di Eraldo Affinati
Un breve racconto (che è anche una metafora) per parlare di Resurrezione: la storia di ragazzi provenienti da mondi diversi che, abbandonati al loro destino da adulti indifferenti, trovano nella struttura che li accoglie un’occasione per la speranza, per la rinascita e per avviarsi a concretizzare il sogno di un avvenire migliore.
Così distanti, così vicini
Quante volte cade a terra e quante volte può rialzarsi in piedi un ragazzo di sedici anni? Me lo chiedo spesso quando insegno a Marco e Christian, adolescenti di borgata che sono chiamati quasi ogni giorno a passare attraverso invisibili cerchi di fuoco: ipocrisie, indifferenze, egoismi, incurie, superficialità e smemoratezze. Si tratta di nemici invisibili eppure pericolosi almeno quanto i fiumi in piena e i deserti aridi che hanno dovuto superare Isack e Mohamed, coetanei venuti da molto lontano. Ritrovare oggi insieme nella stessa aula Luca e Ismail ha qualcosa di miracoloso: così distanti, così vicini, gli uni come frammenti italiani, gli altri quali schegge di un mondo che ha la febbre alta.
Tuttavia è questo lo spettacolo quotidiano a cui assisto nella «Città dei Ragazzi», la comunità educativa fondata all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso da monsignor Carroll-Abbing per accogliere i minori in stato di necessità. L’esperienza pedagogica che compio al suo interno ormai da molti anni mi ha spinto ad accendere nuovi fuochi, sempre nella medesima direzione. Insieme a mia moglie, Anna Luce Lenzi, ho fondato la Penny Wirton, una scuola di italiano per stranieri.
Stanno tutti seduti sui grandi banconi della canonica che ci ha prestato Padre Stefano Fossi, nella Chiesa di San Saba, a Roma, a leggere e scrivere sui quaderni colorati. Le insegnanti accanto a loro scandiscono lente: bo-cca! E si toccano le labbra. Na-so! E lo indicano con il dito. Pie-de! E si chinano per mostrarlo. Abdul, occhi sgranati sulla pelle scura, esclama: bu-cca. Imran, nello stupore della nuova scoperta, ripete: no-so! Omar, al massimo della concentrazione, dichiara: be-de!
E’ una scuola senza classi e senza registri, senza voti e senza soldi, ma con tanti studenti che arrivano da ogni parte del mondo e afferrano le parole come frutti dall’albero. Ciao Hassan! Forza Matiur! Grande Silvester! Venite tutti qui a diventare italiani insieme a noi. La vostra Resurrezione terrena chiama in causa anche noi perché nessuno può permettersi il lusso di distogliere gli occhi dalle bende insanguinate di Lazzaro.
Dove regna lo spirito di Don Luigi di Liegro
Un giorno sono andato a prenderli al centro della Caritas del Tata Giovanni, a Roma, dove lo spirito del compianto Don Luigi di Liegro regna ancora sovrano. Mi aspettavano nel giardinetto, intimiditi. Io ero l’unico bianco della singolare truppa. Durante il cammino dalle Mura aureliane fino alla scuola, sull’Aventino, la gente si voltava incuriosita. Siamo passati accanto a una camionetta della polizia parcheggiata davanti all’abitazione di qualche pezzo grosso: le guardie hanno fissato soprattutto me. Avranno pensato: chi è questo? Cosa fa? L’allenatore di calcio della Costa d’Avorio? Il capitano di un esercito coloniale? E’ forse un trafficante d’umanità?
Come avrei potuto spiegare la mia posizione? Saremo stati una ventina. Avevo messo Baker, pashtun poliglotta dal cipiglio marziale, in fondo al gruppo per raccogliere i ritardatari. Io guidavo la fila insieme a Megahed, coi jeans strappati e il cellulare attaccato all’orecchio. Dove stavamo andando? A imparare a pensare. Senza verbi non si vive. Senza nomi si muore.
Con gli anni mi sono reso conto da dove vengono quelli che il codice definisce «minorenni non accompagnati». Uno farebbe presto a dire: dal Bangladesh, dall’Egitto, dalla Romania, dal Camerun, dall’Afghanistan. Certo, questi sono i luoghi di provenienza geografica. Ma non bastano a farci comprendere la vera stazione di partenza. Gli adolescenti senza famiglia che guido verso la Penny Wirton hanno subìto il vecchio tradimento che da sempre gli adulti mettono in atto nei confronti dei giovani. Trascuratezza, noncuranza e insensibilità si sono mischiate, da una generazione all’altra, a polvere, fango e sangue, come l’acqua alla pasta, il latte al miele, la notte al giorno. E’ questo ciò che unisce Marco a Rashedur, Paolo a Malick: l’inganno subito da parte degli adulti. Se ne rendano conto, oppure no, sono stati colpiti quando non potevano difendersi.
Adesso Joseph crede davvero che, fra qualche anno, diventerà l’idolo dei tifosi interisti, alla maniera del suo famoso connazionale, Samuel Eto’o; Leonid è sicuro che, appena sarà grande, tornerà a Chiscinau trionfante sulla Bmw ornata di fiori; Ahmed è convinto di riuscire a spedire allo zio i soldi che serviranno per comprare il terreno nelle campagne intorno a Dacca. E Claudio pensa sul serio che gli basterà lavorare in un’officina meccanica per raggiungere la felicità.
Chi avrà il coraggio di raccontare ad Abu la vecchia verità delle stelle finite nei fossi, a Ruslan la vicenda dei mari trasformati in rigagnoli, a Mustafà la cronaca dell’oro che diventa sasso, a Giovanni la storia di Pinocchio?
Dovranno farlo da soli nella lingua italiana, scoprendo le parole che noi saremo stati in grado di consegnare loro: tazze calde e mantelli di velluto, certo, ma anche spade e pugnali, perché ci sono esperienze che non possono essere vissute senza ferirsi.
Il pulsante del cartoncino
E’ questa la ragione per cui quando Arif preme il pulsante del cartoncino sotto l’immagine del gatto e sente la voce registrata che gli risponde: «bravo!», è come se ripartisse per un altro lungo grande viaggio. Proprio lui, che per venire in Italia, ha superato a piedi i confini di mezza Asia, deve ancora conoscere se stesso. Ma un percorso non meno faticoso dovrà compiere Gianluca se vorrà staccarsi per sempre dal volto la maschera fetida di chi lo ha abbandonato.
Penny Wirton e sua madre è il titolo di un romanzo per ragazzi composto da Silvio D’Arzo: la vicenda di un bambino senza padre. Abbiamo deciso di chiamare così la nostra scuola di italiano, aperta a tutte le attese; chi cerca un padre, chi trova un figlio. Chi cerca soltanto qualcuno che lo guardi in faccia. A volte il guizzo di comprensione che brilla negli occhi di Sumon o di Florina ti fanno balenare il senso di una vita che si avvia, di un’altra che si riprende. E che dire del sorriso di Alina che si accosta con la mano piena di caramelle ucraine saldamente intenzionata a infilartele in tasca come ricompensa per quello che ha ricevuto? La piega della sua bocca porta inciso il segno delle amarezze conosciute, ma lo sguardo va già oltre e ha la luce di chi è pronto a ricevere su di sé la fortuna o la grazia di un tempo migliore.