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Un fiume usciva da Eden
di Lea Marziali

Già agli albori del pensiero simbolico, l’uomo percepisce la fondamentale importanza dell’acqua nel ciclo vitale dell’universo e la pone al centro di suggestive evocazioni. Un percorso a ritroso alla riscoperta di immagini che costituiscono un fondamentale sostrato culturale della nostra umanità. 

“[…] trabocca come il Tigri nella stagione dei frutti nuovi, fa dilagare l’intelligenza come l’Eufrate e come il Giordano nei giorni della mietitura, espande la dottrina come il Nilo, come il Ghicon nei giorni della vendemmia (…) Io sono come un canale derivante da un fiume e come un corso d’acqua sono uscita verso un giardino. Ho detto: Innaffierò il mio giardino e irrigherò la mia aiuola! Ed ecco il mio canale è divenuto un fiume e il mio fiume un mare” (Siracide, 24, 23-25.28-29).

Bereshit, dove tutto ha avuto inizio

Bereshit, prima che tutto fosse creato “[…] lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”.

La materia vivente iniziò dall’acqua la sua avventura nel nostro pianeta, unità e potenzialità di vita quando tutto ancora doveva essere, così come nel liquido amniotico vive l’uomo la sua formazione iniziale.

Già agli albori del pensiero simbolico, l’uomo percepisce la fondamentale importanza dell’acqua nel ciclo vitale e ne fa oggetto di grande speculazione legando ad essa infinite ierofanie.

Presso i popoli che si affacciano sul Mediterraneo le acque dolci, indispensabili e benefiche, hanno generato sempre stupore, miracolo e poesia. Le più belle espressioni tramandateci sono legate al verdeggiare della natura intorno alle sorgenti o alla sacralità dei pozzi, assi del mondo, microcosmi che legano il cielo agli inferi. La valenza di vita ed il simbolo di rigenerazione legano all’acqua il mito dei Paradisi terrestri.

Il giardino delle Esperidi, sede nuziale di Hera e Zeus e luogo di eterna vita, era in un’isola dell’Oceano. L’Eden aveva quattro fiumi che lo irrigavano perpetuamente. Nel Buddhismo e nel Brahmanesimo, la “Via del Pellegrino”, rappresentata come un viaggio, può essere messa in rapporto con il fiume simbolico della vita. Senza acqua non esiste vita.

Secondo la mitologia egiziana è da Nun, il pigro elemento acquoso, che emerge la terra e presso questo popolo l’acqua è legata all’idea della rianimazione: in quanto “efflusso proveniente da Osiride”, essa libera dalla rigidità della morte. Nell’epopea babilonese della creazione, Tiamat, il mostro che nelle impronte dei sigilli è spesso rappresentato sotto forma di drago, è vinto da Marduk e dal suo corpo vengono formati cielo e terra.

Acqua e giardino appaiono legati, anche materialmente, nelle famose costruzioni dell’antichità il cui significato e la cui topografia erano sempre simbolici: i giardini romani, arabi, persiani e giapponesi, erano immagine del mondo e del Paradiso Terrestre. Avevano alberi fruttiferi, piante odorose, correnti d’acqua viva. Ricchi d’acqua viva sono i giardini del Paradiso coranico.

Dalla maggior parte dei popoli orientali l’acqua che scorre era considerata una sostanza carica di potenza, in grado di purificare non solo dal sudiciume esteriore, ma anche dai peccati.

Nella mitologia i fiumi sacri sono legati alla dimora o alla presenza degli dei.

Il dio siro-ugaritico El ha la sua dimora “alla sorgente dei due fiumi, in mezzo alle correnti degli abissi”.

Alcuni elenchi babilonesi di divinità citano un dio dal nome “Fiume di Salvezza”. In Egitto il Nilo godeva di altissimo prestigio; secondo una tradizione, la sorgente del fiume si trovava in una caverna dove riposava il corpo di Osiride e le inondazioni del fiume, così importanti per la fecondità del paese, erano collegate alla resurrezione del dio.

Senza acqua è impensabile un paese fertile e per questo “un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi” (Gn 2,10).

 
I quattro fiumi della Genesi

La descrizione dei quattro fiumi della Genesi di cui soltanto due sono geograficamente determinabili senza alcun dubbio, l’Eufrate ed il Tigri, conferisce al Paradiso terrestre una posizione centrale (Gn 2, 11-14) ; ogni fiume paradisiaco scorre, da un punto di vista simbolico, in una delle quattro parti del mondo.  Il riferimento al fiume non può non evocare quello alla sua corrente ed è proprio in questa associazione che il simbolismo si fa forte ed emblematico del dualismo fiume-vita. La corrente che “scende” porta la vita ovunque, mentre il “risalire la corrente” stessa è espressione del ritorno verso la sorgente celeste, immagine legata strettamente al simbolismo dell’ “albero rovesciato”.

I quattro fiumi dell’Eden scorrono orizzontalmente alla superficie della terra e non verticalmente come invece richiederebbe la direzione assiale; ma questi hanno la sorgente ai piedi dell’“Albero della Vita” che, naturalmente, è anche l’Asse del Mondo.

Questo essere all’”origine di tutte le cose”, come cantava Omero riferito all’Oceano nel XIV canto dell’Iliade, fa sì che l’immersione in acqua venga avvertita come regressione allo stato di non-esistenza, di individuazione non ancora definita perché ancora fusa con la sostanza materna, al contrario dell’emersione vista come una nuova nascita.

Il simbolismo dei fiumi edenici si estende anche al loro aspetto “topografico” che recita: “poi di lì si divideva e formava quattro corsi”

Il numero “quattro” allude alla totalità cosmica, infatti, così come quattro sono i punti cardinali, quattro sono i venti principali, quattro le stagioni e quattro le fasi lunari. Secondo un’antica tradizione, quattro sono gli elementi: aria, acqua, terra e fuoco e quattro le qualità essenziali dell’umido, del secco, del caldo e del freddo.

Nella Bibbia il “quattro” rimane un riferimento al mondo creato da Dio. Il fiume che nasce nel giardino di Eden si divide in quattro corsi (Gn 2, 10) ed il nome del primo uomo, ADAM, è composto dalle iniziali dei nomi assegnati ai punti cardinali (Anatolè, Dysis, Arktos, Mesembria, ovvero: Oriente, Occidente, Settentrione e Meridione) quasi a sancirne la valenza cosmica.

Dei quattro fiumi edenici citati nella Genesi, solo i corsi dei primi due sono noti: il Tigri e l’Eufrate, ma questi, insieme al Gihon ed al Pison, rappresentano la totalità dell’acqua viva, (ύδωρ ζϖν), che non solo possiede la vita in sé, ma conduce essa stessa alla vita: “La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti d’acqua” (Is. 35,7). Le acque vive torneranno in Ap XXII, 1-2 dove, subito dopo la descrizione del fiume che sgorga dal Tempio escatologico, si continua: “da tutte le parti del fiume, alberi della vita danno dodici volte i loro frutti; le loro foglie servono alla guarigione delle nazioni”.

 
Portatrice di vita

L’acqua viva e portatrice di vita evoca l’immagine modernissima di un inizio nell’elemento acquoso di ogni forma vivente. La Bibbia è anche questo, tra le sue pagine stanno nascoste o solo toccate con la leggerezza di un volo di farfalla, meraviglie inimmaginabili, affermazioni strabilianti e generatrici di stupore, non solo per chi vi si avvicina con spirito di fede. Se riuscissimo a resettare tutte le nostre conoscenze, le nostre sovrastrutture mentali e diventare uomini di tremila anni fa, riusciremmo ugualmente a spiegarci le ragioni della vita pensando alla “ruah”, l’alito matriziale, il soffio, il respiro che “aleggia” con movimento quieto e dolce sulle “acque”. Queste acque non sono ancora quelle dei fiumi o dei mari, ma sono riconducibili alla “theom” della tradizione semitica: un mostro femminile primordiale che rappresenta la grande massa acquosa, mostro che deve essere ucciso, annientato, squartato perché da quelle stesse acque si generi la vita. La divisione, il mettere una parte di fronte all’altra, è un gesto di fondazione, di creazione e stabilisce, tra le due parti, un’alleanza.

Tutta la creazione nasce da azioni di “divisione” e ricomposizione; ogni aspetto del creato, per poter vivere, ha bisogno di un suo contrario, un completamento necessario a ri-formare l’originaria unità. Sarà per questo che l’acqua ha mantenuto, nella lingua ebraica, la rara forma duale (maîm) riservata a pochissimi sostantivi, tra cui “cielo”, (šamaîm).

Le acque sono due perché esistono le acque superiori, nel cielo e quelle inferiori, sulla terra. Perché queste ultime divengano portatrici di vita devono consentire agli esseri di vivere ed il Creatore interviene di nuovo per liberare la terra dalle acque che la sovrastano raccogliendole in un unico posto e facendo apparire l’asciutto.

La dualità cui si accennava prima rimane comunque insita nella sostanza e le acque superiori, in grado di portare fertilità possono trasformarsi in un elemento di morte e sofferenza, come nel caso del Diluvio.

Anche le acque inferiori possono assumere una valenza negativa e pericolosa per l’uomo.

E’ molto interessante notare come, secondo la psicanalisi, tutti noi cerchiamo di rivivere e ristabilire l’armoniosa mescolanza del sé con l’ambiente materno mediante quella che può definirsi una “regressio ad uterum”. Questo stato di beatitudine viene interrotto con la nascita che decreta la “separazione” dalle acque amniotiche ed una nuova forma di adattamento. Non sarebbe, dunque, l’acqua in sé a contenere messaggi o aspetti amgoscianti o ansiogeni, quanto piuttosto l’uscita dalla stessa.

Come non pensare a quell’umanità che, uscita per sua scelta, dall’ambiente protetto dell’amicizia con Dio, un ambiente irrigato nella sua totalità da quattro fiumi, si trovi a percorrere un cammino di “regressio” verso lo stato iniziale, risalire la corrente dei fiumi per tornare ai piedi dell’albero della vita, là dove, “bereshit”, tutto ha avuto inizio?