La Carta europea dei diritti
di Giuseppe Vettori

Luci e ombre della nuova Carta europea dei diritti da poco approvata: solo se e quando sarà inserita nei Trattati si avrà una rivoluzione copernicana che porrà al centro del sistema i diritti della persona in un contesto che aveva posto in primo piano le logiche di mercato.
I precedenti

Il progetto nasce da un’iniziativa tedesca e da un  mandato al Consiglio europeo di Colonia che da inizio ad un iter sfociato in un testo proclamato a Nizza.
Si tratta di un evento politico e di un prodotto tecnico scandito da una pluralità di eventi preparatori. La Corte di Giustizia aveva già enucleato alcune situazioni fondamentali e già dal 1977 vi erano state sollecitazioni degli organismi comunitari ad elaborare un elenco di diritti. La revisione dei Trattati ha scandito le tappe di questa evoluzione. L’Atto unico europeo nel preambolo conteneva già indicazioni di rilievo. Nel Trattato di Maastricht si sono codificati alcuni diritti di cittadinanza e in quello di Amsterdam si è prevista espressamente la costituzione all’interno dell’Unione di uno spazio comune di libertà, giustizia e sicurezza.

Nel dar vita alla Convenzione gli organi europei hanno richiamato i Trattati, la Convenzione dei diritti dell’uomo, le tradizioni comuni delle Costituzioni europee, le Carte sociali nei limiti in cui queste prevedono situazioni qualificabili come diritti e non solo obbiettivi per l’azione dell’Unione.
L’organo che ha redatto la Carta ha rappresentato una vera novità  nella composizione e nel metodo di lavoro: per la prima volta sono stati coinvolti, nella nomina dei componenti, i Parlamenti nazionali, il Parlamento europeo, i Capi di Stato e di Governo. Durante la redazione non si è mai votato né il testo né i singoli emendamenti e si è proceduto per approssimazione progressiva sino all’approvazione del documento elaborato in soli 10 mesi ( Rodotà).

Il contenuto dei diritti e dei principi

Il documento è diviso in sette capitoli: I Dignità , II Libertà, III Uguaglianza, IV Solidarietà, V Cittadinanza, VI Giustizia , VII Disposizioni Generali.
Sul preambolo si è discusso a lungo e si sono avuti contrasti forti su alcuni aspetti frutto spesso di strumentalizzazioni. Il riferimento alle radici religiose è stato soppresso e si è richiamato “il patrimonio spirituale e morale”, ma l’esito è stato enfatizzato. Non c’è stata una presa di posizione laicista. Si è voluto solo evitare il termine “radici” che è parola pericolosa non foss’altro perché ci si ammazza ancora per le diverse fedi. Usare il vocabolo “patrimonio” è stata solo espressione di cautela e tolleranza mentre alla libertà di religione si dedica una apposita norma (l’art.10).
Nell’art. 53 si sono fatti salvi i livelli di tutela dei diritti previsti dalla legislazione dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni di cui tutti gli Stati sono contraenti, con un espresso richiamo alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
Si è detto che il richiamo a questo contenuto minimale di protezione priverebbe la Carta di un’efficacia propulsiva ma ciò non è del tutto vero  perché si prevede  espressamente (nell’art. 52.3) la possibilità di ulteriori ampliamenti della rilevanza dei diritti fondamentali.
Un’assoluta novità è l’inserimento nella Carta di alcuni diritti. Si pensi solo agli art. 1, 2 e 3 ove si fa riferimento alla dignità umana, all’integrità fisica e psichica e al divieto della sola clonazione riproduttiva;  all’art.8 sulla tutela dei dati personali e all’art.13 sulla tutela dell’ambiente.
Esiste una sottolineatura importante di diverse forme della soggettività con un riferimento espresso ai bambini, agli anziani, ai disabili. Di rilievo è anche il riferimento alla gratuità in due casi : l’istruzione (art. 14) ed il collocamento (art. 29).
I diritti sociali hanno contenuti deboli e oscillanti . Nell’ art. 36 vi è la possibilità di ipotizzare azioni individuali e collettive non condizionate dalle logiche di mercato. Nell’art. 34.3 c’è un esplicito riferimento alla lotta contro l’esclusione sociale e la povertà. Vi sono  espressi riconoscimenti di un raccordo necessario  fra situazione soggettiva e azione dei pubblici poteri in tema di protezione della salute (art.35), tutela dell’ambiente (art.37), protezione dei consumatori (art.38). I diritti  dei lavoratori a non essere licenziati ingiustificatamente (art.30) e ad essere informati e consultati (art.27) non esistono in alcuna altra Carta fondamentale in Europa.
Manca  il principio forte espresso dall’art. 3, 2° comma della Costituzione italiana. L’obbligo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno sviluppo della personalità umana non è stato accettato come obbiettivo della politica sociale dell’Unione e la rivoluzione promessa dai nostri costituenti resta obbiettivo ancora lontano per molti dei paesi dell’Unione.
Gravi sono anche le limitazioni previste nell’art.15 per i cittadini dei paesi terzi. Si prevede un’equivalenza e non l’eguaglianza di trattamento condizionandola, per di più, all’esistenza di un’autorizzazione a lavorare.
Nel complesso il quadro generale non è affatto più avanzato della Costituzione italiana ed anche la  forma di redazione è, spesso, molto discutibile. Le parole usate sono spesso improprie. Per alcuni diritti (25, 26, 34, 36) si dice che l’Unione riconosce e rispetta usando termini inusuali. Il costante richiamo al diritto comunitario, alla legge e alle prassi nazionali genera incertezza. La previsioni dei limiti alle situazioni di vantaggio è esterna alla definizione e non connaturale ad essa. Il principio di proporzionalità richiamato in una Carta dei diritti suscita non poche perplessità.
Vi è dunque, un gioco di luci ed ombre che emerge dal contenuto di alcuni diritti e soprattutto dal valore giuridico della Carta.

Il  valore giuridico

Ambiguo è il significato della  solenne proclamazione avvenuta a Nizza.
Nella logica di alcuni la semplice dichiarazione politica, da un lato avrebbe reso  più agevole il consenso dei quindici paesi, dall’altro sarebbe stato un segno di cattiva coscienza idoneo, se non altro,  a stimolare la necessaria revisione dei Trattati.  Per i più critici la procedura seguita non è che un aspetto della debolezza della carta che sarebbe solo un manifesto volto a preparare l’adesione all’Unione dei paesi dell’Est.
Se diverse sono le ragioni e le letture dell’atto formale di proclamazione certo è che un tale esito è frutto di condizionamenti che hanno pesato durante l’iter di formazione.
Vi è stata innanzi tutto una forte opposizione degli inglesi per ragioni politiche e culturali. La destra interna era tenacemente contraria ad ogni concessione ulteriore oltre la Convenzione dei diritti dell’uomo, ma vi sono state anche motivazioni culturali. Da un lato a tutela dei diritti è affidata in quell’ordinamento ad un sistema assai complesso e articolato privo di una codificazione scritta. Dall’altro i giuristi anglosassoni sono per natura diffidenti verso ogni tecnica di bilanciamento di interessi che è presente in molte disposizioni del documento.
Vi erano, d’altra parte, forti perplessità anche in Italia su di un testo che alcune parti politiche ritenevano criticabile ed inopportuno soprattutto nel contenuto del Preambolo e nella disciplina dei diritti economici e sociali.
Da qui il contenuto della Carta che non è né eversivo né particolarmente avanzato e  la  semplice proclamazione che attribuisce alle regole il valore debole di principi e non di norme.
Solo se e quando sarà inserita nei Trattati si avrà una rivoluzione copernicana che porrà al centro del sistema i diritti della persona in un contesto che aveva posto in primo piano le logiche di mercato.
Ciò richiede un processo costituente che pone in primo luogo un problema di legittimazione. Non esiste nella storia una Dichiarazione di diritti priva di un coinvolgimento popolare che è mancato nel nostro caso perché non era pensabile ancora  una costituente europea e perché la sollecitazione di un voto sarebbe stato un errore politico in un momento di profonda debolezza istituzionale.
Tutto ciò non esclude affatto un valore giuridico dei principi che va sottolineato con forza muovendo dal loro contenuto.

L’effettività dei principi

a) la rilevanza
Si è sottolineato giustamente che il mancato inserimento nei Trattati incide sulla giuridicità del testo, ma non si può negare una rilevanza forte della dichiarazione.
Occorre anzitutto ricordare che l’integrazione europea segue un iter inverso alla formazione delle unioni di Stati che conosciamo. Ci si è accordati a Roma nel 1960 su alcune libertà di contenuto economico e non su aspetti di coesione politica. L’Unione Europea nasce come insieme di Stati e di Mercati, assieme agli Stati ci sono oggi anche i cittadini, al posto dei Mercati ci sono anche i diritti  che introducono un valore aggiunto di cittadinanza (Rodotà).
Ciò ha un significato in ordine alla progressiva emersione delle situazioni soggettive dei privati che avranno piena giuridicità con l’inserimento nei Trattati ma hanno sin d’ora un grado di rilevanza operativa e di orientamento.
E’ operativo il loro valore perché di esse, solennemente proclamate, tengono già conto gli organi comunitari e di esse non tarderà di occuparsi la Corte di Giustizia. Su vari aspetti le novità introdotte nella carta parlano a tutti .
La protezione dei dati personali (art.8) non potrà non avere un ruolo sulla regolamentazione europea della privacy in Internet e sul confronto che si dovrà affrontare con le tendenze assai più permissive che si sono affermate negli Stati Uniti.
Il giudice nazionale che dovrà valutare il rapporto di convivenza di fatto avrà un elemento in più (art.9) per affermarne la rilevanza.
La disciplina sul licenziamento (art.30) potrà essere un argine rispetto a tentativi nazionali di liberalizzare totalmente il recesso del datore di lavoro.
Il divieto di clonazione solo riproduttiva (art.3) costituisce un orientamento preciso in materia.
Il richiamo nell’art.17 ad una giusta indennità in caso di esproprio della proprietà è anch’esso un monito verso soluzioni non equilibrate in tale settore.
D’altra parte le dichiarazioni contenute nella Carta hanno una precisa rilevanza come criteri di orientamento di cui occorre cogliere in pieno il significato.
Si abbandona, anzitutto, la tradizionale ripartizione in diritti civili, politici, economici, sociali. Al loro posto vi sono i principi di dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia e ciò comporta conseguenze di rilievo sul rapporto fra regole e principi.
Le singole posizioni soggettive  trovano la loro giusta interpretazione negli stessi valori oggettivi che le guidano “E questi, a loro volta, arricchiscono e precisano le formule tecniche e diventano il filo conduttore della Carta e il parametro di ogni giurisprudenza futura” (Manzella). Questa novità è estremamente significativa nella dinamica e nell’effettività dei diritti fondamentali. Ma è chiaro anche il rischio connesso a tale metodo che caratterizza il presente.
Il principio sostituisce  sempre più spesso la fattispecie e la regola di decisione in settori delicatissimi e ciò rende flessibile la valutazione ma più incerta  la valutazione comparativa e lo stesso orientamento dell’interprete e del cittadino.
Se è in crisi un modello di legalità basata sulla conformità alla norma, sempre più oscura e frammentata, è essenziale la conoscibilità delle conseguenze giuridiche del proprio operato e degli spazi di libertà riconosciuti dal sistema.
Da qui la necessità  dei diritti come nuove regole che alimentano e sono alimentate dai principi secondo un procedimento circolare di estremo significato.
b) Le garanzie
Sul frequente richiamo alle leggi nazionali come limite di operatività dei diritti si deve ricordare che si è applicata una sorta “di sussidiarietà costituzionale” che rende prevalente la protezione più favorevole per il cittadino europeo che riceva una tutela più intensa dalla propria costituzione nazionale (art. 53) Ciò realizza un minimo comune denominatore e fornisce la Carta di una salutare flessibilità, anche  se resta da precisare cosa accada quando vi sia un apparente contrasto fra diritti enunciati nel documento e costituzioni nazionali, come nel caso dell’art. 9  ove si dice che il “diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che disciplinano l’uso”.
Il contrasto con l’art. 29 della Costituzione italiana può apparire enorme ma occorre precisare che la Carta non può non risentire dell’originalità di un Unione senza Stato ed ha il dovere di rispettare le diverse realtà normative.
Pur tuttavia l’affermazione di una pluralità di modelli è una forte affermazione di principio che ha valore culturale, politico e indirettamente giuridico attribuendo rilevanza alla famiglia senza matrimonio.
Si è rilevato che la Carta usa una tecnica diversa dalle Costituzioni nazionali (Caretti). Enuncia i diritti e fa poi riferimento ad eventuali limitazioni al loro esercizio che devono essere previste dalla legge,  rispettare il contenuto essenziale di tali diritti e possono essere introdotte, nel rispetto del principio di proporzionalità solo quando “siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione Europea o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui” (art. 53). Diversamente  la nostra Costituzione  non enuncia e garantisce solamente ma predetermina le condizioni in cui è legittimo il limite.(v. artt. 17, 18, 19, 20, 21). Il controllo di legalità è affidato predeterminando con più rigore i compiti della Costituzione, della legge e del giudice. Il modello seguito dalla Carta opera con clausole generali che parla, si è osservato, più al giudice che al legislatore (Caretti). E’ il giudice che decide se il nucleo essenziale del diritto è stato leso o meno e che valuta la misura dei limiti posti dalla legge mentre il modello costituzionale italiano è  più garantista. Tale osservazione enuncia un rischio rilevante ma occorre richiamare ancora il carattere di quel testo che è solo una tappa di un processo costituente verso un nuovo ordine ancora da prefigurare nel suo insieme.

Verso un  nuovo ordine.

Sempre più spesso la Costituzione e non il codice contiene i principi del diritto privato e la Carta sembra rafforzare questo convincimento. Se la globalizzazione dei rapporti economici ha determinato una vera extrastatualità del diritto civile e se  il superamento del riferimento territoriale e spaziale inducono a riflettere sul recupero di sovranità, la legislazione di diritto privato deve porsi come strumento di confluenza di fonti diverse e come forma di discontinuità.
Deve ridistribuire il potere e contrappone allo sviluppo delle tecnologie la tutela di ogni aspetto della persona e questi obbiettivi sono  possibili solo se affidati a un documento sovranazionale.
Le codificazioni dell’Ottocento  avevano innovato profondamente il sistema precedente con uno scopo ed un disegno chiarissimo. Non più la natura delle cose o la Chiesa ma il Principe e la nuova classe dovevano assumere il monopolio del diritto civile, predisponendo un testo dotato di tre caratteri fondamentali: l’unità, la completezza, l’esclusività.
La rapidità del mutamento sociale ha reso evanescenti quelle certezze. La complessità non è stata  più riducibile con un’opera di astrazione unificante, il processo di universalizzazione ha  vanificato, via via, l’effettività del codice nazionale, non più idoneo a governare  il futuro che esige una innovazione forte in ogni relazione umana.
L’unico intento credibile è oggi la creazione di un testo che contenga una grande cornice di principi, che sappia coniugare le regole e le figure della nuova economia con le tutele dei diritti fondamentali e delle nuove situazioni esistenziali (Grossi), ma tale esigenza sottende anche un pericolo.
La modernità non può che essere dominata dai principi ma questi devono essere  sottratti al rischio mortale della discrezionalità e della inconoscibilità da parte del cittadino, sicché il problema delle regole unificanti va oggi riproposta con forza secondo modelli diversi dal passato.
La pluralità dei centri di produzione del diritto pone un primo e decisivo problema.
Si pensi che oltre il quaranta per cento delle leggi deriva da atti dell’Unione spesso di produzione burocratica e non provenienti da organi elettivi; ma si pensi anche ad una frammentazione che richiama la struttura medievale delle corporazioni, degli ordini professionali, delle categorie oggi chiamate a dettare regole in una società priva di centro unificante.
Senza contare la produzione di precetti rimessa direttamente ad una lex mercatoria  prodotta dalle imprese , secondo il modello giuridico nord-americano che  diviene sempre più il centro di una dominazione, culturale e giuridica, di estremo pericolo per le identità giuridiche e sociali europee.
Il timore, grave,  è di tornare ad un’organizzazione sociale  in cui il gruppo o il modello dominante prevalga  pesantemente su ogni aspetto di tutela della persona
La logica dei diritti esorcizza in parte tali pericoli.
Essa ci parla  di eguaglianza,  di libertà verso ogni verità imposta, di posizioni individuali e di legami sociali privi di costrizioni comunitarie(Rodotà).
La Carta europea offre un primo modello di questa forte rivendicazione che assume  un preciso significato nel fondare un valore unitivo forte per l’identità dell’Unione Europea e per la  disciplina dei rapporti fra privati e fra questi e le istituzioni.