7387-220x220 Parole che sento anche mie di Pietro Del Zanna

In forma di lettera, un grato ricordo  (di un “uomo che si è fatto attraversare dalle contraddizioni cercando una via d’uscita vera”) che è anche la ricostruzione di un cammino che negli ultimi dieci anni si è snodato anche a partire dall’eredità, umana e politica, lasciata da Alex Langer.

Caro Severino,
il poco tempo a disposizione, la confusione dei pensieri che la tua proposta di “contributo” (graditissima) per il prossimo numero dedicato al decennale dalla morte di Alex Langer ha provocato e il mio disordine cronico mi impediscono di mandarti un articolo “degno” di Testimonianze. Accetta quindi questa lettera, nella speranza che questa “forma più informale” faciliti i nodi interiori a sciogliersi per fluire in un discorso quantomeno comprensibile.

Quel 3 Luglio 1995

Comincio dalla fine, dal suo suicidio del 3 Luglio 1995, perché è stato da allora che ho incontrato davvero Alexander Langer. Sì, sapevo bene chi era, leggevo i suoi articoli in particolar modo su “Azione Nonviolenta” e “AAM terra nuova”, lo avevo incontrato a qualche assemblea degli obiettori fiscali, al convegno I Verdi e il potere e poi a qualche assemblea in seguito all’appello Sciascia ed altri che portò (ma non era questo il fine dell’appello) alla presentazione dei Verdi e degli Arcobaleno alle Europee del 1989. Con Donatella Bagnoli ed il Comune lo invitammo anche qui, a Poggibonsi (dove vivo) per una iniziativa sulla ex -Jugoslavia. Apprezzò molto il lavoro Ricostruiamo il ponte che Donatella aveva fatto con i bambini delle scuole. In una cartolina in bianco e nero era raffigurato il ponte di Mostar distrutto ed i bambini erano invitati a ricostruirlo con colori, collage, pensieri. Il dibattito a cui era stato invitato si teneva nella sala dove erano esposti i lavori dei bambini. Volle alcune cartoline per portarle al Parlamento Europeo e in seguito se ne fece mandare altre. Deve essere stato in occasione di quel dibattito che si è annotato su un’agenda un indirizzo strampalato: Pietro Del Zanna presso Comune di Poggibonsi. Mi arrivò il primo numero di “Verdeuropa” (pubblicazione che faceva con il suo staff di collaboratrici e collaboratori dal Parlamento Europeo) a questo indirizzo. Fu l’inizio di una serie di contatti che mi hanno portato qui, a scriverti questa lettera ora. Dopo la sua morte “Una città” mandò una copia omaggio con i ricordi di Adriano Sofri ed Edi Rabini a tutto l’indirizzario di Alex. Così conobbi quel mensile.   Poi entrai in crisi con i Verdi ed insieme ad alcuni amici di Poggibonsi costituimmo l’associazione “Alexander Langer”. Invitammo Edi che venne con Valeria Malcontenti sua moglie. Venne anche Massimo Tesei di “Una città” ( incontro importantissimo, e “fatale”, come sai). Non ti voglio tediare, solo per dire, che fu grazie all’associazione “Alexander Langer”, a Pietro Bucciarelli che ne faceva parte, che ci incontrammo anche noi. Da lì il convegno “Società europea e modello americano”  che organizzammo insieme a “Testimonianze” ed un rapporto che dura tutt’oggi, e questa lettera.  Mi è davvero difficile parlare di cosa significa la figura di Alexander Langer per me. Diventa una sorta di confessione. Dicevo di partire dalla fine. La corda all’albicocco di Pian de’ Giullari è un piccolo paradigma che mi porto dentro. E’ la negazione delle nostre parole più belle, è il trionfo del silenzio assoluto ad ogni tentativo di spiegazione. Con quel gesto Alex non è stato un traditore, ma un transfuga, contrariamente a ciò che giustamente diceva. E’ così. Tentiamo di dare risposte, di dare forma con pensieri a ciò che inevitabilmente li supera e li sovrasta: la vita. Ecco cos’è per me Alexander Langer: un uomo libero da pregiudizi, innamorato della vita, che dal gorgo della vita si è fatto ingoiare. Un uomo che dalle contraddizioni si è fatto attraversare cercando una via d’uscita vera, semplice, non banale.

Nel mare mosso dell’incerto

Da giovanissimo scriveva: “Chi trova il coraggio di costruire la propria esistenza nel mare mosso dell’incerto riuscirà più facilmente a trovare il proprio spazio nel presente di chi invece getta l’ancora verso i lidi di epoche passate”. Parole sante, ma che fatica. Abbiamo bisogno anche di gettare l’ancora qualche volta, di fermarsi a riprendere fiato. Ma poi il richiamo del mare aperto è più forte. L’attardarmi nel mio compito di scrivere ha permesso alle poste italiane di recapitarmi il bel volume Le parole di commiato, Alexander Langer dieci anni dopo una raccolta di testimonianze su Alex a cura e regalato da Marco Boato.Qui scopro che Alessandra Zendron scrisse Ciò che ho imparato da Alex. Le rubo parole che sento anche mie:

“Che il coraggio non è inutile.
Che il coraggio è solitario.
Che vale la pena di dedicare una parte della propria vita alla politica.
Che la politica ti fa soffrire.
Che la politica è il modo per decidere insieme e che non si può lasciare ai funzionari di partito questo compito.
Che non si può predicare la lentezza e correre troppo.
La differenza tra diritti di gruppo e diritti individuali.
Che il cuore umano è misterioso.
Che nessuno è sostituibile.”

Poi che dire? Se apro il capitolo Langer e il mio impegno nei Verdi oggi rischiamo di perderci davvero. Sono stato a suo tempo redarguito per aver criticato la scelta di Pecoraro Scanio di candidarsi alle primarie. Leggo, sempre alla stessa fonte, un breve intervento di Olivier Depuis che ricorda queste parole di Alex: “Io credo particolarmente doveroso esprimere la propria amarezza e il proprio dissenso, quando si ha paura che avvenga uno snaturamento di ciò che si spera, che si ama e che, quindi, in qualche misura si riconosce anche proprio”
Del suo “insegnamento” politico abbiamo avuto modo di parlare e scrivere altre volte, soprattutto sui temi della pace, della contraddizione aperta con Sarajevo e la polemica con il movimento pacifista che ci ha sempre visto concordi. Non voglio qui riaprire questo capitolo. Ultimamente è un altro suo punto di vista che mi preme riprendere in mano. Davanti ad una crisi del modello economico che mi sembra avviarsi su strade irreversibili sento sempre più l’esigenza di creare piccole scialuppe di salvataggio. Diceva Alex nel ’94: “Sino a quando la concorrenza sul mercato mondiale resterà il parametro dell’economia, nessuna correzione di rotta in senso ecologico potrà attuarsi. La rigenerazione delle economie locali, invece, renderà possibile- tra l’altro- una gestione più moderata e controllabile dei bilanci, compreso quello ambientale”. E ben prima, nell’87: “I Verdi dovranno lavorare molto per vedere se esistono modelli praticabili anche in una società industrializzata, in cui l’economia sia principalmente funzionale alla sussistenza, cioè a campare, a vivere, con una qualità della vita probabilmente anche più frugale ma non per questo meno ricca di soddisfazione, invece che orientare tutto al mercato”. Dovremmo ripartire da qui e provare ad abbandonare, almeno dove è possibile, quella mentalità della competizione globale, legata a doppio nodo all’idea di sviluppo e crescita illimitati. Ricostruire circuiti di produzione-consumo che ricolleghino direttamente città e campagna uscendo dalla logica esasperata della monocoltura. Forse è utopia, spero di no, ma se lo fosse risulta più vera un’altra citazione che trovo sempre nel volume di Boato. E’ Fabrizia Remondino che ricorda il principio speranza di Ernst Bloch: “quando si muore, muore in noi soltanto quanto non è utopia”. Le ultime parole le dedico ad Edi e Valeria. Con Edi è nata un’amicizia lenta e profonda. Mi invita sempre a mettere paletti, sa della facilità del lasciarsi fagocitare. Io so che ha ragione, ma sono qui a scriverti alle 2 e 48 dell’ultima notte utile per fare in tempo ad andare in stampa. Valeria l’ho vista poche volte. Mi è piaciuta molto, con lei sono un po’ in imbarazzo. A Firenze, un po’ di anni fa, alla presentazione della Fondazione Langer, le chiesi quando sarebbe tornata a trovarci. “Quando organizzerai un torneo di briscola” mi disse. Non sono bravo a mettere paletti e non ho organizzato il torneo di briscola. Quando riuscirò a fare entrambe le cose forse avrò capito. Forse.

Ti abbraccio e ti ringrazio per la pazienza.