiamo la vita? Lasciatemi accogliere, prima di tutto, l’affermazione di Kant circa il primato della libertà. Il valore della vita della prossima generazione può essere definito come diritto alla vita nella interpretazione del diritto di nascere. Se non attribuisco alcun diritto alla generazione futura sul piano dell’esistente, allora non posso dare alcun senso alla interpretazione del diritto di nascere. Io parlo di obblighi senza corrispondenti diritti. Io non chiedo se è un dovere delle generazioni presenti dare la vita a quelle successive, poiché esse lo fanno senza obblighi, ma per piacere. Io piuttosto mi chiedo se questo sia un dovere per ogni singola persona. La risposta potrebbe essere che non lo sia, a meno che noi non lo vogliamo credere. La libera scelta apprezza le priorità. Circa la stessa domanda uno potrebbe anche chiedere se il diritto di ciascun adulto sano sia avere tanti figli quanti lui o lei ne desideri. Io parlo adesso dei diritti del presente, non di quelli delle generazioni future. In questo caso la formula della libertà suona «uno può, se lo vuole». Le biopolitiche di ogni tipo, restringono le libertà e riducono la libertà personale, e questo è inconciliabile con le democrazie liberali. Ci sono due altre interpretazioni del valore della vita, come possibilità di vita e buona vita. La domanda non si pone in questi termini: il non nato ha diritto ad una buona vita o ad una possibilità di vita? Tale domanda sarebbe meramente retorica. Ci si potrebbe piuttosto chiedere se ammettere un nostro obbligo ad aumentare le possibilità di vita delle generazioni future. Siamo noi responsabili delle future generazioni del nostro Stato, città, ecc., oppure in questo caso siamo anche responsabili per tutte le generazioni future sulla terra? La risposta a questa domanda dipende dal nostro raggio d’azione.

 

La generazione futura della città

In caso delle libertà noi possiamo occuparci della generazione futura del nostro Stato e città, lasciando loro degli istituti di libertà e il diritto ad avere diritti, e abbiamo il dovere di impegnarci a farlo, perché essi sono tutti i nostri diritti. Noi possiamo anche mantenere ulteriormente la rivendicazione al diritto ad avere diritti (diritti umani) come una normativa ideale per la presente generazione in sistemi politici non democratici, sebbene noi non possiamo istituzionalizzare questi diritti. Se noi ammettiamo di avere degli obblighi verso la generazione presente, per definizione promuoviamo lo stesso diritto anche per tutte le generazioni future sulla terra. Ma come possiamo vedere, il nostro campo d’azione è abbastanza limitato. I maggiori problemi riguardano l’interpretazione della vita come una buona vita. Dal momento che non c’è nessuna «buona vita» in una visione filosofica tradizionale del mondo senza libertà; se uno ha a cuore la libertà delle future generazioni, uno ha anche a cuore uno degli elementi costitutivi della buona vita, anche se non di tutti gli altri. Vi sono, comunque, ulteriori difficoltà. La maggiore di questa è che l’immagine, il modello di buona vita differisce sostanzialmente anche nella nostra cultura, per non dire delle diverse culture, e noi speriamo che questo sia ancora il caso nel futuro. Ciascuno trasmette la propria immagine. Al contrario, stesse possibilità di vita è un’interpretazione del valore della vita che lascia un ampio territorio libero di concretizzazione per gli interpreti. Potrei riferirmi qui alla descrizione dei diritti chiamati «diritti morali», elaborata da Hegel nella sua Filosofia del Diritto, quale il diritto di perseguire la propria felicità a modo proprio, il diritto di sviluppare le proprie capacità nei talenti e, infine, il diritto ad avere un proprio concetto morale. Io accetterei questa descrizione come una corretta interpretazione del contenuto del termine «stesse possibilità di vita». Tuttavia, se ci pensiamo, stesse possibilità di vita in questa accezione, possono essere garantite solo in una democrazia liberale, dato che esse presuppongono una combinazione fra diritti politici e diritti sociali. E, come ho detto, ci possono essere istituti di welfare in tutti i possibili tipi di Stato, ma diritti sociali solo in quelli liberal-democratici. Noi comunque rimaniamo responsabili per le generazioni future delle nostre città o stati. Ci sono, comunque, alcuni aspetti delle stesse possibilità di vita e della buona vita, che non dipendono soltanto dalle libere istituzioni, perché essi dipendono dalla natura. Non solo le istituzioni politiche (democratiche, liberal-democratiche, autocratiche, totalitarie, ecc.) sono moderne, altrettanto lo sono la scienza e la tecnologia. Esse producono conoscenza quindi creano anche strutture di bisogni e coloro che li soddisfano. La loro accumulazione, il loro progresso può essere sano, ma allo stesso tempo inquina i fiumi, distrugge le foreste, trasforma aria pulita o acqua potabile in un privilegio. Cura, ma può anche causare malattie. Distrugge bellezze naturali e si risolve in una estinzione di migliaia e migliaia di specie. La natura non conosce confini. Non possiamo conservare la natura solo per le future generazioni del nostro Stato, ma dobbiamo includere tutte le future generazioni che condivideranno la madre terra in un futuro non troppo lontano. La generazione vivente ha il dovere di evitare il deterioramento del nostro ambiente naturale non perché le future generazioni rivendichino i loro possibili o imputabili diritti, ma perché noi siamo vivi, e mentre siamo in vita abbiamo la responsabilità del pianeta, della natura, dei mezzi di sussistenza della nostra e delle generazioni future. Prendersi cura della natura non è un fatto inedito, né è una novità che la generazione presente debba fare dei sacrifici per quelle future. Anche gli agricoltori o gli allevatori dei tempi antichi fecero dei sacrifici. Ciò che è nuovo è l’impatto planetario delle nostre azioni, cosa che rende più difficile comprendere la relazione causa/effetto nella giusta luce. Per riassumere: ci sono obblighi senza corrispondenti diritti. Il caso della responsabilità prospettica, del farsi carico, implica anche obblighi indipendentemente dalla circostanza per cui le parti verso cui abbiamo degli obblighi siano dei portatori di diritti oppure no. La giustizia intergenerazionale non presuppone diritti esistenti, laddove diritti potenziali sono solo proiezioni o metafore con scarsa rilevanza, perché non sono vincolanti. Cosa sia vincolante, dipende anche dalla nostra percezione, dal nostro senso di responsabilità, dal nostro senso morale di giustizia.