Intervista con Paola Turci a cura di Severino Saccardi
La musica ha la grandiosa capacità di arrivare a toccare le corde preziose del nostro cuore, che spesso arrivano anche alla nostra coscienza. Non si dovrebbe fare nessuna distinzione (del tipo di quelle fra musica”colta” e musica “popolare”) se non quella tra musica brutta e musica bella.
D. Qual è stata, nel tuo percorso personale, la spinta che ti ha avvicinato alla musica (ed al mondo della canzone) come forma di comunicazione e, secondo una tua ricorrente suggestione, come dimensione di “libertà”?
R. Ho cominciato a scoprire la “bellezza” del canto quando , da piccola, ascoltavo mia madre. La ascoltavo, rapita dalla dolcezza che la sua voce trasmetteva, fino a quando, un giorno, mi disse: “Se canti, ti liberi da ogni pensiero negativo che hai dentro”. E’ stato allora che ho cominciato, sentendo il bisogno di farlo ogni giorno di più, con maggiore sentimento e responsabilità.
D. Quali filoni, autori, motivi e suggestioni sono stati, per te, particolarmente significativi all’interno di tale percorso?
R: Molti artisti, nel corso della vita, hanno contribuito alla mia “formazione” artistica: dapprima le grandi voci degli anni settanta come Mina e Ornella Vanoni, poi durante il periodo dell’adolescenza, la scoperta del rock anglo- americano, da Patti Smith ai Rolling Stones, passando per i Clash, i Talking Heads e i Doors. Successivamente i cantautori: De Gregori, Fossati, Battiato, Pino Daniele. Per arrivare, matura, a capire l’immensità poetica di De Andrè e dei cantautori di un passato per me troppo lontano: Ciampi, Tenco, Endrigo, Bindi, Leo Ferrè.
D. A partire anche dalla tua specifica esperienza professionale, umana ed artistica, ha ancora senso (e, nel caso, in che misura) la distinzione rigida fra musica “colta” e musica “pop”, fra cultura “alta” e cultura “bassa” (come sinonimo, appunto, di “facile” o di “popolare”) e fra generi musicali (musica “classica” contro musica “leggera”)?R. Nell’arte, la rigidità dovrebbe non essere contemplata, perché uccide la creatività; scopo primario di tutti gli artisti che si definiscono tali. “Leggera”, secondo la mia interpretazione, significa lieve. Una volta mi scrissero un biglietto con il più bell’augurio che mi potessero fare: “che ti sia lieve la vita”. Nessuna distinzione bisognerebbe fare se non quella tra musica brutta e musica bella ed è una distinzione che si attua dentro ognuno di noi.
D. Riprendendo l’immagine e la metafora della “transenna” (che tu più volte hai usato come sinonimo di separazione/contatto/comunicazione), come si è evoluto, nella tua esperienza di cantante e di cantautrice, il rapporto con i bisogni, i sentimenti, le contraddizioni e le pulsioni del “pubblico” e delle molte persone con cui il tuo ruolo e la tua esperienza ti mette in relazione?
R. Le persone che seguono i miei concerti, attraverso la musica cercano un contatto, un riscontro intellettuale che permetta loro di comprendere più a fondo i sentimenti che le canzoni che scrivo provocano. Questo è per me, ovviamente, motivo di grande orgoglio e soddisfazione ma ancor di più mi permette di comprendere meglio quello che faccio, le canzoni e le storie che scrivo, sempre dettate da un impulso creativo irrefrenabile, quindi primordiale. Loro per me sono complementari.
D. La musica e le canzoni (la bella musica e le belle canzoni, soprattutto) veicolano, anche e non secondariamente, un forte messaggio di sensibilità e di solidarietà umana e sociale, di invito al riscatto ed al “ritrovamento” della parte migliore del proprio animo e della propria identità.
E’ quanto, insieme, abbiamo percepito nella toccante visita al carcere di Pisa. Quanto è importante, e riproponibile, questa valenza comunicativa “alta” della musica? Quale spazio ha oggi? Quale importanza ha, o continua ad avere, nella tua esperienza e nel tuo lavoro?
R. Ritorno ai concetti di sentimento e responsabilità. La musica ha la grandiosa capacità di arrivare a toccare e se vogliamo immaginarla così, a far suonare le corde preziose del nostro cuore, che spesso arrivano anche alla nostra coscienza. Sentimento e responsabilità di chi scrive, sentimento e responsabilità di chi si mette in ascolto. L’esperienza fatta in carcere, di fronte a detenute emozionate e commosse nell’ascoltare canzoni, mi insegna proprio questo.
D. Tu hai avuto, se ben ricordo, un importante riconoscimento da Amnesty International per il tuo impegno ed il tuo lavoro. Può la musica, possono i versi delle canzoni, realmente far qualcosa per sostenere la causa dei diritti umani nel mondo?R. Le canzoni possono risvegliare la memoria, come nel caso di Randa, la canzone che ha vinto il premio Amnesty. Dopo averla scritta ho ricevuto molti messaggi di persone che non ricordavano o addirittura non conoscevano affatto la storia del genocidio del 1994, dove vennero trucidate quasi un milione di persone. Penso che sì, la musica può fare qualcosa a sostegno dei diritti umani perché sa essere anche un grido che può arrivare a tutti. A volte vorrei essere famosa come Vasco Rossi solo per cantare certe canzoni ad un numero enorme di persone!
D. Ultimo punto. Una valutazione sul rapporto fra la musica e le ultimissime generazioni di giovani. I quali, da una parte, vivono immersi in una dimensione quasi “naturalmente” musicale, ma con essa sembrano avere un rapporto assai diverso dalle generazioni precedenti (penso ai giovani degli anni sessanta-settanta e, perfino, ottanta). Oggi sembrano prevalere: musica ritmica da discoteca, formazione- individuale- di un’assortita, e apparentemente casuale, “compilation”, un ascolto continuo di motivi, tra i quali non sembra esservi apparente connessione. Ma può darsi che anche questa sia un’immagine stereotipata e che la realtà sia diversa e, assai, più sfaccettata.
Cosa ne pensi? E qual è, a tuo parere, la strada per formare un solido legame tra giovani e “buona” musica?
R. Ogni generazione ha la sua musica e il suo modo di ascoltarla. Oggi i ragazzi (ma non solo) possono facilmente farsi la loro compilation personale grazie a quel meraviglioso strumento che è l’mp3. L’i pod ci permette non solo di ascoltare i nostri brani preferiti, ma di essere accompagnati costantemente dalla nostra musica. Sulle scelte musicali mi permetto solo di dire che ognuno di noi è passato nel tempo anche attraverso musica brutta o peggio inutile. Poi, grazie a Dio, siamo cresciuti. E con noi, la nostra musica preferita.