rom foto di roberto re In primo piano la cultura dei diritti
Intervista a Giuseppe Vettori a cura di Andrea Re

D: Chi è stato Balducci per lei? Quale eredità ha lasciato nella società fiorentina di oggi e quale nella rivista?
R: È difficile individuare l’eredità, il segno, di Balducci nella vita fiorentina, perché è un percorso lunghissimo, con fasi diverse. E’ stata una figura fondamentale nella cultura e nella vita sociale, intellettuale fiorentina, e internazionale, per più di cinquant’anni. Ha interpretato come pochi altri il proprio tempo. Dalla Firenze del dopoguerra, alle esperienze intellettuali del cristianesimo impegnato nella società e nella politica. Ha attualizzato il pensiero cristiano con una capacità di penetrazione della realtà davvero straordinaria. La forza della sua personalità  era tale da evocare un’inquietudine profonda, come forza positiva di risveglio delle coscienze per avviare alla comprensione del mondo. Il messaggio culturale è stato straordinario: tanto che le grandi tematiche degli ultimi decenni, sono state anticipate dal suo pensiero. Dal tema della cultura della pace, alla riflessione sull’uomo planetario che avvia, prima di moltissimi altri, la questione della società globale. Centrale era la sua tensione  sui limiti del pensiero occidentale e la riflessione forte sulla necessità di un confronto fra il pensiero filosofico classico e la cultura e la spiritualità orientale che troppo a lungo abbiamo ignorato. Molti hanno peccato di presunzione o capito troppo tardi.
Ho letto di recente una bellissima riflessione di Giuseppe Fozzani, un monaco Zen, dove questa idea del confronto è analizzata in modo chiarissimo. Ma scorrendo questo bel saggio non ho potuto fare a meno di pensare a ciò che Balducci aveva intuito e professato molto prima di altri. Il ritorno alla contemplazione, al silenzio, all’essere come forza maieutica per una svolta antropologica che si oppone alla crisi della società, della Chiesa, del mondo che ci circonda. Crisi che riguarda innanzitutto la dimensione umana, bisognosa di un mutamento che investa la persona, la quale non può che essere al centro di ogni mutamento e di qualsiasi riflessione sulle istituzioni. Di fronte a una società che si frantuma, che ci frantuma e ci assorbe in rivoli dove si disperde la nostra potenzialità, Ernesto ha esaltato la ricerca di sé e dell’essere che non esige l’eremo ma tutto il contrario. Le sue giornate somigliavano ad un vulcano in attività. Creava gruppi e partecipava a comunità, fondava di continuo associazioni, reti piccole o grandi, nella città e nei salotti. In tutte queste occasioni era straordinario: non si può nemmeno immaginare la forza che trasmetteva; nessuna traccia di individualismo. Dominava l’apertura, la ricerca della comunità attraverso l’incontro con gli altri. Sempre al riparo dalla soggettività coinvolgente. Tutto proteso verso un oggettività basata sull’essere. Ma nelle sue giornate ricordo che qualcuno diceva “c’era un buco”, un vuoto capace di rigenerare la sua forza. Tutto ciò è sicuramente riduttivo per descrivere un tale maestro: si ferma allo strumento (al motore) e non accenna neppure al messaggio che sarebbe impossibile descrivere in poche righe.

D: Quali aspetti della vita e delle impostazioni della Rivista “Testimonianze” le sembrano più significativi?
R: Il tratto cui sono legato è descritto dal primo sottotitolo della Rivista: “quaderni di spiritualità”. Uno strumento che consenta di analizzare e intervenire sui problemi sociali e politici, con un messaggio ispirato da una riflessione autentica che attinge all’essere e non alle cose. Da quel iniziale progetto la rivista ha avuto stagioni diverse senza dis-taccarsi dalle sue origini. Posso solo ricordare qualche periodo. L’obiezione di coscienza, il confronto con le istituzioni e con le forme rigide di una società chiusa, le esperienze sul territorio fiorentino, l’Isolotto e il rapporto difficile con la gerarchia.
Poi la stagione più intessuta di cultura politica. Il pacifismo e la cultura della pace come educazione al rifiuto di ogni forma di violenza, ma soprattutto come esigenza di un profondo mutamento dell’uomo, nei suoi contegni grandi e minuti, epocali e quotidiani. Tutto non può che partire dall’uomo. Tutto è dentro l’uomo, anche e soprattutto il male. Da qui, da questa rivelazione evangelica, si trae che ogni mutamento non può che avvenire mutando l’uomo. La cultura della pace ha questo obiettivo. Ma la sua formazione richiedeva forza e impegno continuo. Nel pensiero e nell’azione. Vi furono prese di posizione di Balducci dirompenti sulla prima guerra del Golfo. Le sue attese di un governo mondiale e le sue speranze su di ruolo dell’ONU furono deluse. Il suo dialogo con i vari movimenti e il pensiero pacifista non fu né facile né semplice. A nessun livello.

D: Lei è stato Presidente per sei anni dell’Associazione Culturale Testimonianze, in un difficile periodo di transizione (1996-2002). Quali sono stati i problemi e quali gli spunti positivi che ha ricavato da tale esperienza?
R: Innanzitutto voglio ricordare la grande importanza che ha avuto per me questa presidenza, come profonda maturazione personale e profonda esperienza di comunità che solo nell’assunzione di una responsabilità si vive in pienezza. Era un momento difficile della vita della Rivista. Segnato da passaggi molto delicati. Le difficoltà che ha sempre una comunità nel proseguire un cammino senza la guida consueta. Senza la sicurezza che alle sette di sera, attorno al tavolo della Badia Fiesolana, si sarebbe materializzata la figura imponente di Balducci che incarnava la ragione d’essere dell’Associazione e della Rivista. Da pochi anni era scomparso e si capisce come si fossero manifestate idee e propensioni diverse nel seguire la traccia lasciata da Ernesto. Eravamo rimasti senza il vertice, senza l’ispiratore, la figura carismatica. La mancanza era avvertita non da una sola realtà ma da una serie di esperienze. Tutte unite da un’appartenenza comune, ma tutte in qualche modo con un interesse, o con una sensibilità peculiare. Era difficile tracciare la strada giusta per la Rivista e per l’Associazione. È sempre difficile individuare il momento di unità fra le diversità. Richiede ascolto e capacità di interpretare. Talvolta gli eventi i fatti e le vicende personali suggeriscono le strade da seguire, più che i ragionamenti teorici. Non si può ipotizzare a livello teorico la necessità di un’agire comune o separato. Unità e divisione sono espressione del tempo. Sfuggono ad elogi astratti. Esigono concretezza e cautela. In particolare se sono diverse le strade che ognuno intende perseguire, la memoria che ciascuno intende valorizzare e far divenire parte del proprio impegno personale. Ciò che conta è l’orizzonte comune .Il punto di appoggio per guardare al futuro con il massimo di potenzialità della propria azione. Fra le varie esperienze legate alla memoria di Ernesto questo tratto è evidentissimo. Solo il futuro, e le persone che ne sapranno leggere i segni, decideranno quali sinergie saranno utili e necessarie. Di tempo in tempo.
Se è finita bene o no non spetta a me dirlo e penso che non si possa formulare un giudizio definitivo su una realtà complessa. Credo che in un certo periodo si sia seguita un’evoluzione naturale.
Innanzitutto si era posto il problema concreto della proprietà della Rivista. Sono giurista, faccio l’avvocato, credo nella forma giuridica come ci credeva Balducci. Che aveva per il diritto un grande rispetto. Lo considerava una specie di oggetto misterioso ma degno di grande attenzione. Lo riteneva uno strumento necessario capace di assicurare autonomia e indipendenza. “Testimonianze” era nata come strumento di libertà. In positivo nella ricerca di una riflessione originale e in negativo nel rifiuto di ogni condizionamento esterno, fosse anche solo quello delle gerarchie ecclesiastiche. E la libertà ha i suoi mezzi di difesa. Questa era una preoccupazione costante di Ernesto. Da sempre. Tanto è vero che il periodico fu a lungo intestato fiduciariamente a una persona (Mario Camagni) che ha sempre svolto questo compito con grandissima dignità. Consapevole di un compito svolto in maniera impeccabile, con la pienezza e la consapevolezza di assolvere una missione delicatissima. Conservare la proprietà, porla al riparo da ogni possibile interferenza formale e sostanziale, per mantenere la libertà e l’autonomia della rivista.
Il passaggio fondamentale cui ho partecipato in prima persona fu quello che portò a intestare la Rivista all’Associazione culturale Testimonianze. Dallo strumento fiduciario si passò a una struttura organizzata in forma giuridica, proprietaria della rivista. È stato un segnale importante, perché voleva manifestare anche all’esterno che l’Associazione, pur nei tratti leggeri della sua forma giuridica, era titolare e garante dell’autonomia della storia e del futuro del periodico. Questo passaggio ha reso possibili alcuni successivi sviluppi e costituisce un segno importante per il futuro. La gestione dell’associazione è sempre stata delicata. Ciascuno ha affrontato la vita concreta del gruppo con grande consapevolezza e con la precisa coscienza di avere un compito preciso. Essere titolari di una testata che aveva, e ha tuttora, un valore e un significato storico importante. Dunque una prima risposta alla sua domanda. Quel periodo ha definito la forma giuridica, e quindi l’appartenenza, che poi è sempre un tratto fondamentale dell’identità. Poi c’era da iniziare un percorso. Dopo Balducci, assieme ad altre realtà. Questa era un’altra notevole difficoltà. La Rivista procedeva e procede grazie al contributo di pochi. Maurizio Bassetti e Severino Saccardi in primo luogo. Molte altre persone hanno sempre, chi più chi meno, continuato a collaborare. Questo nucleo non ha solo garantito la permanenza di una memoria e di un messaggio. Ha fatto molto di più. Ha assicurato e consolidato un ruolo centrale di “Testimonianze” nella cultura fiorentina e non solo fiorentina, affrontando tematiche dove l’analisi della realtà socio-politica è stata sempre pienamente aderente alla lettura dell’attualità. In ciò il pensiero e l’azione di Balducci sono stati pienamente valorizzati e attualizzati, con una tensione che ha continuato a proporre “Testimonianze” come un interlocutore fondamentale del mondo culturale e politico.

D: Per entrare un po’ nello specifico. Rivedendo i suoi contributi sulla rivista è possibile rintracciare alcuni temi portanti: l’indipendenza della Magistratura, la diversità dei diritti sociali tra America ed Europa, la ricerca delle radici cristiane dell’Europa, persona e laicità. Dei tanti argomenti trattati nei suoi interventi su “Testimonianze” quali sono quelli che più degli altri in questo momento sente come decisivi nel dibattito pubblico?R: Direi che sono diversi i temi che reputo oggi rilevanti. La tematica dei diritti in primo luogo. Balducci ha avvertito in maniera lucidissima questo messaggio. Strano. Perché tutto si può dire di Balducci tranne che avesse una formazione giuridica. Non aveva compiuto studi che potessero in qualche modo avvicinarlo a queste tematiche. Eppure aveva avuto la percezione del fondamentale ruolo dei diritti, della lunga marcia dei diritti. In un suo bellissimo saggio descrive con pienezza di contenuto questo spessore dei diritti Il valore che ha avuto e può avere la dichiarazione dell’uomo del ’48, e tutto ciò che è successo nell’affermazio-ne e nella proclamazione dei diritti di libertà e dei diritti sociali. Un altro nodo teorico riguarda l’Europa. Anche questo ricorrente nella rivista. È stata una delle ultime percezioni forti, sul piano politico, di Balducci, che non ha avuto a tempo di vivere la fase più attesa e problematica. L’Unione politica dopo la caduta del muro di Berlino. Il tema è centrale. Continua ad appassio-narmi e ad esso dedico gran parte della mia attività di ricerca scientifica e della mia passione politica. Nei primi giorni di settembre ho partecipato ad un convegno, a Berlino, sulla Costituzione europea. Nel parlare dal tavolo di una prestigiosa università ho ricordato le mie radici. La forza che ho ricevuto. La determinazione tratta da una personalità che ha segnato la mia vita.
Balducci non ha mai brandito un’identità cristiana. Una frase ripeteva spesso: l’asse evangelico è il mio perno, da cui io non mi stacco neanche un frammento di secondo. Ma è un orizzonte attraverso il quale osservo il mondo. Un punto di appoggio, non è una rivendicazione di identità. Non credo che sarebbe oggi un paladino delle radici cristiane dell’Europa. Non c’è dubbio che il collante dell’Europa siano i diritti frutto anche del pensiero cristiano che ha accentuato il loro contenuto, non solo di libertà ma anche di liberazione dal bisogno e dalla povertà. Tutto ciò induce a superare le barriere non a crearle. Se l’Europa può farcela a divenire un soggetto politico decisivo per l’umanità, può farcela proprio ricercando dati comuni di confronto, superando le contingenze politiche. Anche il presente deve insegnarci qualcosa. La Costituzione Europea è naufragata per motivi così lontani da ciò che il voto richiedeva. Il referendum francese è stato un segno di protesta nazionale su contingenze politiche interne prima che comunitarie. L’Europa stenta a porsi come soggetto comune di aspettative, valori e esigenze comuni e c’è un’unica strada da percorrere. Ricercare con pazienza e con grande tenacia quei dati di fondo che possono agevolare il confronto e la creazione di un’identità sulle cose da fare, sulle realtà che possono essere oggetto di una politica comune. Con una forza ideale che non essere solo l’identità cristiana. Di essa c’è traccia evidente nella definizione dei diritti e nella centralità della Persona su cui l’Europa vuole costruire la propria legittimazione sociale e politica. Perché rimarcare con una parola una base di valori già rappresentati? Perché premet-tere ciò che può separare, dividere?
Infine l’impegno che ancora vedo attuale per la Rivista è scolpito nelle sue origini. Ed è l’analisi del proprio tempo. Come leggere il presente oggi in questa complessità? La riflessione non può che basarsi sui rapporti con la Chiesa, con la spiritualità, con il mondo sociale, con le modalità di esercizio della azione politica. Il confronto con la filosofia, l’incontro delle culture fra Occidente e Oriente. Leggere il presente oggi significa non premettere facilmente assoluti. Non pensare di usare vecchie categorie. Ricercare in modo continuo il dialogo, il confronto. Significa capacità di creare attorno alla Rivista una “simpatia” che consenta di coinvolgere tutti. Lettori, uomini e donne interessate e appassionate alla crescita propria e della società, piccole e grandissime penne. Piccole, grandi e grandissime teste.

D: Un tema particolare dei nostri tempi è il concetto di persona, a metà tra definizioni giuridiche e questioni etiche. Quali spunti pensa di poter proporre per il dibattito etico-politico dei nostri giorni?
R: La cultura occidentale ha elaborato con pienezza il concetto forte di Persona ma è arrivata a esaltare sempre più il nichilismo, la tecnocrazia, l’arresto sconsolato di fronte al nulla. La cultura orientale si è incamminata verso una direzione diversa. In essa il nulla, l’altro da sé, l’abisso che c’è al di là della ragione è sempre stata una dimensione valorizzata e vissuta.
D’altra parte il pensiero orientale è povero di riferimenti per il valore dell’individuo e del suo valore irripetibile. Sono allora evidenti i motivi di confronto. Uno dei grandissimi meriti della cultura occidentale è la costruzione del concetto di dignità dell’ essere umano in quanto tale. Questa idea stenta ad affermarsi in quella orientale. Per questo dico che il confronto può portare a un arricchimento reciproco. Lo statuto della “persona” è una grande costruzione del pensiero che va arricchita giorno per giorno sino a penetrare nella dimensione quotidiana, scandita dalle sentenze dei giudici ma anche dalla informazione dei giornali, e dalle istituzioni europee ad ogni livello. La formula giuridica della dignità sta diventando la verità della persona, come appare dai casi limite entrati di prepotenza nella decisioni dei giudici e nella riflessione filosofica.
Note sono oramai le decisioni sul cosiddetto lancio dei nani. Il caso si è verificato a cavallo tra la Francia e la Germania ove transitava uno spettacolo circense basato appunto sul lancio di nani, sparati contro le pareti di un tendone da un cannone. La rappresentazione è stata vietata dalle autorità francesi perché lesiva della dignità, ma tale decisione è stata oggetto di grandi discussioni. Lo stesso nano protagonista dell’esibizione non voleva si interrompesse lo spettacolo, frutto per lui di lauti guadagni. Alla radice c’era e c’è un questione di fondo: chi stabilisce il contenuto della dignità? La si può definire in maniera soggettiva, lasciando al singolo di decidere ciò che, per lui, costituisce lesione di tale prerogativa personale? O la dignità è un valore oggettivo che va accertato a prescindere dalla sensibilità personale. È inutile negarsi che le posizioni possono essere diverse ma il potere politico-giudiziario in Europa rivendica la possibilità di sindacare manifestazioni, aspetti della vita sociale e individuale che siano contrari al valore fondamentale della dignità.
Il caso Omega è ancora un esempio. In Inghilterra si sono ideati e fabbricati gli strumenti per il funzionamento di parchi dove il gioco consiste nel simulare l’uccisione dei partecipanti con un raggio laser. In Germania si è vietato questo passatempo. La Corte di giustizia europea ha ritenuto legittimo il divieto del libero commercio di questi giochi perché lesivi della dignità della persona, costruita come un valore intangibile e superiore a qualsiasi libertà economica di circolazione dei beni.
Gli esempi attestano la necessità e le difficoltà di costruire un concetto forte di dignità come modello identitario di una cultura da confrontare con esigenze e valori diversi. Certo proprio perché la costruzione del concetto di persona ha radici millenarie nel pensiero occidentale, la contaminazione culturale non tollera rotture e semplificazioni, ma evoca processi di lungo periodo. Basato su uno strumento solo. Il dialogo.