L’Algeria in un kit multimediale
di Maurizio Bassetti

Sommarietto: Il secondo kit del progetto Afaq-Orizzonti promosso dal COSPE e dal CSMR ci presenta in modo ampio e con un taglio multidisciplinare e multimediale la realtà dell’Algeria, nella consapevolezza che una seria informazione è la premessa per una politica della convivenza.

Qual è la percezione reale che gli italiani hanno dei paesi vicini della sponda Sud del Mediterraneo? Stereotipi, disinformazione, distorsioni e fraintendimenti dilagano, contribuendo ad alimentare quella diffidenza nei confronti dell’altro che sempre più si evidenzia soprattutto quando si deve relazionare con coloro che provengono da altri paesi di cui non si ha una seria conoscenza.
Dalla consapevolezza che solo una seria informazione può essere una valida premessa per realizzare una politica della convivenza pacifica e dell’integrazione tra culture e popoli diversi nasce il progetto “Afaq-Orizzonti: Il Mediterraneo e le sue culture. Società, tradizione e costumi”, promosso dal CSMR (Centro mondialità sviluppo reciproco) di Livorno e dal COSPE (Cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti) di Firenze con il contributo della Commissione delle Comunità Europee.
Il progetto prevede la realizzazione di una serie di kit multimediali di facile lettura, destinati a insegnanti, educatori, studenti, operatori sociali e culturali, che illustrino alcuni dei paesi chiave della sponda Sud del Mediterraneo, come Marocco (del quale è uscito il primo lavoro nel 1997) , Israele e Palestina (su cui si sta lavorando) e Algeria su cui è incentrato il nuovo kit uscito a metà del 2000 e che è stato distribuito all’inizio del corrente anno scolastico .
Il kit sull’Algeria comprende cinque strumenti: un volume Algeria, una questione di libertà, una videocassetta Algeria, voci di donne, un CD Plus (CD ROM), Algeria, musiche di vita, 10 schede didattiche monotematiche e una Guida didattica al kit multimediale.
La Guida permette di orientarsi facilmente tra i vari strumenti e suggerisce metodologie, tematiche e una bibliografia di riferimento. Le schede costituiscono uno strumento informativo rapido e denso di elementi conoscitivi, con tabelle e schemi, sistemati per argomento, dai caratteri naturali e geografici, agli avvenimenti storici, le condizioni economiche e sociali ad altri aspetti culturali, tutti affrontati in un’ottica non eurocentrica, curati dalla sociologa algerina Samia Kouider.

Una cultura ricca e poco conosciuta
Il CD Algeria, musiche di vita rappresenta la parte più sofisticata del kit, in quanto è al tempo stesso un CD audio, utilizzabile con un qualsiasi lettore CD, e un CD ROM che contiene un programma multimediale da esplorare con un personal computer. E’ possibile così effettuare un “viaggio” nella cultura musicale algerina, non solo ascoltando numerosi brani significativi dei tanti generi e stili che caratterizzano la musica araba e algerina in particolare, ma anche aprire immagini e schede informative che illustrano gli aspetti antropologici, storici e tecnici di tale musica (generi, strumenti, storia, autori ecc.). La musica algerina rispecchia la ricchezza etnica e socio-culturale di questo paese, andando dai ritmi beduini delle campagne e del deserto (spesso di origine berbera), ai canti degli agglomerati urbani, sia classici sia moderni (in genere di origine araba), fino a comprendere una delle tendenze più originali nate recentemente nei paesi di lingua araba: il rai, la musica dei giovani, dell’irrazionale, della contestazione, affermatasi in questi ultimi vent’anni.
Alla cultura sono dedicate anche alcune sezioni del volume Algeria, una questione di libertà, a partire dal  La letteratura algerina: un carosello di lingue di Claudia Maria Tresso, che ricostruisce in modo rapido ma efficace la ricchezza dei contributi delle “culture” d’Algeria, varie nelle lingue e nelle etnie rappresentate, dai tempi dei romani fino al colonialismo francese e quindi alla ricerca di identità nella fase postcoloniale. In Algeria si è scritto in latino, ai tempi dei romani (S. Agostino era originario di Tagaste, oggi Sud Ahras), in arabo, con l’invasione mussulmana, in turco, sotto la dominazione turca (periodo di decadenza culturale) e infine in francese che ha permeato la cultura algerina contemporanea (con importanti contributi di sintesi tra mondo orientale e occidentale quale quello di Albert Camus, francese nato a in Algeria). Ma la parte più consistente del saggio, corredata da una significativa antologia di testi, presenta la produzione più recente dell’Algeria indipendente che si è espressa sia in arabo sia in francese (con autori anche franco-algerini, i cosiddetti beurs, nati in Francia ma da genitori algerini ) e con l’utilizzazione scritta perfino delle parlate berbere.
Molti intellettuali algerini si esprimono in francese ma i contenuti sono spesso connotati da un forte spirito nazionalista e di rivendicazioni anticoloniali prima e di orgoglio indipendentista poi. Famosi sono Jean Amrouche e la sorella Taos poeti e romanzieri, Mouloud Mammeri e Albert Memmi che scrivono durante la lotta per l’indipendenza con accenti antifrancesi, ad essi si aggiungono piano piano molti altri autori meno noti che iniziano a usare sempre più la lingua araba, che fino ad allora era rimasta legata all’Islam e ai testi religiosi. Dopo l’indipendenza i temi si arricchiscono in una nuova prospettiva che guarda al futuro e riflette sui vari problemi che la società deve affrontare; l’arabo colto diviene la “lingua nazionale”, ma molti continuano a scrivere in francese sia come lingua meglio conosciuta e più duttile, sia in polemica con la religione e quindi come scelta di autonomia laica. Il problema diventerà sempre più spinoso perché la letteratura in francese sarà osteggiata dal regime, mentre l’uso dell’arabo classico verrà sempre più imposto e considerato elemento di identità nazionale. I migliori scrittori continueranno però a scrivere sia in francese sia in arabo come Rashid Boudjedra , Nabile Farès, Tahar Djaout, Rashid Mimouni, Malika Mokeddem e Assia Djebar, con esiti ricchi e originali come si può vedere da alcuni brani che vengono riportati in una breve ma significativa antologia alla fine del saggio.
Tra i vari testi appare una bellissima fiaba berbera, trascritta da Taos Amrouche, che rappresenta una delle componenti meno note della cultura algerina: sulla Algeria berbera ci informa Abdennour Abdessedam, che ricorda la centralità della berberità di tanta parte di quel popolo e racconta l’importanza della trasmissione orale di poesie, storie e fiabe che sono state poi appunto riprese e rielaborate in epoca recente nella produzione scritta, di cui l’autore ci dà alcuni significativi saggi.
La questione berbera viene ricordata anche nel contributo di Dabo Djerbal in cui si affronta l’intreccio tra cultura e società in un’Algeria in crisi: proprio nella cultura berbera si devono ricondurre le origini di quella ventata di libertà e contestazione degli anni 80 che si è manifestata sia nella “primavera berbera” (in cui si rivendicava lo status di amazig “uomo libero” in luogo del termine latino “barbarus” per definire l’identità degli abitanti della Cabilia), sia nella “rivoluzione musicale” del trasgressivo rai (che propone una nuova musica di protesta, di vitalità e suggestioni legate alla festa, al corpo, all’eros, ai dilemmi dell’esistenza, propri dei Cheb, i giovani, in contrapposizione alla morale e alle forme della tradizione). Una tradizione voluta dalla cultura ufficiale che nelle scuole ha puntato ad imporre un rigorismo che ha proposto un modello di paese uniformemente arabo-islamico.
Un altro aspetto della cultura algerina poco noto che viene messo in evidenza nel volume è costituito dalla ricca produzione cinematografica che, nonostante le difficoltà di mancanza di infrastrutture e di distribuzione, ha conosciuto validi contributi segnalati anche in numerosi festival internazionali, come Chronique des années de braise di Lakhdar Hamina che vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1975, o Les enfants du vent di Brahim Tsaki, vincitore del Premio della critica internazionale al Festival di Venezia nel 1980.

Economia, società e percezione dell’altro
La ricchezza della cultura algerina è poco nota al pubblico italiano che per altro ha scarse conoscenze di tutta la storia e della società algerine come risalta bene dalla piccola ma significativa inchiesta di Diana De Lorenzi e Patrizia Russo, L’Algeria vista dall’Italia. Dalle numerose interviste a persone di media cultura emerge un insieme di stereotipi, di  vuoti di informazione, di genericità che rivela un’immagine dell’Algeria assai vaga, lontana da quella di Paese-simbolo della lotta di liberazione diffusa qualche decennio fa, e molto più vicina alla interpretazione di Paese del fanatismo islamico, delle atrocità perpetuate in nome di una religione verso cui si diffonde sempre più diffidenza e intolleranza.
Ma anche dall’altra parte, in Algeria, la conoscenza dell’Europa passa attraverso distorsioni e stereotipi come ci mostra Ghania Khelifi nel suo contributo su Europa così vicina così lontana. L’Europa è percepita come un mito e un assillo, è onnipresente con le sue reti televisive, i suoi modelli di ricchezza, dà l’illusione di potervi trovare un’accoglienza per i giovani disoccupati, i quali poi guardano soprattutto ai paesi più vicini e considerati più simili a loro come l’Italia di cui sono diffusi tutti i più noti stereotipi (l’italiano pigro, tollerante, un po’ mafioso ecc.).
La realtà dell’emigrazione algerina, secondo il contributo di Samia Kouider, si rivela ben più triste e difficile delle aspettative. Mentre la prima generazione di emigranti (sotto il colonialismo) era composta prevalentemente da maschi costretti ad andare a lavorare nei campi, nelle miniere e nelle acciaierie francesi per sfamare la propria famiglia rimasta in patria, nel corso degli ultimi due decenni le caratteristiche dei nuovi migranti sono cambiate radicalmente. Oggi si parte per fuggire dalla mancanza di prospettive, spesso per sempre, e non ci sono solo giovani disoccupati generici ma anche molti laureati, quadri e intellettuali, che si sentono emarginati nel sistema politico-economico attuale. Inoltre le mete si sono allargate a tutta l’Europa e mirano anche più lontano (USA e Canada); di recente poi la politica di maggior chiusura di paesi come la Francia, la Germania e la Gran Bretagna ha spinto gli algerini verso paesi più vicini e aperti come la Spagna e l’Italia, che hanno continuato a rilasciare visti d’ingresso anche nei periodi più bui del terrorismo. Molti di loro riescono ad inserirsi, quasi sempre però in lavori poco qualificati (pulizie, lavapiatti ecc.), si prestano anche ad attivati illecite, come il contrabbando per lo smercio di prodotti rubati o contraffatti o la ricettazione.
L’emigrazione poi va ricollegata alla profonda crisi economica ma anche politica e sociale che sta attraversando l’Algeria di questi ultimi decenni: come si può ben desumere dal saggio di Djamel Eddine Hammoum la situazione economica vede un tasso di crescita del PIL uguale a zero, una produzione industriale che ha subito un crollo del 22%, il tasso di crescita media dell’agricoltura pari  solo all’1,2% contro un tasso di crescita demografica del 3%, una disoccupazione sempre più larga che raggiunge un terzo della popolazione attiva, un servizio del debito estero che ha raggiunto i 9 miliardi di dollari, con un rapporto del 94% rispetto alle esportazioni. Tutto ciò in un paese che può contare su un’unica risorsa per l’esportazione (gli idrocarburi) e sta attraversando un’instabilità politica che impedisce una chiara strategia di ripresa e di sostegno sociale.

Liberazione, terrorismo, riconciliazione
La sfida di una ripresa economica e di una soluzione ai gravi problemi socio-economici è collegata, secondo Giuliana Sgrena, alla capacità di attuare la politica di “riconciliazione” e ricostruzione dell’attuale governo del presidente Abdelaziz Boutlefika che dal 5 luglio 1999 ha dato vita a varie forme di amnistia e “clemenza” verso gli oppositori politici in cambio della fine del terrorismo e della lotta armata che ha insanguinato il paese durante l’ultimo decennio.  Nei testi di Giuliana Sgrena, Severino Saccardi e Luciano Ardesi si cerca di fornire alcune chiavi di lettura della tormentata storia degli ultimi decenni dell’Algeria indipendente.
Uno dei problemi più importanti è sicuramente il rapporto tra Stato e Islam: se nella lotta per l’indipendenza era stato accantonato e durante la guerra prevaleva la componente laica e di sinistra, già nel 1964 era stato fatto il primo passo verso un più stretto legame tra stato e religione con la decisione di considerare l’Islam religione di stato. In seguito i governi avevano cercato un appoggio nella componente islamica della società con varie concessioni a favore di una islamizzazione dello stato, come il codice di famiglia del 1984, basato sulla shari’a, o l’arabizzazione forzata, l’imposizione come lingua nazionale dell’arabo del testo sacro al posto delle molteplici lingue parlate. L’ampio spazio concesso dai governi del FLN agli islamisti, in funzione di appoggio contro le spinte delle opposizioni democratiche e di sinistra,  è una delle cause che ha condotto l’Algeria alla crisi politica del 1991, quando il FIS, nuovo partito islamista, aveva vinto le elezioni e il regime lo aveva messo al bando scatenando per reazione la lotta armata e il terrorismo per l’affermazione di uno stato islamico.
Un altro degli aspetti della complicata realtà politica algerina è il ruolo che ha avuto il Fronte di liberazione nazionale (FLN) e l’esercito nella storia postcoloniale, dopo essere stato la guida della liberazione dal giogo francese: la “liberazione”, come ricorda Severino Saccardi, non si è coniugata con la “libertà”, e l’Algeria ha visto il susseguirsi di regimi autoritari appoggiati all’esercito e all’unico partito ammesso (FLN), fino alla crisi aperta con la “rivolta del cous cous”  del 1988, che ha aperta la stagione dei tentativi di ricreare una società democratica multipartitica, presto interrotta dal radicalizzarsi della lotta e dall’inizio del terrorismo.
Altro punto chiave della questione algerina è costituito dalla lotta per l’emancipazione delle donne che si inserisce nel più ampio movimento per la realizzazione di una vera democrazia. Le donne, che avevano avuto un ruolo importante durante la guerra per l’indipendenza e avevano ottenuto vari riconoscimenti, negli ultimi tempi hanno subito la reazione del movimento islamista che ha tentato di ricacciarle in un ruolo di sottomissione e discriminazione a partire dal Codice di famiglia, riformato in senso restrittivo nel 1984, per manifestarsi poi in modo violento nelle persecuzioni e negli stupri perpetrati dai terroristi islamisti. Le donne algerine hanno però dimostrato forza e impegno continuando a lottare per la loro emancipazione, costituendo una dei punti di forza di tutto il movimento democratico, stretto tra le limitazioni imposte dal regime militare e le violenze del fanatismo islamista. Di questa forza è testimonianza il breve video Algeria, voci di donne, in cui numerose donne algerine ci raccontano la loro esperienza fatta di discriminazioni e violenze subite, ma anche di coraggio, dignità e impegno.
L’ampia panoramica offerta dal kit multimediale “Afaq-Algeria” ci permette dunque di conoscere questa realtà, a noi così vicina, in una molteplicità di aspetti in un approccio multidisciplinare e interdisciplinare che appare una metodologia efficace per la comprensione delle realtà dei paesi del Sud del Mediterraneo all’interno del quadro delle interdipendenze e dei difficili rapporti Nord-Sud .