di Severino Saccardi


Quella del 25 aprile è una data spartiacque. Un passaggio che ha condotto alla fine della guerra e alla riconquista della libertà. È importante, oggi, parlando della Resistenza, continuare un lavoro culturale che, contemporaneamente, metta in luce le diverse «storie» (locali, particolari, perfino individuali) interne al mosaico di una più grande storia e la sua dimensione europea di generale lotta per la libertà, avendo anche la capacità di misurarsi, in modo non agiografico, con alcuni degli aspetti controversi di quei lontani eventi. A distanza di ottanta anni, e mentre molte conquiste di civiltà sembrano rimesse in discussione, tornare a quei riferimenti è più che mai necessario come sembrano, simbolicamente, intuire esponenti di popoli che si battono per i loro diritti e che spontaneamente cantano Bella ciao!


Quello spartiacque
Ci sono date che fanno da spartiacque. Così è il 25 aprile. C’è, storicamente parlando, un prima e c’è un dopo. Il prima, con l’occupazione nazista del Paese, gli eccidi, la guerra civile1. Il dopo, con il ritorno della pace (sia pure in un Paese costellato di rovine, rattristato dai lutti e ancora segnato da lacerazioni) e l’apertura del percorso che porterà alla Repubblica e alla democrazia. Molti anni sono passati da allora. Ma è più che mai importante sottolineare il carattere fondamentale di quel passaggio storico. Per ricordare il ruolo della Resistenza e dell’antifascismo nell’impegno per restituire al Paese la libertà.
Ma cosa fu la Resistenza? Certamente, fu lotta armata. Una lotta armata portata avanti in condizioni particolari e difficili. In un Paese occupato e diviso in due: la parte in mano a tedeschi e fascisti e la parte in cui si erano ormai insediate e avanzavano le truppe alleate. Le formazioni partigiane combattevano spesso con i metodi e nella forma della guerriglia. I fascisti, la stampa e i militari schierati con Salò (come bene ricostruisce l’intervento di S. Gallerini), prima di tutto si stupivano, e non sapevano darsi ragione, dell’esistenza stessa dei partigiani e, poi, manifestavano il loro sconcerto per un modo di combattere e di condurre le ostilità (da parte di questi «strani» avversari) in forma e con metodi così «irregolari» e imprevedibili. Il conflitto fu aspro e feroce.

Un «sogno di pace»?
Eppure, non è un paradosso, è possibile anche affermare (come fece Ernesto Balducci, in un suo scritto dedicato ai Martiri di Niccioleta, minatori fucilati dai tedeschi), che «(…) la Resistenza (…) fu un immenso, glorioso sogno di pace»2. Che è come dire che si era in armi3, ma per uscire da una guerra rovinosa, tornare alla normalità della vita civile e porre fine ad un regime dittatoriale. Naturalmente (come anche in alcuni passaggi di questa sezione tematica viene giustamente ricordato), è ormai assodato, storiograficamente, che la Resistenza non fu solo quella combattuta con le armi. C’erano forme pacifiche di non collaborazione con le truppe di occupazione e con i fascisti, c’era il rifugio offerto ai perseguitati, ai ricercati, agli ebrei a rischio di deportazione, c’è l’esperienza dei soldati italiani internati nei campi di prigionia e fermi nel loro rifiuto di aderire alla Repubblica di Salò. E poi va ricordato che la Resistenza si avvalse di una pluralità, assai differenziata, di apporti. Dai monarchici ai comunisti, passando per i liberali, gli azionisti, i cattolici democratici, i socialisti. Nel volume viene sottolineata la particolarità dell’esperienza della Resistenza ebraica (Guetta), la specificità della partecipazione cattolica (Saccenti) e il contributo, talora storicamente sottovalutato, delle donne (Cavarocchi). Qui siamo a ricordare un movimento e a far memoria di un evento (il 25 aprile di ottanta anni fa) che hanno segnato un momento, insieme, di rottura e di rifondazione nella storia del nostro Paese. La nostra storia nazionale. Ma, ha ragione Marcello Flores (insieme ad altri autori di questa sezione tematica che, tutti, ringraziamo) a rimarcare, nella pluralità e nella varietà delle esperienze, il carattere europeo della Resistenza. Una sorta di diffusa, e corale, rivolta civile, prima ancora che «militare», tesa a diradare le sanguinose nubi che il nazifascismo, con la sciagura della guerra e le mire espansionistiche, aveva fatto calare sull’intero continente (e dilatare, poi, a livello planetario). È a questa dimensione che bisogna richiamarsi per collocare, con esattezza, nella storia, e riscoprire oggi il valore di quella lotta per la libertà. Ma c’è un’altra operazione, speculare e complementare rispetto a questa, che è importante compiere. Un’operazione attenta, e fondamentale, che consiste nella riscoperta, e nella riproposizione della memoria delle esperienze particolari, locali, perfino individuali. In questo senso, va dato merito del loro lavoro, per quello che, con scrupolo e con metodo, stanno facendo gli Istituti Storici della Resistenza. Come l’Istituto Toscano (oggi presieduto da Vannino Chiti, curatore, insieme a chi scrive, di questo volume). Su Firenze e sulla Toscana, in particolare, rispetto a quel travagliato periodo, molto c’ è da raccontare. In questo volume, si vedano, in particolare, il contributo di R. Mosi e la Cantata della liberazione di Firenze di un’artista come Angela Batoni. La Toscana era stata terra martoriata dalle stragi nazifasciste.

Un lungo elenco
Un lungo elenco. Ricordavamo prima la fucilazione di decine di minatori al villaggio minerario di Niccioleta, presso Massa Marittima (alcuni dei quali erano stati compagni di scuola di Ernesto Balducci). Ma tanti altri nomi e luoghi si potrebbero citare. Tra i quali: Anghiari, Cavriglia, Crespino sul Lamone, Fiesole, Forno, Maiano Lavacchio, Montemaggio, Padule di Fucecchio, Piazza Tasso, Pratale, Sant’ Anna di Stazzema, Vinca… Ed è un elenco largamente incompleto. Ne va preservata, e trasmessa, la memoria. Come va trasmessa la memoria delle esperienze delle persone che la Resistenza l’hanno fatta, pagando spesso il loro impegno con la vita. Una fra tante mi viene alla mente, tornando idealmente a Massa Marittima: Norma Parenti4. Una giovane donna, con un’identità «di frontiera» (di formazione cattolica e di mentalità aperta ed emancipata), aderente alla Resistenza, che, in seguito a una delazione, fu seviziata ed uccisa. Norma è una sorta di figura-simbolo. Un episodio del suo coraggioso impegno antinazista la avvicina all’immagine di Antigone, quando sfidò le truppe tedesche dando sepoltura a un giovane partigiano torturato e ucciso e lasciato sulla piazza del paese a intimidazione della popolazione. Non è qui il caso di dilungarsi (come pure sarebbe interessante e coinvolgente fare) su molte altre figure ed esperienze di analogo valore cui potrebbe essere fatto riferimento. Diciamo che, al di là del «caso Toscana», su cui è venuto spontaneo soffermarsi, va riaffermata l’importanza di dar conto delle «storie» particolari di cui si compone la grande, drammatica e così significativa, storia di quei giorni ormai lontani. E, oggi, a distanza di ottanta anni da quel 25 aprile 1945, come è giusto rapportarsi a quel, così fondamentale, passaggio storico? Come parlarne? Come recuperarne il significato e il messaggio di fondo in tempi così mutati?

La Resistenza e le sue interpretazioni
È una domanda che, in realtà, nel tempo, è spesso tornata all’ordine del giorno. Intanto, precisa Barzanti, il 25 aprile come data «ufficiale» della compiuta Liberazione, è stata fissata non da subito, ma alcuni anni dopo. E poi sul modo di restare fedeli allo spirito della Resistenza e ai valori della Liberazione, al di là della convergenza registrata nelle celebrazioni unitarie ed istituzionali, la discussione, in certi ambiti, è sempre rimasta aperta. Si pensi al lungo dibattito e al mito della «Resistenza tradita», che ha avuto un ruolo e un peso, a suo tempo, anche nella genesi del terrorismo. Si trattava, infatti, secondo quella visione, di riprendere in mano le armi che, troppo presto, i partigiani avrebbero dovuto deporre senza portare alle loro più «coerenti» conseguenze, rivoluzionarie e sociali, la spinta e la battaglia del movimento resistenziale. Oggi che, per fortuna, quegli anni «di piombo» ce li siamo lasciati alle spalle (anche per merito del sindacato e della sinistra che, contro il terrorismo, dopo un’iniziale sottovalutazione, fecero barriera), siamo di fronte ed in mezzo ad un altro tipo di dibattito sul valore e sull’eredità della Resistenza e della Liberazione. Che l’antifascismo e la stessa lotta partigiana siano stati passaggi storicamente importanti e necessari per abbattere la dittatura e per dare all’Italia libertà e democrazia era stato riconosciuto, in ambito politico, qualche anno fa, da quella stessa destra che, nella nostalgia del passato fascista aveva le sue originarie radici. Fu la «svolta» di Fiuggi cui Gianfranco Fini seppe dare un contenuto e un significato inequivoco. Oggi, va detto, anche se non è certo un dibattito da aprire su queste pagine, la Destra che governa sembra avere annacquato o posto fra parentesi la nettezza e le implicazioni, ideali e culturali, di quell’approdo. Eppure, ai nostri giorni, a ottanta anni da quel lontano sorgere di un’alba nuova, nel 1945, il 25 aprile dovrebbe essere la Festa e la giornata di tutti. Di un Paese che allora fu avviato alla libertà e all’elaborazione, poi, della Costituzione repubblicana. Una acquisizione di questo tipo consentirebbe, oggi, tra l’altro, di inquadrare (con più facilità e senza intonazioni acriticamente agiografiche) e di ricostruire la complessità, e il carattere drammatico, e controverso di certi avvenimenti storici. Della Resistenza, di cui va messo in risalto il carattere luminoso di tanti personaggi, il coraggio dei combattenti, la lucidità dei dirigenti politici uniti nel CLN, il sacrificio compiuto da tanti uomini e donne, non vanno taciute nemmeno le zone d’ombra. È un contributo alla verità storica che, con maturità, è doveroso fornire. Ci sono, infatti, eventi drammatici di cui è necessario tornare a parlare. Si pensi all’eccidio di Porzûs e alla liquidazione fisica (ad opera, diciamo così, del «fuoco amico») di partigiani della Brigata Osoppo (di orientamento cattolico e laico-socialista). Oppure, sul finire della guerra e nell’immediato dopoguerra, agli episodi di regolamenti di conti, esecuzioni sommarie, violenze compiute (non solo contro ex fascisti) da alcuni ex partigiani. Gli avvenimenti di cui ha parlato, anni fa Giampaolo Pansa (uomo, peraltro, di formazione e di sentimenti antifascisti5) nei suoi, pur discussi, libri e nei suoi lavori, dedicati al sangue dei vinti6. Assumere la responsabilità anche di una matura e civile riflessione anche su questi avvenimenti e su questi temi non sminuisce, o inficia, in alcun modo il giudizio storico complessivo su quello che l’antifascismo, la Resistenza e la Liberazione hanno storicamente rappresentato. Anzi! Quegli eventi e quella simbolica data spartiacque (il cui ricordo, in tempi meno drammatici di quelli che stiamo oggi vivendo, sarebbe potuto sembrare banale o ripetitivo), come sottolinea Valdo Spini, rimandano a valori e assumono un significato di grande attualità. In un mondo in cui ritorna, in forma così prepotente, la logica della conflittualità e della guerra, in cui dilagano sovranismi e populismi, il tema della difesa della libertà (che la Resistenza europea assunse come unificante bandiera), riveste un carattere centrale. E riprendere quella lezione è importante. Anzi, urgente. Ma quegli eventi, si tornerà a ripetere, sono lontani. È vero. Ottanta anni rappresentano un lasso di tempo considerevole.

Un canto che sorge spontaneo
Per averne un’idea, ritorno mentalmente alla percezione che avevo, quando ero ragazzino, della Prima Guerra mondiale, da cui non ci separavano allora che una cinquantina di anni. Eppure, la Grande Guerra, già a quei tempi, veniva pensata come un evento assai remoto. E poi c’è la considerazione che, sul filo della memoria, così efficacemente propone Emma Fattorini. Non c’è più il clima che da lei viene così bene evocato, presente nelle famiglie di una volta, in cui il rimando alla Resistenza era sentito e, anzi, emozionava, al di là dell’adesione a idee politiche diverse. Cos’è, dunque, il 25 aprile nel nostro tempo della comunicazione globale e della complessità? Intanto, ha ragione Flavio Fusi, viene spontaneo andare a cercare altre «liberazioni» che si sono verificate in giro per il mondo, nel corso della storia recente. Alcune con buoni esiti, altre con sbocchi deludenti o, addirittura, con evidenti (e talora drammatici) fallimenti. Nel suo contributo ne viene proposto un bell’elenco. Un insieme di casi, e di lezioni, su cui molto ci sarebbe da riflettere. Alla luce anche di queste considerazioni, ripensando oggi la storia che è stata, non possiamo non tornare a mettere a fuoco l’essenziale. Cioè, che la sconfitta e la caduta del nazismo e del fascismo, e la fine della rovinosa guerra da questi provocata, hanno aperto la strada e la porta a passaggi epocali. Nel nostro Paese, alla conquista dei diritti e delle libertà fissate e garantite dalla Costituzione. Nel mondo, a un nuovo clima politico e culturale che portò, nel 1948, alla Dichiarazione Universale dei diritti umani.
Oggi tutto questo è messo in discussione o appare a rischio. Il mondo pare sospeso su un crinale7. Verrebbe da dire che c’è bisogno, forse, di un grande lavoro culturale, di educazione civica, per recuperare il senso di un’importante eredità, di cui oggi siamo responsabili. Ma, infine, c’è, forse anche da realizzare che non è mai buona cosa cedere al pessimismo. In tante occasioni e situazioni, persone appartenenti a popoli diversi (iraniani, ucraini, curdi…), nelle loro manifestazioni per la libertà e i diritti umani cantano, talora, spontaneamente «Bella ciao».
Come se fosse un segnale. Un modo per riconoscersi e per rilanciare un messaggio (di valore universale) contro le tirannidi. C’è speranza. E, dunque, in modo non formale e non rituale, auguri di un buon 25 aprile!

1 C. Pavone, Una guerra civile. Saggio sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
2 E. Balducci, Il sogno di una cosa (a cura di L. Niccolai), ECP, S. Domenico di Fiesole 1993, p. 53.
3 Lo stesso Lorenzo Milani, strenuo difensore della pace e della nonviolenza, ebbe a sostenere, del resto, che se, per ipotesi, si dovesse definire un caso di «guerra giusta» ci si potrebbe, forse, riferire proprio alla Resistenza.
4 V. in prop. R. Michelucci, L’ «angelo della Resistenza». Norma Parenti (1921-1944), Quaderno speciale di «Testimonianze» dal titolo La Toscana della «cultura dei diritti», supplemento al n. 534 della rivista.
5 V. R. Barzanti, «Il sasso in piccionaia»: un ricordo di Giampaolo Pansa, «Testimonianze» n. 530-531.
6 G. Pansa, Il sangue dei vinti, Rizzoli, Milano 2003.
7 R. Ragionieri, Quel crinale su cui è sospeso il mondo, «Testimonianze», nn. 559-560.