rita Per un’altra Sicilia possibile di Rita Borsellino

Dopo Via D’Amelio
Nessuno di noi, credo, potrà mai dimenticare quel “è finito tutto” pronunciato da Nino Caponnetto subito dopo la strage di Via D’Amelio, ma credo anche che tutti abbiamo il dovere di ricordare la mano alzata con le dita a segnare la “V” di vittoria davanti alla folla che lo invocava a Palazzo di Giustizia il giorno dopo. Dopo il dolore e lo sconforto prevalsero la rabbia e la voglia di reagire dei palermitani onesti. Anche dei tanti che per troppo tempo erano rimasti “alla finestra a guardare …”
Tante cose cambiarono dopo quei giorni terribili. Sembrò che un nuovo corso iniziasse e che nulla avrebbe più potuto fermarlo. Per me sicuramente cambiò tutto. Cambiai io. Io che fino a quel momento avevo vissuto solo per la mia famiglia, come in un guscio, attenta al mio lavoro, ai miei cari, ai miei figli. Io, dicevo, ho iniziato a sentire l’esigenza di parlare con gli altri, di partecipare a quel movimento di ribellione popolare, nato spontaneo all’indomani della strage. La molla fu la richiesta arrivata a settembre di quel 1992 da una scuola elementare. Era la scuola elementare vicina a Via D’Amelio, la stessa che avevano frequentato i miei figli, di cui conoscevo gli insegnanti e dove ero entrata migliaia di volte. Ed erano i bambini che abitavano in Via D’Amelio o vicino a Via D’Amelio, bambini che avevano vissuto la strage, traumaticamente, in maniera forte, dolorosa, la paura, la perdita di tutto, lo scoppio. La maestra mi disse “hanno solo paura questi bambini, aiutiamoli a fare in modo che resti loro dentro altro, che da lì possano elaborare qualcosa di diverso”. Io non lo so perché dissi di sì, era troppo diverso da me, io non ero mai andata a parlare con nessuno, non sentivo quasi il bisogno di comunicare con gli altri, ero troppo timida per comunicare con gli altri e forse fu il fatto che erano dei bambini e il mio istinto materno ebbe il sopravvento. Andai in questa scuola elementare erano bimbi di 6/7 anni, piccoli piccoli, avevano questi occhioni spaventati, mi guardavano, chissà cosa si aspettavano da me. Ero spaventata anch’io, ero spaventata come loro. Provai a raccontar loro Paolo, provai a raccontare di quando eravamo bambini, di quando era bambino anche lui, come amava giocare, di come faceva le monellerie perché Paolo era un ragazzino molto vivace, di poi come crescendo aveva fatto delle scelte e saputo mantenere e poi di quando era diventato papà, di come era bello il suo rapporto con i suoi figli, con i miei figli con i tanti nipotini. Questi bambini pian piano si animarono, non erano più spaventati, ridevano quando raccontavo loro qualcosa di buffo oppure si interessavano. Alla fine chiesi se volevano farmi qualche domanda, se volevano sapere qualcos’altro; mi chiesero le cose più strane: se aveva un cane, quale era il suoi piatto preferito, se sapeva nuotare, se gli piaceva andare al mare, ognuno lo rispecchiava in sé attraverso quelli che erano i propri interessi, le cose che gli piacevano di più. Poi un bambino si alzò e mi disse: “signora lo posso chiamare zio Paolo?”. Che bello, provai una sensazione straordinaria, capii che per impedire che Paolo fosse dimenticato bisognava consegnarlo agli altri. Ecco, consegnare Paolo alla memoria degli altri perché imparando a conoscerlo imparassero anche a volergli bene, allora non lo avrebbero dimenticato più.

L’inizio del percorso
Questo è l’inizio del mio percorso. Un percorso lungo tredici anni e che oggi, nel 2006, mi porta a candidarmi alla presidenza della Regione siciliana. Da allora sono cambiate molte cose. Col passare dei mesi, degli anni ho capito che la memoria non si può fermare al passato. La memoria deve guardare al futuro altrimenti non è più memoria è ricordo, ed è un’altra cosa. Allora mi sono rimboccata le maniche per cambiare la realtà. Per costruire. Ecco perché in tutti questi anni non mi sono mai fermata. La Carovana antimafia dell’ARCI ha iniziato a percorrere le strade della Sicilia nel ‘93. Poi, con Libera, ha percorso quelle dell’Italia e oltre. È nata Libera, appunto, che ha segnato una novità assoluta nella realtà del mondo associativo, i risultati sono arrivati e sono stati tangibili anche se spesso ignorati dai media e dalla stampa nazionale, ma tant’è, sono risultati importanti che vanno difesi e sviluppati. Primo tra tutti la raccolta di un milione di firme per la legge 109 del 96 che prevede l’uso sociale di beni immobili confiscati alla mafia con la Rognoni- La Torre. E questo è un pezzo di storia del nostro Paese, un pezzo del nostro Paese costruito dal basso. La Carovana Antimafia è stata per anni una fatica enorme poggiata su basi volontaristiche. Poi, piano piano, ai volontari si sono uniti i Comuni, e si sono unite sempre più associazioni e si è iniziato a lavorare insieme. A progetti di riscatto sociale come ad esempio Pole Position rivolto a giovani a rischio di devianza in paesi dove la criminalità organizzata era fortissima. Lì si è riusciti a mettere in rete gli attori del territorio, a far relazionare scuole, famiglie, istituti di pena, centri sociali, mondo del lavoro. Più di un ragazzo con precedenti penali alle spalle ha imboccato la strada della legalità e del lavoro. La Carovana antimafia ha iniziato a costruire sviluppo e a seminare diritti di cittadinanza, dando vita a laboratori municipali e patti territoriali per il contrasto, ad esempio, del lavoro nero. Oppure gettando le basi per veri e propri “patti di qualità e legalità” tra istituzioni, associazioni, sindacati, mondo del lavoro, categorie produttive. Attorno a Libera e sui terreni appartenuti ad affiliati di boss come Provenzano, Riina e Liggio è nato un consorzio che produce lenticchie, grano, uva, fichidindia, pomodoro, pasta, olio e li vende sotto il marchio di Libera terra, in tutta Italia. Sono stati per me anni importanti, ricchi di soddisfazioni. Anni in cui ho imparato ad ascoltare e a leggere ciò che accadeva nella società. Anni in cui ho imparato l’importanza prioritaria di mettere a sistema risorse e competenze, di creare “intrecci solidali” per un’altra Sicilia possibile.
Già, “intrecci solidali” come la scommessa che lanciammo a settembre ’03. Mentre il centrodestra provava a smantellare gli strumenti di contrasto alla mafia, a delegittimare la magistratura, a spegnere ogni speranza. Allora decidemmo di tornare a progettare a dispetto di tutto lanciando un grande forum che avesse come punto d’arrivo, appunto, un’altra Sicilia possibile. Un momento di incontro tra società civile organizzata e partiti di centrosinistra per costruire un’ipotesi nuova di governo per la Sicilia. Un’ipotesi che fondasse le proprie radici nel terreno del confronto cercando di coniugare sviluppo e solidarietà e temi apparentemente lontani come globalizzazione e valorizzazione dei territori. La ricchezza dei due giorni di dibattito a Palermo, i contributi forti e appassionati di tanti cominciarono a far sentire il bisogno, nonostante le fatiche, dell’incontrarsi, del confrontarsi, del rimettersi in gioco a partire dai valori, sui territori, nei quartieri. La necessità di luoghi in cui incontrarsi, ritrovare il gusto di costruire. E il rischio in quel momento era che il centrodestra interpretasse a modo suo, con la logica colpevole e complice di Lunardi quella del “con la mafia si deve convivere”, la vita, la città, la politica, mentre gli altri non stavano più nemmeno a guardare dalle finestre, perché stanchi, delusi, sfiduciati, oppressi da bisogni primari mai soddisfatti. Quel forum, quella discussione, quel percorso che continuò negli anni – nel 2004 a Racalmuto e l’anno dopo nuovamente a Palermo – mi ridiede speranza. E la ridiede a molti. Iniziammo a pensare che era possibile davvero voltare pagina mettendo insieme partiti e società civile. Non era più l’”è finito tutto”, non è ancora la “V” di vittoria. Ricordo che nel 2004 vedendo il manifesto “Sicilia possibile” pensai che davvero non era finita. Che si poteva e che si doveva invece guardare lontano.

Un cantiere per un futuro diverso
Quello che è successo da novembre ad oggi è in qualche modo il passo successivo del medesimo cammino. Su come è nato tutto ciò, è stato scritto e detto di tutto. Per settimane sono stata indicata come la candidata dei partiti minori, dell’ala radicale del centrosinistra. In realtà tutto è nato da me. Da un’idea che mi tormentava da qualche tempo, ogni volta che sentivo o leggevo della difficoltà del centrosinistra siciliano di trovare un candidato capace di mettere tutti d’accordo, di unire e dunque, di avere una chance contro l’arroganza del centrodestra che in cinque anni in Sicilia, aveva accentrato e sperperato quelle risorse che dovevano servire a fare decollare l’isola. Così in una notte d’autunno, ritornando in auto da Ginevra dove eravamo in carovana Antimafia, sotto una pioggia battente, parlai di quell’idea ad Alfio Foti. Gli dissi “E se mettessi a disposizione il mio nome?”. Pochi giorni dopo la proposta fu comunicata ai partiti. E alcuni decisero subito di rilanciarla, altri di prendersi del tempo per pensare. Ma fin da subito attorno a me si strinse così tanta gente, tante associazioni, che quando la Margherita decise di volere presentare un proprio candidato e di volere disputare primarie vere, io non me la sentii di tirarmi indietro. In troppi in quei giorni mi avevano chiamato o fatto arrivare il proprio sostegno. Dentro e fuori i partiti. Così sono, siamo, andati avanti. Durante le primarie ho percorso otto mila chilometri, visitato 75 Comuni e incontrato tanta, tanta gente. Persone di tutte le età che avevano voglia di cambiare la Sicilia, di trasformarla da terra di pochi a patrimonio di tutti. Madri che avevano dovuto salutare i propri figli perché l’isola non assicurava loro nessun futuro. Operai licenziati o in cassintegrazione. Precari. Dipendenti pubblici emarginati dal sistema clientelare. Ma anche tante persone normali. Gente comune che alla politica non aveva mai guardato con interesse e che adesso si avvicinava per raccontare e ascoltare. Durante le primarie sono nati tanti comitati spontanei per Rita Presidente, oltre 200 in tutta l’isola. E di tutti i tipi: comitati di professori universitari, di avvocati, studenti, abitanti del centro storico, dentro le fabbriche, nei quartieri popolari di Palermo. E persino alla Regione siciliana. Nonostante l’incertezza dell’esito elettorale e nonostante il presidente Cuffaro in questo momento lì sia il padrone di casa. Una mobilitazione come non se ne vedevano da anni. Ma è proprio per questa voglia di partecipazione, per questa voglia di cittadinanza attiva, che dopo le primarie ho voluto mettermi all’ascolto. Ho voluto che il programma dell’Unione fosse un programma partecipato. Attraverso un meccanismo del tutto nuovo, cui abbiamo dato il nome di “cantiere”. Un percorso che sta creando interesse e nuova partecipazione. Abbiamo individuato 12 aree tematiche. Tutte importanti e centrali per il futuro della nostra isola: dalla sanità e dal welfare al lavoro, allo sviluppo sostenibile, ai migranti. In questi tavoli siedono i partiti ma anche la società civile organizzata: dalle associazioni ai sindacati, alle categorie produttive, ad esperti dei vari settori, ai comitati che si sono fatti protagonisti di questa scommessa. Poi i risultati saranno comunicati alle varie realtà locali per essere presentati, discussi e, possibilmente, arricchiti con le esperienze dei territori. E’ un percorso complesso ma importantissimo per far sì che quello che verrà fuori sia un programma condiviso di cui ognuno possa sentirsi non solo protagonista, ma responsabile. Un programma che sappia mettere assieme valori e interessi sani.

Discontinuità ed eticità Io credo che questo sia un momento storico importante. Un momento particolare come lo è stato il 1992. Oggi come allora il Paese attraversa un periodo difficile. Alcune delle leggi approvate in questi ultimi cinque anni dal governo Berlusconi hanno allentato il contrasto alla criminalità organizzata, penso ad esempio alla legge sulle rogatorie internazionali o alla Cirielli. Ma anche le norme approvate in queste settimane che precedono la fine della legislatura la dicono lunga sui valori della maggioranza: dall’uso legittimo delle armi anche per la difesa della proprietà alla riduzione delle pene per chi fa propaganda xenofoba o attenta allo Stato e infine la legge contro il consumo di droga che tratta il consumatore di droga quasi alla stessa stregua dello spacciatore. Siamo come all’inizio degli anni Novanta in un momento in cui nuove inchieste giudiziarie mettono a nudo rapporti tra politica e mafia. La Sicilia, per riprendere le parole del presidente della Corte d’appello di Palermo Carlo Rotolo all’apertura dell’anno giudiziario, “è infestata da personaggi che, seduti attorno a un tavolino, riescono a decidere le sorti di finanziamenti regionali, favorendo esponenti di Cosa nostra”. Un allarme che nasce dalle inchieste aperte a carico di esponenti politici e che tra gli altri vedono rinviato a giudizio per favoreggiamento a Cosa Nostra, anche il presidente della Regione Cuffaro. Il 2006, difficile come il 1992, dicevo. Allora, dopo le dimissioni improvvise di Cossiga, c’era il presidente della Repubblica da eleggere, oggi siamo alla fine del settennato del presidente Ciampi (vigile e custode attento in questi anni dei capisaldi democratici nel nostro Paese). E’ in questo contesto che deve essere inquadrata la prossima stagione elettorale e che vanno inquadrate le intimidazioni che nelle ultime settimane si stanno susseguendo in Sicilia contro sindaci e sindacalisti che dell’antimafia hanno fatto il primo valore del loro operato. Al contrario del ‘92, però, quando il moto di ribellione iniziò dopo le dolorose stragi mafiose, l’uccisione di Giovanni Falcone e poi di Paolo, oggi la società siciliana appare più matura. Quello che sta accadendo non è, o almeno non è soltanto una reazione dettata dai sentimenti, ma dalla ragione. Dalla consapevolezza che insieme si può riuscire e che in questi anni l’immagine della Sicilia è peggiorata come le condizioni di vivibilità. La risposta della Sicilia alle politiche e alle regionali sarà importante per tutto il Paese. Non dimentichiamo che alle ultime nazionali, l’isola ha dato al centrodestra 61 seggi. Di certo, gli interessi in ballo nella prossima legislatura saranno tanti come i fondi europei che arriveranno sull’isola. E per i quali occorre la capacità di una elaborazione politica “alta”.
La nostra campagna elettorale ha messo al centro parole come discontinuità ed eticità. E abbiamo anche definito un codice etico per selezionare i nomi da inserire in lista alle regionali e poi in giunta. Non ci saranno indagati nelle nostre liste, non ci saranno rinviati a giudizio o peggio ancora condannati, soprattutto per collusioni, o rapporti di qualsiasi tipo con Cosa Nostra. La mia, la nostra forza sono i tanti siciliani che credono nel cambiamento. Uomini e donne che hanno deciso di non volere più stare alla finestra a guardare. E che a giugno vogliono alzare le dita verso il cielo. A V, in segno di vittoria.