VALORI ALTERNATIVI AD UN’ECONOMIA MALATA

di Gianni Gravina

 

La crisi economica del 2008 ha dimostrato al mondo intero come avidità, egoismi e paure siano ormai alla base del sistema economico, rendendo evidente il grave deterioramento dell’economia mondiale e costringendo altresì ad un ripensamento dei modelli canonici del capitalismo. Hanno ripreso vigore, quindi, concetti quali solidarietà, condivisione e cooperazione, valori storicamente alla base dell’economia sociale, che trovano ora nuove forme di applicazione nell’economia sociale e solidale, di cui COSPE, associazione non profit che da più di 30 anni è impegnata nella cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti, fa significativamente parte.

 

Quando ci si fidava delle virtù taumaturgiche del Mercato

Dalla rivista «Internazionale» dello scorso settembre: «L’amministratore delegato della Enron, che attualmente è in prigione, applicava la logica del gene egoista ai suoi dipendenti, innescando una di quelle profezie che si auto avverano. Partendo dal presupposto che le molle principali della specie umana fossero l’avidità e la paura, Jeffrey Skilling produceva dipendenti spinti da queste motivazioni. Nel 2001 la Enron è implosa sotto il peso della meschinità dei suoi metodi, anticipando quello che sarebbe successo al resto dell’economia mondiale negli anni successivi»1. Avidità, egoismi, paure sono le molle che regolano i rapporti economici soprattutto da quando, a cavallo degli anni 60 e 70, le dottrine economiche neo liberiste sono riuscite a mettere in discussione il welfare state, abbattendo il patto sociale «socialdemocratico» a colpi di deregulation e finanziarizzazione dell’economia. Tutto si sarebbe messo a posto grazie alle virtù taumaturgiche del mercato «grande regolatore». Queste scelte hanno progressivamente svuotato di significato l’idea di giustizia sociale, la partecipazione politica, il ruolo sociale del lavoro e del fare impresa. La crisi economica globale del 2008 ha portato, infine, definitivamente alla luce i guasti prodotti dal neo liberismo e, speriamo, alla consapevolezza che things can’t go on as they have before, il sentimento più diffuso dopo il 2008. Anche se, ancora oggi, le soluzioni proposte dall’establishment per rispondere alla crisi continuano ad essere «peggiori della malattia», un modo diverso di intendere l’economia, alternativo ai modelli capitalistici, sembra assumere un ruolo fattivo riportando al centro del dibattito parole come solidarietà, condivisione, pace, rispetto, giustizia, cooperazione, parole e concetti ormai usciti dalle agende della politica, per essere poi riproposte solo in situazioni di grandi emozioni collettive provocate da catastrofi umane e sociali.

 

Secondo Paul Singer

Secondo Paul Singer, uno dei padri dell’economia sociale e solidale, «L’economia sociale prende le mosse da una critica veemente al capitalismo, soprattutto nella sua forma neoliberale che ha favorito una produzione parossistica di beni accompagnata dalla concentrazione di terre, ricchezze, potere e sapere nelle mani di un numero sempre minore di grandi banchieri, impresari, latifondisti e speculatori ». Dall’altra parte, invece, l’Economia Sociale e Solidale (ESS) si propone di organizzare la produzione, la distribuzione, il consumo e il risparmio secondo modalità fondate sull’equità, la partecipazione democratica e il legame con il territorio, contrapposte a quelle irrazionali instaurate dal modello capitalista e patriarcale. In questo senso, l’economia sociale e solidale si presenta come un’economia «altra» rispetto al business as usual del capitalismo patriarcale, che si presume regolato dal mercato. Le prime forme di economia sociale e solidale, le imprese cooperative e le organizzazioni solidali di mutuo soccorso, nascono in Inghilterra agli albori dell’era industriale. Oggi, i molteplici volti dell’economia sociale e solidale sono rappresentati da cooperative, imprese recuperate autogestite, gruppi d’acquisto, organizzazioni non governative e non lucrative, associazioni di lavoratori, imprese sociali piccole e grandi, e altre forme associative di lavoro. Realtà diverse, ma che sempre hanno l’identico obiettivo di fondo: lavorare e produrre per il benessere sostenibile dei lavoratori e delle lavoratrici, dei cittadini e della cittadine, invece che per il profitto immediato e l’accumulazione del capitale. Sembra una rivoluzione! In realtà, in ogni manuale di scienze aziendali in uso nelle università italiane l’interazione tra impresa e territorio e la responsabilità sociale dell’impresa (altra accezione molto in voga nell’ultimo decennio) nel favorire la crescita economica, sociale e culturale di un territorio sono concetti normalmente espressi in premessa.

 

Corsi e ricorsi storici

Queste «ovvietà» sembrano essere piuttosto ricorrenti in economia, in cui ciò che si propone come innovativo – a volte «rivoluzionario» – in realtà è già stato pensato e praticato negli anni e nei decenni passati. Ci è già successo di rilevare questa peculiarità occupandoci di microcredito, sicuramente uno degli strumenti più diffusi per sostenere le iniziative generatrici di reddito nei programmi di cooperazione internazionale. Analizzando le esperienze, confrontandoci con operatori del settore è stato facile identificare profonde similitudini tra le ragioni e le forme dell’odierno microcredito e le forme di finanza solidale esistenti già alla fine dell’800, rappresentate dalle società operaie di mutuo soccorso. Esperienze che oggi definiremmo «di frontiera», che avevano proprio lo scopo di supportare gli operai e le loro famiglie nei momenti di crisi. Forme di credito solidale, auto-aiuto e mutuo soccorso si sono poi evolute nel tempo – ad esempio le Casse di Risparmio in Italia e le Reiffeisen in Germania ed Austria, che sono proprio l’evoluzione delle SMS – fino a diventare poi colossi della finanza che facilmente si lasciano attrarre, invischiare, dai meccanismi oscuri delle pratiche finanziarie. È questo un rischio che può correre anche l’economia sociale e solidale? Dal nostro punto di vista, l’attributo «solidale» rappresenta una sorta di rafforzamento e riaffermazione del ruolo «sociale» dell’impresa, soprattutto da quando una parte dell’economia sociale, rappresentata prevalentemente dal sistema cooperativistico, si è lasciata attrarre dal business as usual (o peggio ancora dalla connivenza mafiosa, come a Roma), derogando le ragioni sociali per cui era nata.

 

COSPE: storia di un impegno

L’impegno di COSPE nella promozione dell’economia sociale e solidale, risale alle origini della nostra associazione, oltre 30 anni fa. Insieme ai cittadini e alle cittadine uruguaiani rifugiati in Italia, ci si interrogava su come ricostruire il Paese dopo la fine della dittatura militare, non solo sotto il profilo dei diritti umani, ma anche attraverso la nascita di un’economia nuova, inclusiva, sociale ed equa, che riproducesse nel tessuto economico e produttivo i valori democratici della nuova Costituzione, favorendo l’equità di genere e la partecipazione. Insieme alla Federazione di cooperative di lavoro in Uruguay, COSPE appoggiò la costruzione di una rete di imprese che è passata negli anni da 15 a 150 membri. Alla fine del millennio passato, la gravissima crisi economica che ha investito l’America Latina, culminata con il crollo del 2001 in Argentina e del 2002-2003 in Uruguay, ha contribuito a stimolare esperienze di autogestione realizzate dai lavoratori stessi in diverse forme, configurando così un ampio movimento regionale che si riconosce attorno al messaggio di un’altra economia e di un altro mondo possibile. Anche in quel caso, COSPE appoggiò il movimento delle imprese recuperate dai lavoratori in Argentina, favorendo anche la relazione con le esperienze simili realizzate in Italia, soprattutto negli anni 80.

 

Per un approccio sostenibile allo sviluppo

Oggi, COSPE sta realizzando il progetto Sustainable & Solidarity Economy as Development Approach for Sustainability in EYD 2015 and beyond (SUSY) in collaborazione con venticinque partner di ventitre paesi europei, con attività che interesseranno quarantasei territori in tutta Europa (per l’Italia le regioni Toscana, Emilia Romagna, Marche e Puglia), con l’obiettivo di «(…) aumentare le competenze delle realtà e delle reti che si occupano di sviluppo locale e di Economia Sociale e Solidale sul ruolo che l’Economia Sociale e Solidale può svolgere nella lotta globale alla povertà e nella promozione di uno stile di vita equo e sostenibile». Il tutto con l’obiettivo, appunto, di rendere consapevoli i cittadini e le cittadine europee delle potenzialità di un approccio sostenibile allo sviluppo. L’economia sociale e solidale rappresenta oggi il 10% del mondo economico in Europa: vale a dire 2 milioni di imprese e il 6% dei posti di lavoro totali, e presenta un notevole potenziale in termini di generazione e mantenimento di occupazione stabile, soprattutto grazie al carattere non delocalizzabile delle attività che le sono proprie. In tutto il mondo, il solo movimento cooperativo – una delle anime della variegata realtà che fa riferimento all’economia sociale e solidale – coinvolge un miliardo di persone, cioè quasi il 15% della popolazione mondiale. In Europa e nel mondo, prevalentemente in America Latina, si stanno sviluppando forme di economia sociale e solidale che si propongono di organizzare la produzione, la distribuzione, il consumo e il risparmio secondo modalità fondate sull’equità, la sostenibilità, la partecipazione democratica, il legame con il territorio, la centralità dell’individuo. In Brasile, nel 2003, è stato creato un Segretariato Nazionale dell’Economia Solidale ed una importante banca dati sul tema. L’Ecuador ed il Messico si sono dotati di una legge nazionale sull’economia sociale e solidale rispettivamente nel 2011 e 2012. Anche in Europa, in Spagna, Portogallo, Belgio, Francia sono state approvate delle legislazioni nazionali sull’economia sociale e solidale; il Lussemburgo si è dotato di un ministero ad hoc; ed in Italia si contano, ad oggi, ben dieci leggi regionali sull’economia sociale e solidale. Queste iniziative rappresentano una risposta alla crisi economica, alla finanziarizzazione  dell’economia, alla deregolamentazione dei mercati, alla crescente disoccupazione e alla lotta alle nuove povertà. Una risposta ed una contro proposta anche alle politiche adottate per affrontarle, che hanno generato una crisi sociale, accentuando la distanza tra i cittadini e le istituzioni.

L’economia sociale e solidale rappresenta, quindi, una strada alternativa dello sviluppo. Non una visione rivoluzionaria dell’economia, ma la reale applicazione di quei principi basilari che riconoscono il ruolo sociale di un’impresa nella vita del territorio in cui opera, collegando gli interessi individuali a quelli collettivi. Laddove al centro dell’economia capitalista ci sono i profitti, al centro dell’economia sociale e solidale ci sono gli individui e i loro bisogni. Alla competizione dell’economia capitalista, l’economia sociale e solidale contrappone la cooperazione e la solidarietà, reinvestendo i profitti nel territorio per creare lavoro, mobilitando le eccedenze a favore di obiettivi di equità sociale e di interesse generale. Mentre l’economia capitalista comprime il costo del lavoro, l’economia sociale e solidale considera il lavoro un diritto e ne valorizza la dignità, contrapponendo alla delocalizzazione del lavoro e della produzione del modello neoliberale, una logica di sviluppo locale capace di promuovere il legame col territorio e la sua cultura, favorendo, con la creazione di reti diffuse e partecipate, la sostenibilità e la tutela dei beni comuni.

 

La task force delle Nazioni Unite

Questo approccio sembra interessare anche i grandi organismi sovranazionali. Le Nazioni Unite si sono dotate di una task force per l’economia sociale e solidale con l’obiettivo di contrastare l’aumento del precariato e combattere la disoccupazione, promuovendo il ruolo del cooperativismo e dell’imprenditoria sociale quali strumenti per accrescere l’occupazione e la dignità del lavoro. Ciò è ancora più vero laddove l’economia sociale e solidale è un valido strumento per far emergere l’economia informale, facilitando l’accesso al credito, lo sviluppo tecnologico, l’accesso ai servizi di supporto e al mercato; riducendo le asimmetrie e migliorando il livello reddituale all’interno del mercato del lavoro. E infatti, è il lavoro, la sua dignità e salvaguardia, che sono al centro del nostro orizzonte operativo, considerando che è in corso un attacco alla dignità del lavoro ed un gioco al ribasso sui diritti dei lavoratori (in questo quadro, a nostro parere, si colloca anche il recente dibattito sul «reddito di cittadinanza» che rischia di mortificare ulteriormente le possibilità di mobilità sociale, il merito e lo sviluppo della dignità umana attraverso il lavoro). Infine, vogliamo segnalare il rischio di confondere l’economia sociale e solidale con le nuove forme di sharing economy, l’economia della condivisione, là dove il ricorrere a forme «fuori sistema» di accesso a beni e servizi non rappresenti un avallo definitivo alla convetio ad escludendum perpetrata dal reaganismo, dal thatcherismo e dal neo liberalismo capitalista, e rafforzati dalle piattaforme tecnologiche come Uber o Airbnb, per la definitiva affermazione del lavoro on demand, ulteriore ribrutalizzazione dei rapporti economici e di lavoro, sostituendo a gente come Jeffrey Skilling addirittura un algoritmo2.

 

1 F. de Waal, Solidali per Natura, «Internazionale», n. 1172, anno 23, 23/29 settembre 2016. La Enron fallì, improvvisamente, nel 2001 a causa di un’inchiesta aperta sui suoi bilanci e rappresentò il primo grande scandalo finanziario dell’economia capitalista del terzo millennio, inaugurando inchieste a tappeto sulla contabilità allegra e i bilanci gonfiati ad arte di decine di grandi marchi della «Corporate America » e Jeffrey Skilling è stato condannato a 24 anni di prigione, che finirà di scontare nel 2030.

2 A tal proposito vedi, tra gli altri, Il maledetto inganno della sharing economy (http://www.idiavoli.com/2016/10/12/sharing-economy-inganno/) e When your boss is an algorithm (https://www.ft.com/content/88fdc58e-754f-11e6-b60a-de4532d5ea35