UNANTICA IMMAGINE E UNA QUESTIONE DI (SCOTTANTE) ATTUALITÀ

di Severino Saccardi

 

Un volume monografico (con cui «Testimonianze» inaugura il suo sessantesimo anno di attività) dedicato alla «questione ambiente», inquadrata rifacendosi all’immagine evocativa dei quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco) di cui, secondo l’immaginazione e il pensiero degli antichi, era costituita la realtà e che è simbolicamente presente anche nelle tradizioni di diverse culture e religioni, nella letteratura e nell’arte. Una suggestione per dire della necessità di porre i temi del rapporto uomo-natura al centro di un’agenda politica «globale» e di un’azione culturale ed educativa tesa a formare in modo responsabile i cittadini del mondo degli anni Duemila.

 

Inutile prendersela con gli elementi naturali

 

«Testimonianze» (di cui ricorre, nel 2018, il sessantesimo dalla fondazione), riprende, con questo volume straordinario (totalmente monografico), il filo di un discorso cui, da lungo tempo, ha dedicato attenzione. Fin da quando, negli anni Settanta, si tenevano i seminari sull’Energia problema di tutti 1. In questo volume, d’altra parte, viene giustamente ricordato (S. Zani) l’interesse che per i temi dell’ambiente ha sempre avuto Balducci. Come vengono riproposti, in sinergia con l’impostazione balducciana, gli spunti innovativi nel pensiero di Vittorio Lanternari sull’importanza di combinare i temi dell’antropologia con le istanze dell’ecologia. In tempi più recenti, la rivista più volte ha chiamato amici, studiosi ed esperti a riflettere su tali problematiche. Ne sono nati i volumi su Stili di vita ed etica del consumare 2, Il grande  tema  dell’acqua 3,  La grande alluvione 4. Il lavoro sull’alluvione del 1966 ha rappresentato un passaggio del tutto particolare. E non solo per l’ampia diffusione che la nostra pubblicazione ha avuto e per i numerosi contatti, nel corso delle numerose presentazioni del volume, con tanti territori che quella lontana tragedia avevano subito. Ma anche, e soprattutto, per l’intreccio che è stato possibile sperimentare, sulla base dei numerosi contributi raccolti, tra storia, memoria, ricostruzione emotivamente coinvolgente di quel che è stato e volontà di impegnarsi perché tali situazioni non debbano ripetersi più (o abbiano, comunque, assai meno possibilità di verificarsi). Due sono le considerazioni che più volte è capitato di ripetere. La prima è relativa alla concezione stessa della natura ed al rapporto che con essa è proficuo stabilire. La natura (Leopardi docet) è, certo, bellissima ed è la madre di tutte le cose e di ogni forma di vita, ma può anche essere matrigna (al di là di quel che può essere rappresentato da un certo ecologismo ingenuo o dogmatico). Va saputa trattare e da essa bisogna, in certi casi, anche sapersi difendere. È necessario mettere argini saldi se si vogliono evitare le piene, come metaforicamente (e non solo) diceva Niccolò Machiavelli. D’altra parte – seconda e impegnativa considerazione (che è anche alla base della spinta che ci ha motivato a realizzare la nuova monografia) ciò chiama in causa la responsabilità dell’uomo. Della società. E, dunque, della politica. Inutile prendersela con gli elementi naturali, che fanno il loro corso, se le scelte relative al rapporto con l’ambiente sono miopi o dissennate. Il dibattito innescato, da tempo, sull’onda della Laudato si’ (Sirianni) di papa Francesco, ha fornito in merito spunti importanti ed è auspicabile che prosegua. Ma è al banco di prova delle scelte concrete che sono attese le classi dirigenti di questo nostro pianeta, sempre più interdipendente e sempre più diviso, sempre più popolato e sempre più conflittuale, sempre più dedito agli sprechi (anche nel tempo della crisi) e sempre più afflitto da sacche impressionanti di deprivazione e di miseria. Un mondo ambivalente, sospeso su un crinale, secondo l’immagine di Balducci e di La Pira, in cui da una parte stanno prospettive nuove di convivenza e dall’altra sta la possibilità dell’autodistruzione del genere umano e della devastazione dell’ambiente. Non bisogna, certo, essere apocalittici. È bene stare ancorati alla razionalità, evitare i fondamentalismi e coltivare (come una volta si diceva) l’ottimismo della volontà. «Testimonianze» per parlarne ha scelto la via del linguaggio metaforico. Si vive, dopo tutto, di immagini. Ed è ad un’antica immagine che abbiamo voluto rifarci. Aria, Acqua, Terra e Fuoco: i classici quattro, grandi, elementi di cui secondo gli antichi era fatto il mondo. Un modo per evocarne l’ordine e l’armonia e per collocare rettamente, in tale ambito, il posto spettante agli esseri umani. Un’immagine suggestiva, densa di simboli, che ritornano e che si ripropongono nelle diverse culture, nei riti, nelle religioni. Si vedano, in proposito, le riflessioni dei nostri autori sulla simbologia dell’acqua e del fuoco nel cristianesimo, nel buddismo, nell’islam, nelle filosofie e nelle culture orientali. Una simbologia che ritroviamo nella letteratura e nell’arte e che viene sviluppata potentemente in Dante (Seriacopi). Anche l’antropologia è in merito ricca di richiami, di ricostruzioni del mondo che rimandano a tale visione tradizionale degli elementi, in qualche modo e per vie ancestrali (Clemente). L’acqua, l’aria, la terra, il fuoco sono, del resto, perenne fonte di ispirazione per la letteratura e la poesia. Mariella Bettarini su di essi costruisce un sapiente acrostico. Non c’è bisogno di dire (perché le metafore non si spiegano 5) che quella proposta nel nostro titolo non è che una suggestione.

 

Lo scienziato Boyle pallido e magro

 

A nessuno è ignoto che la scienza e l’evoluzione del sapere hanno dimostrato come la realtà materiale, la chimica e la fisica del mondo siano ben più complesse e assai diverse da come se le immaginavano i presocratici o Aristotele. Le cose, anzi, stanno spesso in modo antitetico rispetto a come questi ultimi erano riusciti ad inquadrarle. Giuliano Scabia, in un suo prezioso poemetto 6, lo fa sarcasticamente dire allo «scienziato Boyle pallido e magro»: «O mammalucchi quattro elementi / illusi d’essere soli: del mondo son gli elementi / non quattro ma più di cento». E, di rincalzo, dice l’asino di Boyle: «O poveretti quattro elementi / stanotte qui smascherati. Hi ho! / Ma, mio signore, il troppo sapere / non ci renderà disperati? Hi hooo!». Il troppo sapere non ci renderà disperati? Una grande (e non banale) domanda. Per intanto, Giuliano non ce ne vorrà se qui (e non certo per una qualche, inverosimile, reviviscenza di posizioni antistoriche e antiscientifiche 7, ma per comodità di discorso e per amore del linguaggio evocativo), manteniamo il riferimento ai «quattro elementi». Un’immagine antica per parlare di una (scottante) questione d’attualità. La grande «questione ambiente». Un tema (o, meglio, un groviglio di tematiche, da affrontare trasversalmente) i cui capitoli fondamentali sono: la ricostituzione di un rapporto equilibrato con la terra (da non violentare, come ricorda Breda), da rispettare in tutti i suoi ambiti (v. la ricostruzione storica di Rabitti sul controverso rapporto con l’appena scoperto «nuovo mondo»), da gestire responsabilmente nell’ambito della sicurezza (Grassi) e della pianificazione territoriale (Trentanovi); l’acqua («bene comune» e bene finito), da depurare dalle sostanze inquinanti e con cui ristabilire una relazione fatta di conoscenza, di attenzione alla memoria storica (come nel caso della «grande alluvione») e di progettazione del futuro (perché i fiumi possano ritornare ad essere «fiumi amici»); l’aria, la cui qualità e pulizia è determinante per la vita e per la salute degli esseri viventi (il «caso Ilva», in negativo, insegna) e lo è, tanto più, in tempi di cambiamenti climatici (come ricordano Gozzini e altri), per i «negazionisti» è sempre più arduo disconoscere, che rendono centrale il tema del risparmio energetico e dell’energia pulita (Becattini).

 

Il Governo e il tempo che fa

 

Per quel che riguarda (se vogliamo rimanere all’interno dei nostri simbolici riferimenti) il fuoco, che prometeicamente è stato considerato come sinonimo di civilizzazione, va detto che esso può essere assunto simbolicamente come elemento massimo dell’ambivalenza del nostro tempo, piagato da desertificazioni, estati roventi ed incoscienza dell’uomo, che disseminano il pianeta di incendi distruttivi, che pongono, anche su questo piano, con forza, i temi della prevenzione e della sicurezza. Siamo messi di fronte alla pressante esigenza di un cambiamento di paradigma. Un tempo l’espressione «Piove, governo ladro!» dava voce soprattutto ad un sarcastico paradosso (che cosa avrebbe potuto avere a che fare il governo con il bello o il cattivo tempo?). Oggi il paradosso non è più tanto tale. «Non piove, governi….!» verrebbe infatti da dire in epoche di siccità ricorrenti, rivolgendosi ai poteri del mondo (quelli della politica, ma anche quelli dell’economia) che dell’impatto delle loro scelte su un ambiente sempre più fragile (retoriche ecologiste di prammatica a parte) non sembrano curarsi più di tanto. Simone Siliani ricorda la battaglia politica e culturale in atto, al riguardo. Ma forse non è solo a questo livello che bisogna intervenire. Come sottolinea Vincenzo Striano e come è evidenziato dagli studenti di due scuole fiorentine, è precocemente che bisogna preoccuparsi, con interventi non moralistici, ma con la forza del ragionamento argomentato e dell’esempio, della formazione di una nuova coscienza in merito al rapporto uomo-ambiente, ai consumi ed agli stili di vita 8. Sono i giovani degli anni Duemila, nelle scuole, nelle associazioni, nelle relazioni di vita a doversi far carico della configurazione di uno sviluppo sostenibile e di un modo nuovo di vedere le cose, da autentici cittadini del mondo.

 

1  Quelle riflessioni furono poi raccolte in un corposo volume della rivista (Energia problema di tutti, «Testimonianze» nn. 216-217-218).

2  Stili di vita ed etica del consumare (sezione monotematica a cura di A. Giuntini, R. Mosi, S. Saccardi, S. Siliani), «Testimonianze» n. 470.

3  Il grande tema dell’acqua (sezione monotematica a cura di F. Dei, M. Meli, M. Sbordoni, S. Saccardi, S. Siliani), «Testimonianze» nn. 478-479.

4  La grande alluvione (volume monografico a cura di G. V. Federici, M. Meli, L. Niccolai, S. Saccardi, S. Siliani, V. Striano), «Testimonianze» nn. 504-505-506.

5  C’è un linguaggio, quello delle immagini, dei simboli e delle metafore, che evidentemente non ha bisogno di essere tradotto altrimenti. Ricordo in merito un aneddoto di tanti anni fa, quando al (bravo) cantautore Sergio Endrigo chiesero cosa volessero dire, in una sua canzone, le parole: «L’Africa è lontana vista dalla luna». Endrigo rispose: «Niente. Non vuol dire niente. Perché la poesia non si spiega».

6  G. Scabia, Canto del Paradiso, illustrato da R. Fattori, stampato da Art and Pixel (Firenze, 2017), p. 13.

7  Gli atteggiamenti antiscientifici, da G. Scabia, sono adombrati e stigmatizzati in quel che, nell’invenzione poetica, egli fa dire alla faggeta: «O scienziati del mondo, / perché ci disingannate? / Lasciateci un poco ancora sognare / con acqua, aria terra e fuoco» (Ivi).

8  Su questo, importante sarebbe un lavoro innovativo anche nel campo dell’editoria scolastica, come avevano già intuito, diversi anni fa, gli autori di un’Antologia verde (di E. Tiezzi, L. Passi, G. Orunesu, Giunti Marzocco, Firenze 1987).