di Vannino Chiti
Perché a ottanta anni dalla Liberazione, dalla fine, in Europa, della Seconda Guerra mondiale e dalla scoperta dell’orrore dell’Olocausto si riaffacciano nostalgie fasciste, naziste e l’antisemitismo? Forse perché non si sono fatti sufficientemente i conti con la storia e antifascismo e antinazismo sono stati spesso ammantati di vuota retorica. La congiuntura che stiamo vivendo ci pone di fronte alla necessità di ribadire l’attualità dell’eredità della Resistenza, nella consapevolezza che la libertà, la democrazia nelle nazioni, la pace, il rispetto dei diritti umani sono dimensioni da non dare per scontate e che devono essere difese perché non vengano assoggettate al dominio della forza nelle relazioni tra i popoli.
Due domande cruciali
L’ottantesimo anniversario della Liberazione e della fine, in Europa, della Seconda Guerra mondiale, oltre al dovere di iniziative che sappiano coinvolgere il più possibile la società civile e non solo le istituzioni, ci pone l’esigenza di rispondere a due interrogativi cruciali: perché a così breve distanza di tempo da quel conflitto, che causò un numero spaventoso di morti e durante il quale fu progettato e in parte consistente realizzato il genocidio del popolo ebraico, nell’Occidente democratico si stanno affermando partiti che non hanno rotto con l’ideologia fascista e nazista? Quali le vie per fare emergere l’attualità dell’antifascismo come radice e fondamento della democrazia moderna? Abbiamo bisogno di lucidità, rigore e coerenza, non di retorica! Già nella Prima Guerra mondiale, 1914-1918, i morti, tra militari e civili, erano stati circa 17 milioni. Se si calcolano tra le perdite anche i mutilati e gli invalidi si arriva a 37 milioni.
Con l’epidemia di «spagnola», non affrontata in modo adeguato anche a causa delle necessità belliche, i morti diventano circa 60 milioni. Come si vede, sono costretto a scrivere «circa», perché delle persone esposte al massacro non ci sono neppure numeri certi! Dal 1945 ci separano soltanto quattro generazioni. Nel Secondo Conflitto mondiale si sono avuti – anche qui si deve sottolinearne l’indeterminatezza – tra 60 e 70 milioni di morti, soldati e civili. Per la prima volta nella storia dell’umanità alcuni stati, Italia e Germania, decidono con misure legislative e atti di governo, la soppressione di un popolo, quello ebraico, e l’eliminazione di Rom, Sinti, comunisti, oppositori, portatori di handicap. Fascismo e nazismo sono regimi totalitari, che si reggono sulla violenza e sul culto della forza: aggrediscono altri popoli, scatenano guerre, coinvolgono il mondo nel conflitto. Questa è l’indiscutibile eredità. Eppure, oggi, nelle nazioni europee e negli Stati Uniti vincono partiti con ideologie di estrema destra: tornano in auge la forza, il nazionalismo, il suprematismo razziale. Così è in Francia con il Rassemblement National di Marine Le Pen, in Germania con Alternative fur Deutschland di Alice Weidel, in Ungheria, nei Paesi scandinavi, da noi. Forze politiche di destra guidano Turchia, Israele, Argentina, India, Giappone. Negli Stati Uniti è di nuovo presidente Donald Trump, che nel 2020 incoraggiò e sostenne l’attacco a Capitol Hill, un tentativo di opporsi con la violenza all’esito delle elezioni. Il Paese militarmente ed economicamente più forte, un tempo faro della democrazia, pubblica sul sito ufficiale della Casa Bianca la foto di una fila di immigrati espulsi in catene, con il commento dell’inizio della «deportazione» promessa in campagna elettorale; minaccia Panama, Messico, Canada; si contrappone alla Danimarca sulla sovranità della Groenlandia e si propone di escludere l’Unione Europea, insieme all’Ucraina, dalle trattative con Putin per porre fine alla guerra in Europa. In Russia, Venezuela, in gran parte del mondo arabo, dopo il fallimento delle cosiddette «primavere arabe» si sono insediati regimi autoritari. La democrazia è sotto attacco.
Le cause di una catastrofe
Interroghiamoci sulle cause di questa catastrofe che mette a rischio gli stessi capisaldi della nostra civiltà. Alcune sono storiche. Nel dopoguerra resse poco l’unità antifascista, sostituita dalla contrapposizione Est-Ovest, tra blocchi ideologici, economici e militari. Nelle nazioni dell’Europa Orientale, assegnate dagli accordi di Yalta all’Unione Sovietica, Stalin ben presto eliminò ogni forma di pluralismo, imponendo un modello unico, l’oppressione delle libertà personali e una sovranità limitata, che andranno oltre lui stesso, superate solo sul finire degli anni Ottanta con l’esaurirsi del cosiddetto socialismo realizzato. Nei paesi europei mancarono analisi approfondite su natura, avvento e complicità a sostegno di fascismo e nazismo, così da consentire il formarsi di una memoria collettiva e l’adozione di misure conseguenti nei confronti dei responsabili o dei sostenitori di quelle spietate dittature, spesso rimasti al loro posto nei gangli vitali degli stati. In quasi tutte le nazioni europee si erano avute divisioni nei popoli riguardo al nazismo e al fascismo, soprattutto nel corso della guerra, dei suoi esiti o a seguito dell’invasione delle truppe tedesche: in Italia fu imposta la repubblica di Salò; in Francia il regime di Vichy; in Belgio emerse il doppio contrasto, da una parte tra governo, che sceglie la via dell’esilio a Londra, e il re Leopoldo III, che resta in posizione subalterna ai tedeschi (e nel 1951 sarà costretto ad abdicare) dall’altra tra Vallonia, all’opposizione, e Fiandre, per motivi linguistici e culturali più disponibile alla convivenza con gli occupanti. Si può continuare con la Svezia, che seppe mantenere la sua neutralità, e la Norvegia, in cui il legittimo governo scelse l’esilio mentre si insediò un esecutivo collaborazionista, capitanato dal capo del partito nazista norvegese o l’Austria, insieme vittima, perché invasa, e protagonista a fianco della Germania del conflitto e della deportazione/sterminio degli ebrei.
La Shoah, del resto, non sorse dal nulla: era presente nello strato profondo della società europea e si trasmetteva da un secolo all’altro. Aveva non solo basi economiche, culturali e politiche che vanificarono il tentativo delle élites ebraiche di integrarsi nei vari paesi, ma anche religiose, che alimentarono un antiebraismo cristiano. Gli ebrei erano il popolo colpevole di «deicidio» e la preghiera del Venerdì Santo per la «conversione del perfido giudeo» fu abolita da papa Giovanni XXIII in una celebrazione presieduta dallo stesso pontefice. Era il 1959!
Pochi anni dopo, nel 1962, la preghiera scomparve definitivamente con la riforma dell’intero messale e nel 1965 papa Paolo VI pubblicò la Dichiarazione Nostra Aetate, per i rapporti con le religioni non cristiane, uno dei documenti fondamentali del Concilio Vaticano II.
Per questo insieme di motivi, complesso e vario, non è stata costruita, anzi si è ostacolata, la formazione di una memoria collettiva antifascista e antinazista.
Quella vasta area grigia
Anche l’antifascismo militante, almeno in Italia, ha di fatto contribuito a questi esiti, da un lato mettendo a fuoco due soli poli antagonisti, quello dei sostenitori del regime e quello degli oppositori, dall’altro trascurando l’analisi dell’area degli indifferenti. Non si è prestata attenzione a quella vasta area grigia, maggioritaria nel Paese, che al sorgere del fascismo restò a guardare la violenza che si abbatteva su sindaci socialisti o del partito popolare, sindacati, forze politiche, libertà di stampa e di opinione, poi durante il regime, in alcune fasi, si schierò a suo sostegno, per passare gradualmente all’opposizione nel corso della guerra e di fronte alla sconfitta. È vero che la Resistenza e l’insurrezione coinvolsero, nella guerra partigiana e nelle azioni di sostegno, la grande maggioranza del popolo, segnando anche un generale riscatto, per il pluralismo, politico e sociale, che le caratterizzò. Scesero in campo giovani e donne, ex militari e ampi settori del clero, classi popolari e intellettuali. Fu una rivoluzione democratica che segnò uno spartiacque nella storia dell’Italia ma non poteva recidere in modo definitivo le radici delle lunghe fasi di omertà e condivisione.
È mancata all’Italia e all’Europa quella rivoluzione intellettuale e morale, della cui necessità, qui da noi, avevano parlato uomini diversi come don Sturzo, Gramsci, Gobetti, i fratelli Rosselli.
Nazismo e fascismo sono diventati via via, nella storia dell’umanità, una sorta di parentesi, segnata da orrori e barbarie inauditi e perciò stesso non riproponibili, quasi che, quattro generazioni fa, siano nate donne e uomini con impresso il marchio del male, da cui, nel passato e ancor più in futuro, si sarebbe miracolosamente rimasti immuni. Quando moltitudini di persone partecipano o ubbidiscono a ordini di deportazione, repressione di chi dissente, soppressione di prigionieri unita a quotidiane e aggiuntive crudeltà nei campi di sterminio, non si possono accantonare l’esperienza storica e i crimini commessi contro l’umanità. Il male compiuto da un singolo chiama principalmente in causa la sua diretta responsabilità, il male operato da molti ha la sua causa prima nei regimi e negli stati che lo hanno voluto e organizzato, che hanno formato i popoli a compierlo e ad accettarlo. Dall’instaurarsi dei totalitarismi, dalle scelte, condizioni e complicità che li resero possibili, si deve ripartire.
Naturalmente nel successo, oggi, di una destra reazionaria incidono molto le ingiustizie, le disuguaglianze sociali, le guerre, gli errori della sinistra e delle forze politiche progressiste: non li sottovaluto, hanno un peso enorme ma non sono il tema di questa riflessione.
L’attualità dell’antifascismo
Provo invece a rispondere alla seconda domanda: l’attualità dell’antifascismo.
La lotta contro fascismo e nazismo reca in sé due No espliciti: alla guerra e ai nazionalismi. La patria è un valore, il nazionalismo è il suo tradimento, l’invenzione di un’identità chiusa, etnica, razziale frutto di una costruzione ideologica, non della realtà, dell’incontro tra popoli e culture, della tradizione che le riorganizza e assimila. Nazionalismo e individualismo si alimentano a vicenda e sono oggi uno dei mali che soffocano l’Occidente. L’unità dell’Europa e l’obiettivo di una democrazia federale europea hanno alla loro base l’antifascismo: il Manifesto di Ventotene, in Italia, ne è il segno. Prima ancora che nascano le istituzioni europee prende vigore il sogno, non nuovo, dell’unione democratica dell’Europa. L’antifascismo europeo è guidato dalla convinzione ideale che la pace nel continente sarà indissolubilmente legata alla sua unione democratica. La Carta delle Nazioni Unite è firmata a San Francisco il 26 giugno 1945: ne sono parte integrante le normative del diritto internazionale e, più di recente, lo Statuto della Corte internazionale di Giustizia. All’articolo 2 della Carta è sancito il divieto all’uso della forza nelle relazioni internazionali, con l’unica eccezione rappresentata dalla legittima difesa di un singolo Stato o collettiva all’aggressione in atto. È il frutto a livello globale della vittoria della coalizione antifascista.
In Italia e in Germania, in cui fascismo e nazismo si erano insediati, vengono approvate costituzioni che affermano libertà civili e politiche e diritti sociali ed economici: sarà, decenni dopo, la via seguita da Spagna, Portogallo, poi dalle nazioni dell’Est, che riconquistano la loro sovranità e scelgono di entrare a fare parte della Casa comune europea.
Ecco l’attualità dell’antifascismo: la libertà, la democrazia nelle nazioni, in Europa e a livello globale; la costruzione della pace e l’affermazione della non violenza.
Chi si oppone alla democrazia europea, chi calpesta il diritto internazionale e giustifica le sue violazioni, si dichiari di destra o di sinistra, è estraneo ai valori dell’antifascismo.
Viviamo un tempo di sfide difficili, un’epoca di tumultuose trasformazioni, nell’economia, nei commerci, nelle comunicazioni, nelle relazioni interpersonali e con le istituzioni: sotto attacco, come ho detto, è la democrazia, si ampliano le disuguaglianze sociali, è a rischio la sostenibilità ecologica del pianeta, la guerra riacquista legittimità. Anziché un governo multipolare del mondo fa capolino l’obiettivo di una triade al comando – Stati Uniti, Cina e Russia – convergenti nell’intesa di una oligarchia globale e al tempo stesso in competizione tra loro. Al diritto internazionale può sostituirsi quello della forza. I capi della finanza e delle multinazionali delle nuove tecnologie informatiche, in Occidente concentrati negli Stati Uniti, non si contentano più di condizionare i governi: vogliono assumere un ruolo guida per dettare alla politica le priorità da attuare. Hanno dichiarato guerra alle democrazie, scelgono le nuove destre per impoverirla e renderla una vuota forma. Non sono più necessarie marce su Roma e neanche le azioni, operate pochi anni fa, negli Stati Uniti e in Brasile, per rovesciare con la violenza il risultato delle elezioni. Le nuove tecnologie, con la conoscenza acquisita dei nostri valori, stati d’animo, problemi, esigenze possono condizionarci. Alcuni studiosi hanno definito l’attuale sviluppo economico «capitalismo della sorveglianza». Il confine tra democrazie e democrature è sottile: è sufficiente limitare la libertà e il pluralismo dell’informazione, rendere subordinata la magistratura, ostacolare la partecipazione dei cittadini, anche attraverso «distrazioni» di massa, che addormentino le coscienze.
Le sfide del presente
Spesso non ci rendiamo conto che libertà e democrazia non sono scontate o in di per sé durevoli né un dono amabilmente concesso: sono conquiste da difendere, consolidare, estendere. Oggi sono urgenti azioni che realizzino i diritti democratici nei luoghi di lavoro e di formazione: parte da qui la possibilità di conoscenza, controllo e indirizzo verso finalità di bene comune delle conquiste della tecnologia, prossimamente dell’intelligenza artificiale. Al tempo stesso è urgente far compiere all’Unione il passo definitivo verso una vera democrazia federale, facendo assumere a un governo europeo le responsabilità nella politica estera, di sicurezza e difesa. Senza una democrazia federale europea e, a livello internazionale, senza un rilancio e una riforma dell’ONU diventeranno vuota forma le istituzioni democratiche nei singoli paesi e sarà colpito quel diritto internazionale che regge la pacifica cooperazione tra i popoli. Sono questi gli obiettivi e le sfide che con urgenza ci pone il presente. Non dobbiamo illuderci che giustizia sociale ed ecologica, uguaglianza di genere, dignità da assicurare ad ogni persona, quale che sia il colore della sua pelle, la sua cultura e fede religiosa, siano raggiungibili senza la democrazia. I regimi autoritari non garantiscono i diritti umani fondamentali ma discriminano gli oppositori, i diversi per etnia o per opzione sessuale. L’arbitrio del potere si sostituisce alle regole della convivenza, il governo di una maggioranza non garantisce i diritti delle minoranze, lo Stato non rispetta i limiti che tutelano la persona.
È questa per me l’attualità dell’antifascismo. Il valore permanente dei suoi ideali risiede nel suo costituire il fondamento delle libertà, della democrazia, dell’opposizione ai totalitarismi, della forza del diritto, non di quello della forza, nelle relazioni tra i popoli. Sull’antifascismo poggia anche la speranza individuale e collettiva, senza la quale prevale la rassegnazione o si riaffaccia l’indifferenza: una speranza che è passione per la libertà, impegno per curare la democrazia come un bene prezioso e irrinunciabile, consapevolezza che senza libertà e democrazia non ci sarà un futuro degno e una civiltà umana più progredita.