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Le Afriche e noi: appuntamento (in comune) con la storia
di Severino Saccardi

A poco più di cinquanta anni dal 1960, “anno dell’ Africa” e riferimento simbolico del processo di decolonizzazione, il bilancio provvisorio dei decenni trascorsi pone in risalto le contraddizioni e le estese ingiustizie che hanno gravato su quel grande continente. Ma un’analisi più attenta non può che dar spazio anche ad un’“Africa che non ti aspetti”. Un mondo animato da una notevole varietà di esperienze umane e culturali e dalla disponibilità all’incontro. Il sommovimento che ne scuote la propaggine mediterranea ci ricorda che i popoli delle “Afriche” sono nostri naturali interlocutori in un‘unica comunità di destino.

Un mondo in rivoluzione.
Così, oggi, si presenta l’Africa, almeno nella sua propaggine settentrionale. Leggerne elementi di fondo e linee di tendenza non è semplice, a fronte del continuo rincorrersi e sovrapporsi degli avvenimenti. Ad un iniziale tentativo di analisi non si sottraggono, comunque, alcuni degli interventi della nostra sezione monotematica.

Un anno-simbolo. Una sezione che si intitola Afriche. Al plurale. Perché il tentativo è quello di provare a dar conto della varietà, del carattere sfaccettato e della complessità di elementi antropologici e culturali di quel continente a mezzo secolo (o poco più: siamo in ritardo di qualche mese rispetto alla ricorrenza storica) dall’ anno-simbolo 1960. Che fu proclamato “anno dell’Africa”. Perché fu in quel tornante storico, in una manciata di anni, che i paesi africani conquistarono la loro indipendenza politica. I “dannati della terra” (come li definiva Franz Fanon) sembravano essere pervenuti al loro riscatto. Una pagina nuova della storia sembrava linearmente dischiudersi.
Aguzzavano, allora, idealmente lo sguardo, e ne parlavano con grande fervore, uomini orientati al futuro. Come La Pira e Balducci. Quell’inedito cammino sembrava poter essere, in una comune presa di coscienza , il nostro stesso cammino.
Le cose, come sappiamo, sono andate in tutt’altra direzione. L’Africa (di cui continuiamo ad avere una conoscenza generica e cui spesso ci riferiamo come fosse un blocco indistinto), nelle sue diverse realtà, ha sperimentato una vastità incredibile di angherie e di ingiustizie di portata storica. Il riproporsi di meccanismi di dipendenza e di sperequazione nei rapporti fra Nord e Sud del pianeta (1), la parabola drammatica di tanti “paesi in via di sviluppo” (indicati con una definizione che sarebbe finita per sembrare drammaticamente incongrua), il proliferare di conflitti inter-etnici e inter-religiosi, l’avvitarsi su se stessi dei meccanismi della cooperazione internazionale, la mancanza di diritti umani: sono capitoli di un possibile “diario africano” del cinquantennio che ci sta alle spalle, la cui lezione fatichiamo a decifrare o che ci è comodo rimuovere.
Una storia dura, aspra, irta di contraddizioni. Di cui l’Occidente e l’Europa portano una pesantissima parte di responsabilità e che chiama, però, certamente in causa anche una parte non piccola delle classi dirigenti che, nei diversi angoli dell’Africa, si erano assunte il compito di condurre quelle popolazioni sulla strada dell’emancipazione e dell’appuntamento con modernità e sviluppo.
Ma non c’è solo questo da considerare in un’immagine dell’Africa che non voglia limitarsi a risaputi stereotipi. C’è anche un’Africa che non ti aspetti (2). Un’Africa fatta di vitalità, cultura, voglia di emergere, disponibilità all’incontro, ricostruzione attenta della propria identità. Anzi, delle diverse identità di uno sfaccettato mosaico. Dare minimamente conto (come è possibile farlo, per suggestioni tematiche, nell’ambito di un lavoro di per sé limitato) della polifonica espressione di voci e dei diversi volti delle “Afriche” è uno degli intendimenti di questo volume. I sentieri delle “Afriche” sono densi di incontri. Dischiudono un mondo. Anzi, una pluralità di mondi. E’ quanto sperimentano coloro che portano avanti esperienze di “buona cooperazione” (v. in merito quanto proposto, su piani diversi, da S. Fusi e da G. Ceccanti).

“Mondi” dell’ Africa.
Certo, i “mondi” dell’Africa hanno, prima di tutto, da riscoprire, e da rivendicare, la loro peculiare sensibilità e la densità della loro esperienza antropologica e culturale (v. Mutombo M’Panya ed i contributi dedicati alle storie e culture “altre”). Proprio per potersi porre (come testimoniano le esperienze di tante comunità locali) sui sentieri del nuovo.
È densa di nuovi problemi, e di contraddizioni che si aggiungono a quelle storicamente sperimentate, la strada dei popoli africani. Ci sono peculiari istanze di autodeterminazione che chiedono di essere accolte. Come quella dei Sahrawi. O come quella dei Nuba, nel nuovo Sud Sudan. Ci sono temi sociali e mutamenti antropologici (scardinamento del rapporto città-campagna e fenomeno delle megalopoli) che chiedono da essere governati. C’è l’intreccio dei condizionamenti delle relazioni internazionali, che così fortemente ha gravato sul continente, al cui interno si va definendo l’inedito protagonismo “africano” di una potenza, ormai“globale”, come la Cina (3). Le prove non mancheranno. Ma certo è che quello delle “Afriche”, nella varietà dei loro percorsi, non è un mondo immobile. Come è testimoniato dalle vitalità delle sue esperienze artistiche. Di cui in questo volume, impreziosito dalle belle immagini cortesemente messeci a disposizione da Marco Parri e da Luca Faccenda, troviamo evidente traccia.
Non è un mondo immobile, quello che ci sta di fronte, dal Nordafrica, passando per l’Africa subsahariana, fino al “paese arcobaleno” (il Sudafrica). Forse, le rivoluzioni dell’ Africa mediterranea rimandano, come qualcuno ipotizza, ad una prospettiva che poco ha a che vedere con il resto del continente. O forse, è cominciato un sommovimento di carattere generale di cui è impossibile prevedere gli esiti. Certo, è che le “Afriche” ci interpellano. E ci convocano ad un’assunzione di responsabilità, alla condivisione di un cammino e ad un comune appuntamento con la storia.


1)    Si tratta di tematiche che fanno riandare con la memoria ad iniziative, ormai lontane nel tempo, come quella che “Testimonianze” impostò (nel Febbraio 1983) al Convegno(della serie Se vuoi la pace prepara la pace) dedicato a Nord e Sud/armi e fame (“Testimonianze” nn. 253-255).
2)    È di Enrico Cecchetti (che alla costruzione del nostro volume ha fattivamente contribuito) un libro intitolato, per l’appunto, L’Africa che non ti aspetti (a cura del Comune di Capannoni, 2009).
3)    V., in merito: Cinafrica-Pechino alla conquista del continente nero (di S. Michel e M. Beuret, ed. Il Saggiatore, Milano 2009).