05-giovanni_paolo_ii-2 In morte di papa Wojtyla 

Forum di Testimonianze a cura di Maurizio Bassetti

Sommarietto: Aspetti positivi e limiti, luci e ombre, elementi controversi e forti stimoli innovativi nel pontificato di Papa Wojtyla inquadrati attraverso le opinioni di alcuni membri della Redazione di “Testimonianze”

Il Comitato di Redazione di Testimonianze si è riunito dopo la scomparsa di Papa Giovanni Paolo II:  dopo la commozione per l’evento, la perplessità per l’eccessiva attenzione dei media, il grande movimento di fedeli, chiediamo ad alcuni redattori di delineare un bilancio del pontificato di Wojtyla. Quali aspetti più significativi possono essere evidenziati?
Severino Saccardi – L’emozione nel momento in cui scompare uno dei grandi protagonisti della storia del Novecento e dei primi anni di questo millennio è forte. Ho ancora in mente, come tanti, le immagini legate ai grandi eventi del secolo scorso, quelli di cui Wojtyla ha saputo rendersi protagonista. Gli stessi di cui ha parlato in un’intervista, che abbiamo pubblicato nel numero di “Testimonianze” dedicato a Quindici anni dopo il muro, Adriano Sofri. Il Papa polacco che torna nella sua terra e lì è capace di radunare milioni di persone che si ritrovano come se vivessero già in una società libera. E lì, ha ragione Sofri, con dieci anni di anticipo (era il 1979), è iniziato il crollo del Muro. Papa Wojtyla ha saputo rendersi interprete dell’esigenza di cambiamento profondo, radicale, rivoluzionario dei paesi dell’Europa centro-orientale. In maniera non diretta, non direttamente politica, se ne è fatto interprete in maniera dirompente. Ha fatto da riferimento ad un cambiamento che ha visto protagoniste, insieme, le masse popolari di identità cattolica, i non cattolici e gli intellettuali della sinistra radicale antitotalitaria, che ha portato al crollalo del  comunismo “reale”.
Ha saputo essere uno dei protagonisti di quel cambiamento. È stato un interprete attento dei segni del tempo, dopo il crollo del comunismo storico. Paradossalmente mi verrebbe da dire che ad un livello molto alto ha saputo interpretare la stessa istanza che ha espresso un grande pensatore laico come Norberto Bobbio. Finito il comunismo bisogna dare voce ai bisogni e metter mano alle contraddizioni per risolvere le quali  il comunismo era nato, pur elaborando poi una risposta deviata, perversa e inaccettabile.
Il Papa ha denunciato i limiti del capitalismo globale, rimasto apparentemente unico attore ed unico soggetto  economico della storia, si è saputo fare interprete dei bisogni e delle sofferenze delle popolazioni povere, ha parlato con voce forte della contraddizione Nord Sud ed ha parlato contro i nuovi muri che si sono alzati nella stessa Europa e in tutto il mondo dopo la fine del comunismo “reale”. Ha saputo dare voce al bisogno di emancipazione dei popoli e dei poveri nella storia. In qualche modo questo Papa, tante volte indicato (per certi aspetti, forse, non a torto) come un Papa conservatore, come un Papa fortemente ancorato a logiche “chiesastiche”, ha saputo parlare al mondo leggendone i segni del tempo e le contraddizioni.

Cristina Martelli – Abbiamo tutti, da pochi giorni, un forte ricordo in comune. Non è immediato assistere con atteggiamento personale ad un evento che coinvolge, a titolo e con motivazioni diverse, tutto il pianeta. Non è immediato neanche desiderarlo, quando la persona oggetto di questo interesse collettivo assume in sé molti dei connotati del potere assoluto. Quando però questo avviene si vive una forte esperienza privata, che qualcuno chiama di comunione, altri di solidarietà umana, altri ancora di omologazione. Dopo, resta alla riflessione il compito di cercare senso e spiegazione, di definire nel tempo e nella storia le condizioni che hanno reso possibile una convergenza così forte. Di calare le emozioni in un flusso di spiegazioni causali e magari politiche. Infine, di assumere la responsabilità del giudizio. Intanto, però, i giorni dell’emozione hanno regalato dei momenti di comunicazione inusuali e preziosi, che attraversano le generazioni, le gerarchie di lavoro e sociali, le culture e le lingue. Contatti che fanno intravedere delle modalità diverse e addirittura private di riconoscimento reciproco. C’è chi si è tenuto al margine: ci si domanda se il mondo sia capace di vivere queste assenze senza giudizio, ma con la nostalgia per una condizione di sentimenti comuni di cui il pianeta non ha mai goduto, ma che momenti come quelli che abbiamo appena vissuto ci hanno fatto intravedere e desiderare.

Andrea Bigalli – Come hanno ben dimostrato le giornate in cui Roma è stata invasa dai fedeli che rendevano l’ultimo omaggio al Papa, si sottolinea lo spessore dell’uomo e come la contemporaneità lo ha letto e interpretato. In una forma che però sottolinea anche le ambiguità. È stato un grande leader in un momento storico in cui mancavano, ma è altrettanto fuori di dubbio che  “l’uomo” abbia fatto dimenticare la realtà a cui l’uomo apparteneva. Intendo dire che la Chiesa cattolica va oltre chi la incarna  di volta in volta, il cristianesimo va oltre chi lo incarna di volta in volta. Il cristianesimo comporta una dimensione etica, storica e sociale ben determinata, vissuta da una collettività, da una comunità, che, a questo punto, è di fronte a delle incognite. È stato un uomo molto aperto e innovatore per quanto riguarda il rapporto con il mondo e con le realtà religiose altre. Su alcuni passaggi, però, i segnali non sono stati così chiari. Per esempio, è importante il dialogo ecumenico, Assisi ’86, alcuni gesti di respiro storico, le visite alla moschea e in sinagoga, l’accordo con le Chiese protestanti sul decreto sulla giustificazione. Ma è anche vero che uscite fatte su di un altro piano sono state ben più complesse, penso ad esempio alla questione dell’ospitalità eucaristica tra le Chiese cristiane, osteggiata in un recente documento.

Andrea Giuntini – Quando Karol Wojtyla veniva eletto papa l’economia internazionale stava ancora vivendo il travaglio dovuto all’onda lunga della crisi degli anni 70. In Europa si stava per inaugurare il Sistema monetario, che avrebbe rappresentato la risposta del continente alla fine del sistema di Bretton Woods, e Margaret Thatcher stava preparando il programma basato sull’economia dell’offerta, che le avrebbe fatto vincere le elezioni in Gran Bretagna  e restare a capo del governo per ben sedici anni. Il sistema dell’economia mista stava andando definitivamente in crisi e di lì a poco sarebbero partite le prime bordate all’indirizzo del welfare state. Secondo gli economisti si stavano creando le condizioni, che nel corso del decennio successivo avrebbero avviato il processo di globalizzazione, definitivamente implementato nel corso degli anni 90. Il Papa, dunque, ha accompagnato con il suo pontificato una serie di passaggi davvero epocali in ambito economico. Le condizioni del mondo al tempo della sua elezione e quelle al momento della sua morte, da questo punto di vista sono assolutamente incomparabili. Dal canto suo Wojtyla ha anche assecondato e interpretato questo grande moto di cambiamento. Almeno un aspetto, fra i tanti, occorre sottolinearlo, cioè la sua attenzione costante a quella vasta parte del mondo che dalla globalizzazione ha ricevuto più torti che benefici, in un’ottica di costante preoccupazione per l’acuirsi delle differenze economiche e dell’impoverimento di una fetta cospicua della popolazione mondiale. Il Papa polacco è stata una specie di sentinella della globalizzazione, pronto a lanciare l’allarme ogniqualvolta i sacerdoti dell’economia internazionale, intenti a gestirne i complicati meccanismi, mostravano di non avere cura che milioni di uomini e donne rischiavano di restarne drammaticamente stritolati. Il Papa dell’economia globale ci lascia anche questo in eredità: l’esortazione a non abbassare la guardia, a continuare a vigilare sui processi di globale, nella convinzione che non è vero che si sviluppano al di fuori della nostra portata, ma che al contrario rientrano pienamente all’interno della nostra sovranità di cittadini del mondo.

Mary Malucchi – Indubbiamente è stato testimone di alcuni passaggi epocali del nostro tempo e ha saputo leggerli in maniera lungimirante e costruttiva.  Personalità forte e carismatica, si è imposto immediatamente all’attenzione del mondo per le sue doti comunicative e umane, per la capacità di trasmettere alla gente al di là di schemi e stereotipi. È stato il Papa della comunicazione e del dialogo. E in questo appare come una figura nuova e innovatrice nella storia ecclesiastica.Interprete del bisogno di libertà dei popoli dell’Europa centro-orientale, succubi dell’oppressione del “socialismo reale”, ha militato per il crollo del muro e del blocco sovietico. Tuttavia ha poi saputo criticare il mondo “unipolare” che ne è derivato, rifiutando di consegnare la storia ad un liberismo assoluto e incontrastato. Se il comunismo aveva fallito, neanche il capitalismo era la risposta all’ingiustizia e alle disuguaglianze del mondo. È stato il Papa che ha chiesto perdono per le colpe storiche della Chiesa, ha condannato l’olocausto e l’antisemitismo, ha cercato il dialogo con l’ebraismo, con l’islam, con le religioni asiatiche. È stato il Papa che davanti al muro del pianto a Gerusalemme ha chiesto perdono agli ebrei, che a Damasco ha visitato la moschea degli Omayyadi, che al grande Evento di Assisi del 1986 ha pregato accanto al patriarca della Chiesa ortodossa e al Dailai Lama, ognuno nel rispetto delle identità degli altri. Tuttavia, dietro all’enfatizzazione e all’amplificazione mediatica delle sue azioni, restano dei nodi e delle contraddizioni che fanno intravedere anche un’altra faccia del suo pontificato e ci chiamano ad una lettura più profonda e ambivalente.

Accanto agli indubbi aspetti innovati del pontificato di Wojtyla si possono allora  individuare dei nodi e delle contraddizioni profonde?

Leonardo Ferri – Il suo è stato un pontificato ambivalente e a “due dimensioni” direi: le due dimensioni della televisione, del maxischermo in piazza San Pietro, quasi a metafora delle due dimensioni del suo pontificato. Non c’è dubbio sul fatto che sia stato il primo pontefice “mediatico”, le sue apparizioni televisive, in particolare in Italia, erano quotidiane e il successo di pubblico che ha ottenuto in parte è dovuto anche a questo. Perciò il pontificato di Giovanni Paolo II non poteva terminare in modo più adatto, con un bagno di folla in piazza e di fedeli ed estimatori, più o meno laici, davanti alle televisioni. Due sono anche le dimensioni del suo pontificato: la dimensione della pace, dell’incontro fra culture e religioni, le scuse per le colpe dei “figli della Chiesa” (e non della Chiesa); e d’altra parte è stato anche un Papa che ha riavvicinato la Chiesa cattolica ad una impostazione pre-conciliare. Si pensi alla prassi canonizzatrice e ai modelli di santità proposti quali padre Pio, Escrivá o  Pio IX. Le sue parole relative alla sfera sessuale, dalla grave colpa che riveste la posizione, espressa sempre ed in maniera radicale, contro le norme contraccettive, all’affermazione dell’esistenza di una morale sessuale, vincolante e determinante, rappresentano quel lato di Papa Wojtyla che segna un distacco con la nuova moralità cristiana, più aperta in campo sociale, più tollerante in campo sessuale, meno intimorita dalla modernità e ben incarnata da molti di quei giovani che hanno atteso in un sacco a pelo il funerale del pontefice.

Pietro L. Di Giorgi – In papa Wojtyla, dal punto di vista dottrinale e teologico, si possono individuare due fasi. Una, fino alla Veritatis splendor (1993), in cui, all’uomo disincantato che ha sperimentato l’assenza del fondamento, viene proposta la sequela di Cristo come incontro con “le beatitudini”, nel contesto di una sofferta  “teologia della Croce”.
In una fase più recente, a partire da Fides et ratio (1998) è come prevalso, invece, un timoroso ritrarsi in una dimensione fortemente identitaria rispetto al mare aperto del “mondo adulto” postmoderno, come se un cristianesimo finalmente postreligioso (ossia una religione ‘debole’ che si fa fede) dovesse condurre alla sua irrilevanza (anche culturale), e non potesse invece essere una dimostrazione della vera potenza della “sapienza della Croce”. Da qui la forte polemica con le teologie ermeneutiche, perché vanificherebbero ogni discorso fondativo, laddove invece esse rinviano ad una fede più genuina, gratuita, che non ha bisogno di essere giustificata.
Anche dal punto di vista ecumenico, i segnali sono stati contraddittori: dopo i mea culpa sulle cause delle divisioni fra i cristiani, negli ultimi documenti magisteriali, invece (vedi la Dominus Iesus, 2000) sono venuti meno i toni ‘inclusivi’ (si pensi alla bella immagine dei ‘due polmoni’ per le chiese d’Oriente e d’Occidente nella Ut unum sint), e sono riapparsi gli steccati, per cui le Chiese protestanti vengono declassate a “comunità ecclesiali”, con le quali si impediscono di fatto celebrazioni comuni. E se le Chiese ortodosse vengono considerate come “Chiese particolari dell’unica Chiesa di Cristo” (ma prima erano definite “Chiese sorelle”), il proselitismo in terra ortodossa, specie in Russia, continua ad impedire progressi nei rapporti con il patriarca Alessio II, pur in presenza di minori ostacoli dottrinali con l’ortodossia rispetto al mondo protestante.
Passi avanti sono stati fatti nel dialogo interreligioso, specie con l’ebraismo, anche se lo spirito di Assisi si è progressivamente appannato, per il riproporsi con forza del tema della verità di un’unica religione.
Papa estremamente ‘mobile’ (itinerante, diceva Balducci), e tuttavia ‘immobile’ dal punto di vista pastorale, Wojtyla, poi, non ha saputo o potuto fare i conti con quello che Prini ha chiamato lo “scisma sommerso”, ossia la sostanziale impermeabilità dei fedeli rispetto ad alcuni aspetti dogmatici della dottrina ufficiale, alla pratica religiosa, alla frequenza ai sacramenti, alle prescrizioni nel campo della morale della vita fisica.

Roberto Mosi – Non possiamo però dimenticare quanto grande è stata la sua attività per l’incontro e il dialogo con le altre religioni e le altre culture. Ci lascia in eredità il patrimonio del dialogo vivo, attuale fra le religioni, il senso e la realtà di un cammino che è il punto primo per ricercare, nei tragici passaggi del presente, motivi di speranza all’aprirsi del nuovo millennio. Una profonda meraviglia hanno suscitato il modo in cui l’ha fatto, i gesti che ha compiuto, il viaggio ininterrotto fra i popoli, fra le sofferenze, fra le generazioni, a cominciare dai giovani. Prendiamo il gesto esemplare della visita alla sinagoga di Roma dell’aprile 1986, il rivolgersi agli ebrei con l’espressione : “Siete i nostri fratelli prediletti, e in un certo modo, i nostri fratelli maggiori”. Un’opera che ha posto davanti a tutto la dignità dell’uomo, l’idea che nessuno vive solo per sé e solo per il presente, ma anche per gli altri e per il futuro comune. E’ apparsa anche  una sfida costante a gran parte della cultura laica, per ribaltare la scala delle priorità, in un tempo che porta ad occuparsi in prevalenza non di ciò che si è ma di ciò che si ha, o di come si appare.
Si avverte, d’altra parte, nello sciogliersi di questi giorni l’importanza della dimensione del silenzio, di ritirarsi – richiamando la nota parabola- “tutto solo” per i sentieri della montagna, per cogliere per intero il valore di quello che il Papa ci ha lasciato, per cercare di capire il senso profondo dei gesti che sono stati compiuti e, se possibile, di quelli che sono mancati.

Maurizio Bassetti – Non dimentichiamoci il Papa pellegrino: ho sempre visto con favore i viaggi del Papa in ogni parte del mondo pur nella perplessità dei mezzi, della eccessiva frequenza e dei rischi della inevitabile contraddizione tra ricchezza papale e povertà dei paesi che visitava. L’apertura a tutto il mondo, lo spostare l’attenzione dall’Italia e dall’Europa per indirizzarla al resto del pianeta è sicuramente un’ottica positiva, in cui riconosco una tendenza vicina al progetto di civiltà planetaria balducciana.
Del pontificato di Papa Wojtyla mi hanno colpito tre aspetti: il dialogo interreligioso, il sostegno alla pace e appunto l’apostolato tra le genti nel mondo.
Dalla giornata della pace di Assisi del 1986 in cui fu capace di riunire esponenti di tutte le religioni sul tema della pace all’appello per il rilascio di Giuliana Sgrena, Giovanni Paolo II si è sempre battuto per la pace, andando contro i potenti della terra come Bush padre e figlio, nelle loro guerre nel mondo. Di fronte ad una Chiesa che nel passato aveva legittimato la guerra giusta, aveva benedetto i bombardieri che partivano per il Vietnam, mi pare quella di Wojtyla una posizione innovativa e netta, che sicuramente ha influenzato il movimento pacifista di provenienza cattolica e ne ha favorito la diffusione. Rimangono comunque ancora qualche ambiguità nella posizione della Chiesa sui temi dell’obiezione di coscienza e della legittimazione del sistema militare.

Ci sono dunque luci ed ombre nel Pontificato di Papa Wojtyla; quali altri aspetti si potrebbero evidenziare?

Giuseppe Vettori – Giovanni Paolo II , con la Centesimus annus, ha arricchito e potenziato la dottrina sociale della Chiesa scrutando a fondo il fine della proprietà e dell’economia di impresa, sino a indicare ai popoli, dopo il crollo del comunismo e contro le insidie del libero mercato, un ideale democratico, sorretto da un esplicito riconoscimento dei diritti umani.
Il messaggio in difesa dell’uomo e della sua dignità è stato tra i più forti nel secolo appena trascorso e il suo magistero, continuo, è andato ben oltre una proclamazione ideale priva di effettività.
Al di là delle Carte e delle Dichiarazioni, incapaci troppo spesso di frenare le continue e tragiche negazioni dei diritti, il Papa ci ha insegnato a riconoscere la loro oggettività storica.
Nel suo insegnamento c’è un preciso ammonimento sul loro valore fondativo dei diritti che deriva  dalla operosità feconda di milioni e milioni di uomini che agendo individualmente o variamente coordinati in gruppi e associazioni hanno costituito “come un grande movimento che ha contribuito a costruire una società più giusta o almeno a porre argini all’ingiustizia”.
Questa struttura antropologica è stata tale da  incorporare regole morali e regole giuridiche nella forma dei diritti fondamentali che appartengono al diritto e alla morale, conservando la loro peculiarità di regole giuridiche.
La dottrina e l’azione di Giovanni Paolo II hanno fornito un potente contributo alla individuazione e alla tutela di queste situazioni, ricevute e trasmesse da sempre, ma espressione costante del respiro sempre nuovo del mondo.

Severino Saccardi – Su questi temi ci sono, però, anche punti controversi nel suo pontificato, basti pensare alla battaglia che Wojtyla ha fatto in difesa delle “radici cristiane” dell’Europa e di un certo rapporto fra Chiesa e sfera civile, alla gestione degli stessi rapporti interni alla dimensione ecclesiale ed alla chiusura nei confronti della “Teologia della Liberazione” (pur “corrette”, poi, parzialmente, dall’attenzione alle contraddizioni dell’ America Latina), alle posizioni intransigenti da lui assunte in tema di morale familiare, Ma tutti questi aspetti niente tolgono alla grandezza di Wojtyla come portatore di un originale messaggio di pace, attento al dialogo fra le culture, le religioni e le civiltà.
Va sottolineato quello che notò anche un uomo, certamente di sensibilità “non wojtyliana”, come Ernesto Balducci il quale colse in pieno il significato del messaggio di Assisi, quando Giovanni Paolo II riunì nella cittadina del “poverello”, i rappresentanti di tutte le religioni del mondo, ognuna delle quali, con la propria caratterizzazione ed identità, a partire dalla propria impostazione e vocazione, ha pregato ed ha dato evidenza simbolica al bisogno di pace dei popoli della terra.
Papa Wojtyla si è opposto alla logica della guerra preventiva, alla deriva che potrebbe portare verso il conflitto fra civiltà, ha saputo dialogare con altre religioni e con altre civiltà. Ha chiesto perdono per le molte mancanze storiche della Chiesa nei secoli. È una lezione che per tutti rappresenta un’eredità importante che carica tutti noi di grande responsabilità.

Andrea Bigalli – In una fase storica difficile come è stata quella della guerra, delle innumerevoli guerre del post-muro, le sue posizioni sono state molto importanti, come il no alla guerra espresso con grande forza, o l’affermazione dell’esigenza del dialogo con l’islam. Ci sono state parole e prese di posizioni, di cui gli siamo molto grati e su cui ha mostrato una lungimiranza più grande dei sistemi politici odierni. Con l’islam il Papa si è accorto che il rischio era quello di chiudere i rapporti con quel mondo.
È un uomo che è riuscito a guardare le cose con un respiro di ordine storico. Nella misura in cui ci si rende conto che le molte istituzioni culturali e pubbliche non riescono ad andare aldilà delle contingenze e del breve respiro, quest’uomo ha avuto la capacità di guardare oltre: è una delle caratteristiche che la Chiesa cattolica dovrebbe sempre avere.
Questa attenzione collettiva, anche se è un fenomeno che rischia di essere una strumentalizzazione mediatica, indica però che effettivamente in questa epoca storica quest’uomo ha giganteggiato.

Maurizio Bassetti – Penso anch’io che la  ricerca di un dialogo con le altre religioni sia l’aspetto in cui il Papa ha veramente fatto i passi più significativi e radicali, con gli ebrei innanzitutto, ponendo una pietra miliare per un riavvicinamento tra ebrei e cristiani che non era stato mai compiuto, se non addirittura osteggiato in altri tempi. La visita alla sinagoga romana del 1986 e i buoni rapporti con il rabbino di Roma e la preghiera, ricca di significati simbolici, del Papa davanti al muro del pianto nel 2001, con le parole di richiesta di “perdono” lasciate in un biglietto, sono da ritenersi tra gli atti migliori del pontificato. Anche gli sforzi per un dialogo con l’islam e le altre religioni sono significativi: la visita alla moschea di Damasco e i buoni rapporti con il Dalai Lama sono altri passi importanti per quell’ottica di dialogo contraria allo “scontro di civiltà” che da altre parti si evoca.   Si può dire che nel dialogo interreligioso Papa Wojtyla sia andato più avanti della sua stessa Chiesa, molti prelati e fedeli non gli hanno perdonata questa apertura considerata una perdita di prestigio e di potere nell’ottica del proselitismo e della “grandezza” della Chiesa, temi che non sono assenti nella concezione stessa di Giovanni Paolo II. Una certa nostalgia della potenza della Chiesa è rimasta presente nel Papa che non disdegnava i bagni di folla, le adunate oceaniche, l’uso della diplomazia, il dialogo da pari con i potenti della terra. Ma l’aspetto più critico per me rimane il piano della conduzione interna della Chiesa e le posizioni nel campo morale dove papa Wojtyla ha mantenuto ferma una posizione rigida in difesa di aspetti assai discutibili, come l’ostilità per un’emancipazione delle donne nell’ambito ecclesiastico, la difesa dei riti e la condanna di vari comportamenti sociali.

Mary Malucchi – L’esaltazione del suo ruolo di pastore di tutta la Chiesa sembra alla fine sollecitare quella centralità della figura del papa che si allontana dalla “collegialità” tanto invocata dal Concilio Vaticano II. Se Papa Giovanni XXIII aveva auspicato un cristianesimo attento ai movimenti di riforma dal basso, basato sul popolo di Dio e sui vescovi come servitori, Wojtyla consolida invece un sistema rigido e piramidale convergente verso la star mediatica papale. Il centralismo romano è sempre più accentuato e un ecumenismo fatto di gesti cortesi e di incontri non è certamente garanzia di un effettivo pluralismo religioso.
È stato un Papa aperto allo scambio e al confronto con le altre culture. Ma innumerevoli sono i pronunciamenti contro comunità di base, contro l’autonomia dei teologi o contro movimenti di riforma dal basso. Basti pensare alla condanna della Teologia della Liberazione o al monito lanciato al popolo cileno che, oppresso da una dittatura sanguinaria, era comunque invitato a “ resistere a coloro che ideologizzano la fede e a quelli che pretendono di costruire una chiesa popolare che non è la Chiesa di Cristo”.
Possiamo poi ricordare la rimozione del vescovo di Evreux in Francia, Jacques Gaillot, nel 1995, per la sua vicinanza a movimenti di base sospetti, ai gay, ai clochard, agli immigrati; e la scomunica di padre Tissa Balasuriya, grande teologo dello Sri Lanka, orientato verso la salvezza che viene dal basso, dagli inferi del mondo.
Papa Wojtyla pronuncia parole chiare e decise contro la guerra, da considerare sempre un’avventura senza ritorno, a favore della pace e della giustizia. Eppure non ha difficoltà, nel corso del suo viaggio in Cile del 1987, a presentarsi in pubblico al fianco di Pinochet, chiudendo gli occhi su illegalità, violenze e dittatura o a mandargli la sua foto con tanto di benedizione  in occasione del 50° anniversario di matrimonio. Poi promuove ai massimi livelli un cardinale come Pio Laghi, implicato nello sterminio di giovani argentini invisi alla dittatura; beatifica Alojs Stepinac, il cardinale che aveva benedetto il regime nazi-fascista di Ante Pavelic in Croazia.
Anche la laicità e il laicismo sembrano non trovare grande spazio in questo pontificato, che afferma la propria verità su temi quali la sessualità, l’autodeterminazione delle donne, i diritti civili e individuali, ribadendo come solo la dottrina cattolica sia portatrice di valori. L’opposizione all’uso dei contraccettivi, anche quando potrebbero salvare milioni di vite in vaste aree del mondo, la condanna dell’omosessualità, la negazione della libertà di scelta per le donne su aborto, fecondazione assistita (alle quali viene anche negata l’ordinazione) s’inseriscono in una cultura fortemente conservatrice e reazionaria.

Sono rimasti irrisolti quindi molti nodi all’interno della Chiesa e nel suo rapporto con la post-modernità. Quali sono allora le sfide che si presentano al successore di Wojtyla dopo un’esperienza  come la sua?

Severino Saccardi – Quella di Wojtila è un’eredità non semplice. Ha affrontato in maniera trasversale, originale e dirompente, tematiche di carattere religioso, ecclesiale, pastorale, politico e culturale con un’impronta  molto originale, forte e controversa. Oggi quali sono le sfide nella Chiesa e  per la  Chiesa nella società? Ancora una volta una delle sfide fondamentali è proprio il rapporto con la post-modernità che, da una parte pone frontiere più avanzate da un punto di vista tecnologico, scientifico ed economico e dall’altra porta avanti logiche spesso disumanizzanti, nuove forme di oppressione, di schiavitù. La Chiesa deve aprirsi al nuovo e, nello stesso tempo, saper leggere criticamente il nuovo che va imponendo la sua impronta e la sua logica al mondo interdipendente dei nostri tempi.

Roberto Mosi – Il Papa lascia per molti versi una Chiesa più ricca per gli aspetti di cui stiamo parlando. Si afferma da parte di alcuni che la Chiesa sia rimasta indietro sui percorsi che sono stati aperti. I prossimi tempi ci daranno la risposta. Speriamo che prevalgano le ragioni del dialogo, la logica della semplicità, che possa esservi un’espressione forte, riconoscibile, da parte delle comunità locali maggiormente provate dalle sofferenze, nella testimonianza viva del messaggio cristiano.

Andrea Bigalli – Ci sono molte questioni che rimangono aperte. Questo è l’aspetto più drammatico del pontificato di Giovanni Paolo II, che un autore laico come Cacciari ha ben intuito, lo scollamento fra Chiesa cattolica e mondo sul piano etico e sul piano dei linguaggi di comunicazione. Da questo punto di vista Giovanni Paolo II ha catalizzato su di sé l’attenzione, ha portato il peso di questa comunicazione con la società contemporanea. Resta da vedere, adesso, se ci sia o meno qualcuno in grado di prenderne il posto e, soprattutto di affrontare i molti problemi aperti. Per esempio, il rapporto fra scienza e fede, penso al referendum sulla procreazione assistita, che segna la distanza drammatica fra le posizioni etiche del cristianesimo e il sentire comune indotto dal predominio dei sistemi scientifico filosofici, posizioni etiche cattoliche che per paradosso nel loro essere conservatrici sono però più attente al discorso della globalizzazione e dell’umano in quanto tale. Ma si deve aggiungere il problema della contraccezione, tutte le realtà affrontate dall’etica sessuale, l’identità delle persone omosessuali, sono tutti problemi che restano aperti e che durante questo pontificato sono rimasti sospesi, nella discussione interna come nella ricerca teologica. Adesso sono questioni che tornano con prepotenza. Penso anche ai problemi interni alla Chiesa stessa, il ruolo del Magistero petrino, questione che Wojtyla stesso ha sollevato a tempo debito, la questione del rapporto fra Chiese particolari e Chiesa universale, la questione della centralizzazione romana, si tratta di questioni per troppo tempo non affrontate.
La ricerca teologica è in parte è ferma, tutta la dimensione pastorale chiede di essere riaffrontata, ci sono tematiche rimaste in questi anni congelate. Ora si apre una stagione particolare e bisogna che chi lo sostituirà ne prenda atto ed affronti la questione con la maggior sapienza possibile e parlare di sapienza, per noi, significa parlare di dono dello spirito ed il dono dello spirito è anche la capacità di leggere la storia e rispondere con fedeltà al Vangelo e con un occhio attento a ciò che l’umano, nella sua concretezza, presenta.

Leonardo Ferri – Mi resta difficile immaginare una Chiesa capace di risolvere la sua diffidenza nei confronti del presente. Da osservatore esterno noto però la sempre più numerosa presenza di figli della Chiesa che, del rapporto con la contemporaneità, hanno fatto la loro bandiera. Le nuove esperienze missionarie mirano a contribuire alla vita dell’uomo nel suo mondo particolare, un lavoro con l’uomo e non per l’uomo. Questo è un passo importante che riprende una tradizione cristiana che non ha mai smesso di esistere, nonostante le ostilità a cui è andata incontro, e che trova il suo presupposto in una compassione che unisce e che permette di varcare i confini della religiosità riconoscendosi nell’umanità. Un’umanità diversa, particolare, che, forse, l’elezione di un Papa extraeuropeo, magari africano, potrebbe aiutare ad avvicinare, contribuendo a decentralizzare dal Vaticano il messaggio religioso. Magari è, ancora, pretendere troppo, poiché si tratta di affidare il primato ad un valore laico come la compassione.

Severino Saccardi – Quando queste riflessioni saranno pubblicate noi sapremo già, da diversi giorni, chi sarà il nuovo Papa. Che sia Italiano, Europeo o di un paese extraeuropeo riveste un’importanza simbolica notevole. Resta l’esigenza che la Chiesa sappia legarsi a culture nuove, ad identità nuove a nuove sensibilità, diverse da quelle tradizionali: una “frontiera” che si delinea di per sé anche per il fatto che il cattolicesimo oggi si espande ed ha il suo centro di insediamento nei continenti extraeuropei. Questa è la sfida fondamentale.
Ma c’è anche un’altra sfida che esiste per tutte le comunità culturali e religiose, per credenti e non credenti: quella relativa al ruolo della donna, della promozione dei diritti della donna e della posizione della donna stessa all’interno delle comunità ecclesiali e religiose. In questo ambito c’è una contraddizione non sanata, un problema aperto e le formule tradizionali non bastano più. Si tratta di un terreno minato con cui la Chiesa cattolica dovrà inevitabilmente misurarsi. È forte l’eredità di Wojtyla  relativa all’ecumenismo e al dialogo interreligioso ed interculturale; non credo che la Chiesa cattolica possa recedere dall’andare avanti nel lavoro e nel confronto su questi aspetti fondamentali.