vivianiL’ITALIA DEI PICCOLI COMUNI E L’URBANISTICA DEL
CAMBIAMENTO
di Silvia Viviani

L’urbanistica è chiamata a rispondere alle sfide della contemporaneità con progetti e proposte che mettano al centro la persona e l’etica pubblica, che prevedano una pianificazione collegata all’azione sociale per un riequilibrio insediativo accogliente. Il policentrismo e la ricchezza paesaggistica italiana sono elementi importanti da sfruttare per una ripianificazione che valorizzi piccoli e grandi centri attraverso la creazione di reti che mettano in collegamento città e campagna, centri storici e periferie, distretti economici e risorse locali del territorio. In questa direzione sembra andare la legislazione promossa dal Governo, che vede nei piccoli centri una risorsa per l’Italia del futuro.

Centralità della persona ed etica pubblica
La contemporaneità vede un quadro instabile di condizioni sociali ed economiche, di migrazioni e di rischi ambientali, una spiccata frammentazione dei cicli di vita e dei bisogni, il progressivo invecchiamento della popolazione, la drammatica riduzione delle risorse pubbliche, un senso inarrestabile di sfiducia nelle istituzioni. La necessità di collegare la pianificazione urbanistica e le azioni sociali è attuale come non mai. La centralità della persona e l’etica pubblica dell’agire sulle città sono principi nei quali crediamo, da tradurre in strumenti concreti. È questa la proposta dell’INU al XXIX Congresso «Progetto Paese» (Cagliari, 28/29 aprile 2016)1.
L’attenzione va alla concentrazione urbana e alle innovazioni tecniche; alle masse di popolazione, ai loro bisogni e ai loro conflitti; ai nuovi confini delle città e al rapporto con la campagna, facendo i conti con la questione dei limiti e delle differenze; alle azioni di governo politico e amministrativo, che, con la trasformazione edilizia e urbanistica, affrontano le questioni della rappresentanza e dell’ordinamento sociale, nel tentativo di instaurare una coerenza soddisfacente tra progetto di città e progetto di cittadinanza.
Al centro delle politiche si pone un obiettivo generale di riequilibrio insediativo, per un’effettiva soluzione alle disuguaglianze: fra centralità e marginalità, fra città e moderna campagna, fra aree metropolitane e aree interne. Si pone un orientamento irrinunciabile verso il coordinamento delle azioni che investano, accanto all’edilizia, alle infrastrutture, all’organizzazione della mobilità e delle reti tecnologiche e alla dislocazione delle funzioni, anche la bonifica dei suoli e delle acque, la difesa della copertura vegetale, la conservazione dei paesaggi dotati di valori duraturi, la creazione di nuovi paesaggi per incrementare le risorse a disposizione delle generazioni future, le pratiche di informazione e crescita civica, così che si attivi il contributo di una moltitudine di soggetti (economici, culturali, sociali, politici) al successo delle intenzioni di cambiamento delle condizioni di convivenza. Le intenzioni di cambiamento prendono vita a partire da un’immagine urbana accogliente e amicale, che può, in Italia, appoggiarsi al policentrismo, componente dei nostri paesaggi, ricchi di differenze naturali e storico-architettoniche, molteplice per la varietà dei paradigmi del benessere sociale, diverso per i diversi gradi di coesione fra istituzione e cittadinanza, vario per la varietà
delle culture e delle pratiche civiche consolidate nei contesti locali, colmo di differenti intenzionalità, storie che vanno oltre le immagini consolidate2.

Una geografia ad ampia variabilità
Di questa geografia ad ampia variabilità si devono occupare le riforme in atto e ad essa si deve rivolgere lo sforzo di cambiamento che riguarda processi di governance e strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica. Il riassetto istituzionale deve corrispondere a un processo di pianificazione coerente, ove i territori riferiti ai diversi livelli di governo siano considerati un sistema integrato e interconnesso, di cui va colta la componente dinamica. In una nuova stagione della pianificazione vanno ristabilite le relazioni fra i soggetti di governo – Europa, Stato, regioni, città metropolitane, province, unioni comunali, nuovi comuni (fusioni) e municipi) – in riferimento alle finalità di ogni diverso ente, secondo geografie variabili che permettano una pianificazione capace di interpretare il futuro, corrispondente a quelle relazioni e alle caratteristiche del territorio italiano: policentrico, fortemente caratterizzato dalle culture e dalle risorse locali. Perciò la rete che connette città metropolitane, aree interne, città medie e piccoli centri è la chiave per ripensare la pianificazione territoriale che abbiamo a lungo chiamato di area vasta e che oggi possiamo rinominare come «ambito della interdipendenza».

Ripensare le categorie di «centro» e «periferia»
Bisogna allontanarsi dall’urbanistica della zonizzazione e dall’antinomia tutela/crescita3, dobbiamo tentare un abbandono almeno momentaneo di categorie note come centro e periferia, ambito urbano e ambito naturale, cinta storica e conurbazione recente, beni vincolati e oggetti inqualificati, per poter riconoscere luoghi e condizioni di stato, bellezza e degrado, capitali sociali e patrimoni culturali, secondo una logica di integrazione e di risposta a bisogni in continua mutazione. L’integrazione tra sviluppo, identità e paesaggio nei suoi valori storici, culturali, naturali e rurali diventa una componente rilevante delle iniziative di gestione e innovazione territoriale.
Fa parte dell’innovazione anche la componente tecnologica che incrementa le relazioni fra persone e quelle fra persone e luoghi, accompagna il cambiamento socio-culturale e del lavoro. Occuparsi delle condizioni d’uso delle persone con disabilità fisiche, sociali, culturali, economiche e dei diritti che vi sono associati, ancora troppo trasgrediti, diventa un contenuto progettuale innovativo che avvicina istituzioni e cittadinanze4.

I centri storici
Si riapre in questo scenario anche l’attenzione verso i centri storici. Più di quarant’anni fa la battaglia per i centri storici si proponeva la conservazione del patrimonio storico-artistico sottoposto a intenzioni di trasformazioni (non sempre dovute a interessi speculativi) o di manomissioni (di segno speculativo). Dalla Carta di Gubbio (19605) in poi, la salvaguardia della città antica e il progressivo incremento dello spazio e del valore attribuitole sono costanti, fino a far coincidere storia e identità e, di conseguenza spazio fisico, patrimonio territoriale e patrimonio culturale. Criteri e principi per la conservazione dei centri storici, nei quali la protezione del bene era strettamente collegata alla sua capacità adattiva, sono stabiliti dagli anni Settanta del secolo scorso e sostanzialmente non mutano, se non per dilatazione d’ambito di applicazione: dagli edifici al contesto, dall’ambito urbano all’ambito paesistico. Oggi, si può affermare che, indipendentemente dalla loro grandezza, i centri storici sono «città» e patrimonio culturale collettivo.

Come sfogliare lo stesso libro
Parlare di centri storici minori, di aree interne e di piccoli comuni è sfogliare lo stesso libro. È nei piccoli comuni che il centro antico resiste come polo civico e snodo di valenza territoriale e paesaggistica, ed è questa la sua forza. Le debolezze e i disagi dei centri storici minori e dei piccoli comuni sono dello stesso segno. La condizione di marginalità, parametrata sulla scarsa accessibilità ai servizi di base, può tuttavia essere invertita facendo forza sulla capacità potenziale di tenuta dei piccoli comuni, dotati di risorse oggi considerate patrimonio strategico per declinare politiche integrate in grado di svilupparvi i vantaggi della vita civile6. I diritti e le opportunità che attraggono la popolazione verso la città diventano componenti di un progetto di riequilibrio territoriale praticabile nei diversi territori, se e in quanto sostenuto da un’agenda nazionale in grado di sostenere nuove geografie politiche e amministrative che diano risposta organizzativa efficace alla frammentazione territoriale. Politiche per il paesaggio, per i centri storici minori, per i piccoli comuni e per le aree interne hanno tratti comuni: attengono alla conservazione dei valori duraturi come potenziali di sviluppo7. Possiamo affermare che la conservazione del patrimonio urbano è un settore strategico delle politiche pubbliche, non può riguardare solo le città grandi, non è estranea alle interdipendenze fra città maggiori e centri minori, fra aree metropolitane e aree interne, fra borghi storici e territori rurali, fra ambiti urbani e ambiti naturali protetti. La continuità del ruolo e della complessa e duratura identità culturale dei centri storici, dei piccoli capoluoghi locali, delle frazioni e dei borghi nei piccoli comuni si lega all’equilibrio delle funzioni, residenziali, commerciali e terziarie, alle forme e alla funzionalità degli spazi pubblici, alla permanenza delle funzioni civili e culturali.

La Raccomandazione UNESCO 2011
L’altro legame vitale è quello con il contesto: è importante riconoscere un ambito di interesse paesaggistico, ampio, che comprende la città e il contesto territoriale (in genere non edificato, da mantenere tale); superando l’approccio vincolistico e la regolamentazione esclusivamente edilizia. Il paesaggio urbano torico, definito nella Raccomandazione UNESCO 20118, unisce un vasto contesto urbano e il suo intorno geografico, che comprende non solo le componenti naturali (come la morfologia) e quelle antropiche (il costruito e gli spazi aperti pubblici e privati), ma anche i modelli di uso, le prospettive e le relazioni visive, le pratiche sociali e culturali, i processi economici e le dimensioni intangibili in relazione alla diversità e all’identità, l’accumulo di attività umane che ne ha forgiato i caratteri attrattivi9. Il paesaggio è una dimensione che dovrebbe essere al centro delle politiche dei comuni con meno di 5000 abitanti presenti nel nostro Paese (il 69,71% dei comuni italiani, ove vivono 10.070.157 milioni di persone, pari al 16,56% della popolazione nazionale), prevalentemente localizzati in zone montane o collinari (rispettivamente il 41,3% e il 40,7%), con ampie porzioni del territorio ricadenti in aree naturali protette, riserve o parchi (oltre il 26%). Il loro contributo all’offerta turistica nazionale è rilevante come lo è il loro apporto alla promozione di filiere integrate dell’agricoltura, del turismo, del commercio, dell’enogastronomia legate alla manutenzione dei caratteri identitari locali, attualizzati e promossi in ambiti nazionali ed internazionali10.
La presenza non marginale di residenzialità permanente, del piccolo commercio di vicinato ad essa legata, di attività produttive non esclusivamente finalizzate al turismo, di uffici pubblici, di scuole e laboratori, di tutto ciò che possa assicurare la molteplicità funzionale nei tanti centri dei piccoli comuni devono essere contenuto irrinunciabile dei piani e delle politiche pubbliche.

Una risorsa per l’Italia del futuro
Il futuro dei piccoli comuni richiede scambio tra responsabili politici, urbanisti, architetti, ambientalisti, proprietari, investitori e cittadini interessati, che devono lavorare insieme per preservare questo complesso
patrimonio, considerando, al tempo stesso, la modernizzazione e lo sviluppo della società in un modo culturalmente e storicamente sensibile, rafforzando la coesione sociale.
In questa direzione vuole andare anche la misura legislativa che si sta discutendo in questi giorni11, nella quale i piccoli comuni sono considerati risorsa per l’Italia del futuro, e con la quale si prevedono misure varie e diverse per coniugare conservazione e innovazione: banda larga, permanenza dei servizi indispensabili come sanità, trasporti, istruzione, servizi postali, risparmio, interventi per il recupero dei centri storici, tutela del patrimonio ambientale, promozione dei prodotti tipici, gestione sostenibile delle foreste e dei suoli agricoli.

1 http://www.inu.it/congressocagliari/index.html.
2 «La Toscana (…) è conosciuta e apprezzata per avere rispettato il suo patrimonio storico, artistico e ambientale, che ha saputo in seguito sfruttare (trarre vantaggio) ai fini dello sviluppo economico e sociale. Questa condizione del territorio toscano non è un dono piovuto dal cielo: è il risultato – non sempre positivo, si capisce – di scelte e decisioni (…) che impegnarono un determinato gruppo di uomini e donne (…) nel trentennio dopo l’affannoso e a volte dannoso avvio della ricostruzione (…). Spetta a loro il merito di aver messo in salvo il patrimonio territoriale toscano: la rete dei piccoli e medi centri antichi, i paesaggi, le coste, il territorio agricolo (…). Tuttavia, è un mito, ben gestito, che la Toscana non abbia subito nel trascorso cinquantennio notevoli trasformazioni territoriali (…) solo per inerzia mentale, parliamo di Firenze – come di Roma, Napoli, Milano – avendo in testa il centro storico, piccola porzione di un’estesa area metropolitana (…)», in R. Viviani, Chi governa cosa?, Alinea Ed., Firenze 2005.
3 «Per uscirne in avanti la scelta deve essere di assumere come direttrice di marcia il tema dello sviluppo più che della crescita. E ciò può essere fatto solo se i parametri dell’economico tornano ad assumere i problemi sociali e ambientali come terreno della nuova creazione di valore. Se vogliamo dirla in altro modo, l’innovazione sociale e culturale è la vera molla per creare innovazione economica. (…) Significa che i beni e i valori da produrre saranno sempre più legati non alla quantità ma alla qualità del consumo e del vivere. Che la soggettività imprenditoriale dovrà sempre più incorporare l’abilità di produrre e vendere beni di diverso tipo: funzionali all’espansione delle capacità e della creatività autonoma dei consumatori e della componente relazionale della vita», in A. Bonomi, Introduzione. Tracce di futuro, in 11 idee per l’Italia, Marsilio Ed., Padova 2013, pp. 9-11.
4 http://www.inu.it/27513/comunicati-stampa/al-viacitta-accessibili-a-tutti-uno-spazio-collaborativo-nellambito-del-progetto-paese-inu/.
5 http://www.ancsa.org/storia-dibattito/1960/1960.
6 «Mentre le città riconoscono i valori della montagna, i territori alpini da cui la città si è maggiormente ritirata rivendicano un diritto alla città intesa come civitas, cioè a quell’insieme di legami sociali, di funzioni, di servizi e di istituzioni capaci di offrire ai cittadini – ovunque risiedano – i vantaggi di una vita civile. E’ noto che tali condizioni si possono avere solo in territori che presentino una soglia minima di
popolazione. Anche se l’accresciuta mobilità delle persone e delle informazioni hanno oggi abbassato questa soglia, rimane il fatto che ad esempio i luoghi d’incontro dei giovani, la scuola dell’obbligo, i servizi per gli anziani, le connessioni telematiche e altre cose ancora, tra cui non ultime le opportunità di lavoro, difettano in molte parti della montagna alpina meno densamente abitata. Di qui un disagio esistenziale e sociale (Salsa 2007), che deriva appunto dall’essere esclusi dall’“effetto città”. La montagna alpina che rivendica il suo diritto ad essere anch’essa “città” può anche offrire in cambio qualcosa di prezioso. Facendo leva sul “desiderio di montagna” di chi abita in città e sul differenziale positivo del suo ambiente naturale e culturale può proporsi come un modo diverso di essere città, aprendo prospettive nuove e vantaggiose non solo per i suoi abitanti, ma anche per le popolazioni urbane della pianura che vorrebbero vivere in una città diversa. Il progetto di creare ambienti di vita e di lavoro con qualità e opportunità pari o superiori a quelle degli agglomerati urbani offre la possibilità di sperimentare un modello urbano competitivo non tanto e non solo sotto l’aspetto economico, ma anche e soprattutto sotto quello ecologico, culturale, politico, sociale e istituzionale», in G. Dematteis, Città per le Alpi. Alpi per le città, in «Sentieri Urbani», n. 18, dicembre 2015.
7 Strategia Nazionale Aree Interne, «Le Aree Interne rappresentano una parte ampia del Paese – circa tre quinti del territorio e poco meno di un quarto della popolazione – assai diversificata al proprio interno, distante da grandi centri di agglomerazione e di servizio e con traiettorie di sviluppo instabili ma tuttavia dotata di risorse che mancano alle aree centrali, con problemi demografici ma anche fortemente policentrica e con forte potenziale di attrazione. L’Italia nel Piano Nazionale di Riforma (PNR) ha adottato una Strategia per contrastare la caduta demografica e rilanciare lo sviluppo e i servizi di queste aree attraverso fondi ordinari della Legge di Stabilità e i fondi comunitari», http://www.agenziacoesione.gov.it/it/arint/index.html.
8 http://unipd-centrodirittiumani.it/it/spilli/Strumenti-UNESCO-Dichiarazioni-e-Raccomandazioni/6.
9 «Mutevole nella sua bellezza, questo ampio panorama manteneva sempre una qualità umana e domestica che lo rendeva, almeno per me, il paesaggio più adatto a viverci vicino. (…) Malgrado le sue montagne, le sue ripide discese e le sue vallate profonde, la scena toscana è dominata dagli abitanti. Hanno coltivato ogni palmo di terra coltivabile; le case sono sparse per tutte le colline e le valli sono popolose. Solitari in cima a un monte, non si è mai soli del tutto. Le tracce dell’uomo sono impresse nel paese, e già da secoli e da millenni (lo si sente con soddisfazione spaziando con l’occhio) la terra è stata sottomessa, domata e umanizzata», in A. Huxley, Il sorriso della Gioconda e altri racconti, Mondadori, Milano 1937, p. 113.
10 «Certamente i progetti sono frammenti di un’azione paesaggistica che non è racchiusa nel locale, ma apre a sinergie di rete tra sistemi territoriali e ambientali, ma anche tra attori del territorio e piani a diverse scale. Senza un progetto strutturante d’area vasta, che poggia anche nella pianificazione, i progetti rischiano di restare frammenti incapaci di costruire quel ponte tra natura e cultura, tra conservazione e sviluppo, tra comunità e amministrazioni locali e sovralocali che l’azione per il paesaggio richiede. Sono questi casi che raccontano parti di un’Italia che trova forza e sviluppo nel policentrismo e nella progettualità anche dei piccoli comuni, custodi di patrimoni straordinari naturali, storico-culturali, di tradizioni, abilità manifatturiere», in A. Voghera, Progetti di paesaggio. Azione dai piccoli comuni, Bologna 4 marzo 2016, INU Rapporto dal territorio – 3° Seminario, I piani e le politiche per i piccoli comuni.
11 «Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti e dei territori montani e rurali nonché deleghe al Governo per la riforma del sistema di governo delle medesime aree e per l’introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ambientali e disposizioni per la riqualificazione ed il recupero dei centri storici», Testo unificato C. 65 Realacci e C. 2284 Terzoni.
http://www.camera.it/leg17/126?tab=6&leg=17&id-Documento=65&sede=&tipo=, http://www.piccolagrandeitalia.it/notizie/riparte-la-legge-i-piccoli-comuni.