Una (buona) storia da far conoscere ai cittadini di domani

di Samia Kouider

 

Il tema dei diritti legato alla questione dell’immigrazione è centrale nel dibattito contemporaneo non solo in vista della prossima scadenza elettorale, ma per lo stesso destino futuro dell’Europa e il suo ruolo nel mondo, che acquista un significato particolare nel riferimento ad un patrimonio di valori fondati sulla cultura della libertà e sulla disponibilità all’apertura all’altro, da trasmettere e da proporre soprattutto alle nuove generazioni*.

 

 

Piero Meucci. Grazie Giorgio, se ti può confortare, la cancelliera Merkel ha dichiarato a Berlino: «Bisogna costruire una moderna, democratica ed efficiente sovranità in Europa». Un’altra cosa interessante che vorrei segnalare riguarda la sicurezza informatica, che fa parte dei dieci punti essenziali della campagna per l’elezione del Parlamento europeo, visto che, come ci viene ricordato, ogni anno ci sono sei milioni di attacchi informatici con quattromila virus che vengono diffusi in rete. Ma veniamo all’ultimo intervento, di Samia Kouder, laureata in Sociologia, ricercatrice e consulente per i diritti umani e le politiche di contrasto delle discriminazioni e ritorniamo così all’inizio del nostro dibattito. Per introdurla, parto da uno spunto tratto dall’ultimo libro della filosofa Agnes Heller, Paradosso Europa, nel quale ella scrive fondamentalmente che il paradosso dell’Europa sui migranti consiste in questo: dal punto di vista dei diritti umani è un obbligo morale accogliere tutti i migranti, secondo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, recepita a sua volta nel Trattato di Lisbona, ma dal punto di vista dei diritti del cittadino, i cittadini hanno il diritto di decidere con chi vogliono convivere. Questo paradosso si risolve col fatto che l’Europa si basa su valori, su principi che sono quelli della Rivoluzione francese, libertà uguaglianza fraternità, e sono quelli cristiani della fratellanza, ma se questi principi si allentano, ecco che il paradosso viene alla luce e lo constatiamo in tutto ciò che succede riguardo al problema delle migrazioni.

 

La Carta europea dei diritti e la mensa di Lodi

Samia Kouider. Buona sera a tutti. Intervengo, scontando una piccola incongruenza, visto che Severino mi ha raccomandato di proporre un intervento adatto ai ragazzi presenti, molti dei quali se ne stanno andando perché è già piuttosto tardi. È, intendiamoci anche un mea culpa perché ho chiesto di poter parlare per ultima. Pazienza. Torniamo al tema e ai principi legati alla questione della dignità umana e dei diritti fondamentali della persona, che vengono posti al centro del Convegno. Naturalmente parlare dopo tutti gli interventi precedenti è per me complicato, perché molto è già stato detto; io vorrei semplicemente riportare l’attenzione su quello che l’Europa è riuscita a fare in questo senso, nonostante tutti i suoi problemi che sono stati molto ben inquadrati. L’Europa, dopo tanti anni dall’inizio del suo percorso, nel 2000 – quando era ancora l’Europa dei quindici e c’erano ancora moltissime resistenze ad un più avanzato processo unitario – è riuscita a partorire la Carta europea dei diritti fondamentali, per garantire alla persona il diritto alla cittadinanza piena. La Carta, che ho trovato ovviamente sulla Gazzetta ufficiale europea del 2000, in seguito, nel 2007, quindi dopo sette anni, è entrata finalmente a far parte integrante del Trattato di Lisbona ed è quindi valida per tutti gli stati, anche per lo Stato italiano. Molto spesso la gente si dimentica di tutto questo, ma se, riportando l’attenzione sui fatti dei nostri giorni, riandiamo ad esempio all’episodio degli scolari che a Lodi non potevano più andare alla mensa con i loro compagni, vediamo che il TAR ha dato ragione ai genitori dei bambini perché, oltre alla nostra Costituzione, oltre alle nostre leggi nazionali, esiste una legge sovranazionale che dice che tutti sono uguali nei diritti e non ci deve essere nessuna discriminazione.

 

Il monito di un padre

Ho voluto iniziare con una diapositiva[1] che rimanda a due concetti fondamentali: dignità umana e diritto alla vita, espressioni che tutti possiamo capire, anche se quotidianamente siamo sommersi dai discorsi che vorrebbero mettere prima gli uni piuttosto che gli altri o che sostengono che uno abbia più diritto dell’altro, ecc. Anche la Carta europea dei diritti fondamentali, come la nostra Costituzione, all’art. 3 in particolare, dice che la dignità umana è inviolabile e che ogni persona ha diritto alla vita. Quindi, quando restiamo indifferenti di fronte a quello che succede sulle nostre coste e nei nostri mari, dobbiamo ricordarci che ci siamo dati delle regole e che quelle regole, ed i principi a cui esse si ispirano, sono il risultato di un lungo processo della storia. Quando ero bambina e non avevo tanta voglia di studiare – sono stata in un collegio di suore cattoliche francese e l’arabo ho cominciato a studiarlo un po’ più avanti – ricordo che studiare la lingua araba mi risultava molto difficile e molto pesante, ma mio padre continuava a ripetermi «Se tu non sai da dove vieni, non saprai mai dove andare ed è molto importante che tu conosca e studi la lingua dei tuoi avi». Perché vi dico questo? Severino, nella sua introduzione, ha usato giustamente l’immagine del villaggio planetario, ma il mondo non è un villaggio solo oggi, lo è sempre stato; la nostra civiltà è il risultato di tanti incroci di eventi, di tante guerre e di tante sofferenze e arrivare a dire che oggi, soprattutto dal secondo dopoguerra, che il diritto alla vita è un diritto inalienabile e che il diritto alla dignità umana è inalienabile non è un traguardo da dare per scontato. È, bensì il risultato di tutti questi incroci di eventi, di culture e di tutte le sofferenze che, storicamente, i popoli hanno patito. Di recente ho sentito dire in un dibattito in televisione: «Dobbiamo alzare i muri per proteggere la nostra civiltà». Ma non c’è bisogno di muri per una civiltà che è fatta soprattutto di incroci di avvenimenti, di popoli e di culture. La tradizione del Diritto d’asilo La seconda diapositiva, e il secondo tema proposto, riguardano il diritto d’asilo e la protezione dei prigionieri di guerra. Vi racconto una storia, che ripeto ogni tanto, relativa alla nascita ed ai precursori di quello che è oggi il Diritto internazionale umanitario i cui primi testi sono stati ripresi dal riferimento più noto, relativo al Diritto di asilo nella Convenzione di Ginevra. Le tre persone che si vedono nella diapositiva sono: il Premio Nobel per la Pace, del 1901, Jean Henri Dunant, fondatore della Croce Rossa Internazionale e ideatore delle convenzioni di Ginevra per i diritti umani; l’emiro Abd el-Kader, capo religioso della rivoluzione contro la colonizzazione francese in Algeria, che combatté l’esercito coloniale per tanti anni e che poi, una volta sconfitto, accettò di essere esiliato in Medio Oriente, dove insegnò il Corano a Damasco alla moschea degli Omayyadi; Napoleone III, che, durante la II Guerra di Indipendenza, dopo essere stato sul campo nella Pianura padana nella battaglia di Solferino, in cui morirono centinaia e centinaia di soldati, incontra in Italia il già ricordato Henri Dunant, cittadino svizzero, e accetta la sua proposta di improvvisare un ospedale da campo utilizzando tutti quei prigionieri che avessero conoscenze mediche. Queste tre persone sono all’origine di quella che è oggi la Convenzione internazionale di Ginevra e la legge sul Diritto d’asilo e sulla protezione dei prigionieri di guerra. L’ispiratore è l’emiro el-Kader, che è il precursore del Diritto internazionale umanitario. Durante la sua guerra contro i coloni francesi scrisse – era un uomo che scriveva moltissimo – un documento sul modo di trattare i prigionieri; aveva anche scritto al vescovo di Parigi chiedendo di mandare dei preti per garantire la possibilità di confessarsi per chi ne avesse sentito spiritualmente l’esigenza. Questo suo trattato fu molto apprezzato dall’imperatore Napoleone III, che lo fece conoscere a Henri Dunant. Come conobbe Dunant queste due persone? Henri Durant era un uomo d’affari svizzero, che approfittando delle concessioni che venivano date alle persone che si erano recate in Algeria con l’esercito francese, in analogia con quel che facevano tanti altri coloni, creò un’impresa di mulini nella zona di Sétif. L’impresa andò male e quando sentì che Napoleone III aveva emanato un decreto per dare ai soli cittadini francesi delle terre in Algeria, cercò di incontrarlo, per chiedere la cittadinanza francese e per poter usufruire di questa possibilità. Dove incontrò Napoleone? A Solferino, dove l’imperatore era impegnato in guerra. Fu così che, per una curiosa combinazione della sorte, mosso dalla disperazione per aver fatto dei cattivi investimenti sull’altipiano algerino, a Sétif, decise di andare sul campo di battaglia per incontrare l’imperatore. Cercò per giorni di avere udienza da Napoleone e finalmente si incontrarono.

Napoleone III gli concesse la cittadinanza francese, ed egli se ne tornò in Algeria, nelle sue terre, dove cominciò a studiare gli scritti dell’emiro el-Kader. Siamo nel 1870/71 e el-Kader sta a Damasco dove accoglie i prigionieri cristiani che venivano trucidati dall’esercito ottomano. Henri Dunant prende tutti i testi dell’emiro e decide di accogliere il consiglio di Napoleone III, decidendo così di creare i primi ospedali da campo per prigionieri. Sulla base di questa esperienza, qualche anno dopo creerà la Croce Rossa internazionale che è un patrimonio di tutti noi e che è il risultato di tutti questi incroci (ecco ancora questa dimensione che torna) di esperienze, di personalità, di incontri. Tutto il diritto universale è frutto dello sforzo di tantissime persone fra loro diverse ed è un patrimonio che noi dobbiamo difendere, perché la nostra storia è il risultato di tante sofferenze subite di chi è venuto prima di noi. Invitare oggi ad «alzare i muri» è come buttare a mare tutto quello che è stato costruito. Questa storia mi serviva per illustrare e criticare l’affermazione inconsistente secondo cui andrebbe difesa la purezza dei popoli, che andrebbero difesi da ogni contaminazione, mentre noi, tutti, veniamo da una fecondazione reciproca (e di innesti) fra culture. Qui ho fatto degli esempi, ma tanti altri se ne potrebbero proporre, basti pensare al caso di Sant’Agostino.

 

Come in un incrocio stradale

L’altro elemento importante che voglio sottolineare è quello dell’uguaglianza e della lotta alle discriminazioni. Discriminare l’altro è discriminare se stessi: sembra un’ovvietà, ma nessuno oggi sembra vederla così. Così come recita il titolo 3 della Carta per i diritti fondamentali che riguarda l’uguaglianza e che ribadisce che tutte le persone sono uguali davanti alla Legge. Quasi tutte le discriminazioni prendono a pretesto il colore, la razza, la religione; le violazioni del principio di uguaglianza sono violazioni delle leggi che noi ci siamo dati e che noi dobbiamo per primi rispettare. Per capire qual è il pericolo insito nel discriminare l’altro dobbiamo inquadrare l’importanza delle nostre libertà e delle nostre conquiste. Mi piace a questo proposito citare una docente dell’Università di Los Angeles, Kimberle Crenshaw, che è afroamericana e che ha, per l’appunto, una cattedra in una Università per afroamericani. Quando, dopo tanta gavetta, è approdata a questa Università le hanno dato un tipo di cattedra di quelle che si danno alle donne: questioni di genere. Da lì, a partire dalla sua esperienza personale e dalla storia della sua famiglia, ha cominciato a studiare e ha identificato le «discriminazioni intersezionali multiple». Mi piace citare la metafora dell’incrocio stradale, da lei usata: al centro dell’incrocio c’è il cittadino e tutto intorno ci sono le motivazioni che tutti i giorni vengono addotte oggi per discriminare l’altro. Io potrei oggi essere discriminata per la mia cittadinanza d’origine o per il colore della mia pelle, ma come diceva prima Severino sono elementi e riferimenti che cambiano con il tempo: una volta era discriminato chi veniva dal Veneto, oggi si viene discriminati perché si è africani. Il mondo delle discriminazioni è molto grande, ci sono tantissimi motivi e pretesti per discriminare: io sono malata cronica e posso essere discriminata per questo motivo e occorre capire quanto sono complesse le situazioni umane e quanto a volte sono interiorizzate le discriminazioni multiple (perché non ce n’è mai una sola). Si dice, a volte: «Quello è discriminato perché è marocchino», ma si può essere discriminati per tanti motivi: perché si è marocchini, perché si è neri, perché si può essere malati. Tutti elementi che confluiscono a determinare situazioni di discriminazione. Su questo bisogna riflettere. E per capire a fondo tale realtà, e per difendere la mia dignità, a me cittadino, sono di fondamentale aiuto la cultura e l’esercizio dei miei diritti. Grazie.

 

Sui diritti e sui doveri: una riflessione conclusiva

Piero Meucci. Nel ricordare che l’Unione europea ha avuto il Premio Nobel per la Pace nel 2012, vorrei che Severino dicesse qualche parola per concludere questo incontro.

Severino Saccardi. Ringrazio tutti della partecipazione, di cui siamo molto contenti: c’è stata una grande e significativa affluenza. Mi dispiace sinceramente per Samia, ma purtroppo molti ragazzi, che vengono da fuori Firenze, dovevano prendere il treno e sono dovuti andare via prima della conclusione. Credo che il dibattito di quest’oggi abbia evidenziato che l’Europa è oggetto, più di quanto non si pensi, di passioni e di discussioni ed è un nodo centrale della vicenda politica attuale. Le prossime scadenze, elettorali ma non solo elettorali, ruotano intorno ai temi che riguardano il destino dei popoli – soprattutto quello delle giovani generazioni – dell’Europa, di cui va una volta di più sottolineato l’inserimento, comunque, in un contesto globale. Mi sembra che da questo confronto emergano diversi temi: il principale è quello della responsabilità che noi, ma soprattutto i giovani che stanno crescendo, abbiamo di contribuire a costruire un mondo che va edificato responsabilmente, anche pensando alle generazioni che verranno dopo di noi. Occorre partire da qui, dal rapporto fra generazioni, che è uno dei nodi cruciali delle società dell’Europa di oggi e che dà sostanza anche al tema della cittadinanza europea. Il nostro continente si trova ora in una situazione demografica particolare: sta invecchiando; si impone, di conseguenza, una nuova configurazione della popolazione del nostro continente, una parte dei cittadini del quale non saranno di nascita o di provenienza europea. C’è una bussola che può guidarci in questo percorso (un riferimento generalmente poco sottolineato, ma da cui giustamente Samia è partita pe il suo ragionamento), che è la Carta europea dei diritti. Non c’è dubbio: noi dobbiamo batterci per i diritti, prendendo a riferimento la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Carta europea dei diritti e la nostra Costituzione repubblicana. Ma, nel far questo, non possiamo saltare, come molto spesso succede, il rimando al nesso fra diritti e doveri. Se noi pensiamo, nel contesto europeo, alla nostra grande tradizione nazionale, dobbiamo ricordare che Mazzini aveva ben presente questo legame. Per il nostro recente volume dedicato al settantennale della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo[2], Agnes Heller ha scritto proprio un testo sui diritti e i doveri. Cosa vuol dire sottolineare il rapporto fra diritti e doveri? Vuol dire avere il senso del bene comune, del bene pubblico, avere il senso della responsabilità (come sopra richiamato) verso l’altro e verso le generazioni future. In conclusione, penso che il tema dell’Europa oggi rimandi a tutto questo insieme di questioni. Questioni che ci riguardano direttamente. Una puntualizzazione ci terrei a fare. Sono d’accordo con quanto emergeva nel dibattito: si pone il tema della sovranità, ma non tanto in riferimento al singolo Stato (come vorrebbe il cosiddetto sovranismo), bensì in rapporto alla costruzione – certamente da far avanzare in modo che nessuno sia sacrificato, ripensando le istituzioni europee e ripensando le forme del loro agire – di una vera sovranità europea. In un mondo sempre più complicato, in cui ci sono attori così potenti e, se possiamo dirlo, talora così prepotenti (la Russia di Putin, la Cina, i Paesi Arabi, gli Stati Uniti) e in cui fra l’altro i regimi non democratici non appaiono come qualcosa di residuale (come un tempo si diceva della Russia rappresentata come un Paese ancora non completamente democratico o della Cina che è un grande Paese sviluppato con la particolarità del mantenimento di un sistema monopartitico) ma quasi come un modello, decisionistico e funzionale, dotato tendenzialmente di un forte potere di attrazione, il polo democratico costituito dall’Europa unita ha un ruolo irrinunciabile da giocare. Da questo punto di vista, un continente come l’Europa, che nonostante tutti i suoi problemi ha questa grande tradizione dei diritti, questo grande deposito di cultura dei diritti, ha anche una grande responsabilità verso il mondo intero. Per questo vale la pena di impegnarsi e di lavorare. C’è davvero molto da riflettere e molto da fare. Grazie a tutti i presenti e a tutti gli amici che sono intervenuti.

 

* La Relatrice non ha potuto rivedere il testo del proprio intervento al Convegno perché impossibilitata, ma ha dato l’assenso alla pubblicazione.

[1] Le immagini delle diapositive che hanno accompagnato l’esposizione non sono qui riportate, ma dal contesto del discorso, ne sono facilmente intuibili oggetto e significato.

[2] 1948-2018: diritti umani in cammino, «Testimonianze » nn. 421-422 (a cura di F. Comina, S. Saccardi, S. Silani e S. Zani).