tramonto

Ernesto Balducci, un mistico
di Lodovico Grassi
Che Balducci sia stato un mistico, confessore della fede cristiana, oltre che indagatore dell’esperienza religiosa universale, è il filo conduttore e la chiave interpretativa imprescindibile per comprendere, pur rifuggendo da ogni interpretazione e riduzione di carattere «spiritualistico», la profonda unità della sua vita e della sua opera.
 
 
Il cristiano del futuro
«Il cristiano del futuro sarà mistico o non sarà». Così più volte l’ultimo Rahner, di cui il Leggere Karl Rahner (1) ripercorre l’itinerario teologico e spirituale vissuto nel segno di questa affermazione.
Ecco, Balducci uomo e cristiano del futuro «L’uomo del futuro o sarà uomo di pace o non sarà» è stato un mistico (2).
E qui si apre il discorso su Balducci confessore della fede, mistico e teologo dell’esperienza mistica, oltre che indagatore a tutto campo dell’esperienza religiosa universale.
Un discorso delicato e difficile, ma imprescindibile e fondamentale per la comprensione della sua vita e della sua opera (3).
Chi gli è stato vicino o lo ha avvicinato – negli spazi della comunicazione liturgica o di quella personale e spirituale – può testimoniare che abitava in lui un fuoco segreto capace di divampare all’esterno (nella predicazione, nella meditazione e nel colloquio, ma anche, con sprazzi improvvisi, nelle conferenze, nei dibattiti e negli scritti d’intervento), per poi tornare a rinchiudersi nella cella del cuore, nel centro della sua persona. Un’esperienza di fede ad alto grado di intensità e di coinvolgimento esistenziale. Per avvertire e discernere questa esperienza – di cui Balducci ha parlato e scritto direttamente rare volte – si presuppone (e in questo senso il discorso è «delicato») il dono della fede; ma (e in questo senso il discorso è «difficile», ma non impossibile) anche una razionalità aperta e non dogmatica – si pensi al Bergson de Les deux sources – può raccoglierne gli indizi e le manifestazioni, perlustrandone la fenomenologia con attenzione e rispetto. In questo senso il «registro antropologico» che Balducci ha applicato a Francesco d’Assisi potrebbe essere, in modo analogico, applicato a Balducci. Non è un caso, né un eccesso di simpatia spirituale, che Benedetto Calati abbia potuto dire, nel contesto di una celebrazione eucaristica, che la vera autobiografia di Balducci è il suo Francesco d’Assisi. Non la parallela «storia di un’anima», ma l’espressione di una sintonia, di un’affinità elettiva, spirituale e profetica, l’affermazione della stessa radice dell’esperienza mistica: la fede nel Dio di Gesù Cristo, nella Parola consegnata alla Scrittura (norma normans), accolta, vissuta e annunciata nello Spirito.
 
 
«Notte oscura» e radicalità della profezia
«… L’indefessa missione di annunciatore della Parola nel contesto dell’eucarestia è stato il filo conduttore della mia vita che non si è mai spezzato» (4).
Con questa «tesi» non si vuole certo operare una impossibile riduzione spiritualistica della complessità, ricchezza e molteplice fecondità di uno straordinario itinerario umano, culturale e politico, ma indicarne la radice, il segreto, la condizione di tenuta, senza di che non si capisce fino in fondo nulla, né delle coraggiose aperture dell’inizio né degli ultimi estremi coinvolgimenti, né della stessa laicità progressivamente conquistata e irremovibilmente proclamata e vissuta.
Quell’itinerarium mentis in hominem che acutamente è stato indicato come chiave interpretativa e specificità della ricerca e dell’azione, della testimonianza pubblica, culturale, teorica e pratica di Balducci, è sotto questo profilo il passaggio attraverso una radicale via «purgativa» senza soluzioni di continuità con una via «illuminativa» ed una via «unitiva» di particolare intensità.
La notte dell’Occidente è anche una «notte oscura», la svolta antropologica ha come premessa non l’appiattimento ma la radicalità della profezia, l’uomo planetario non è il punto d’arrivo o la meta ideale di una transizione storica senza fondamento, la pace non è solo opus justitiae humanae:
«Ci tengo a testimoniare che lo svolgimento del discorso sulla pace viene a coincidere, materialmente, anche se non sempre formalmente, con l’attualizzazione della profezia evangelica. Insomma, sebbene mi trovi, per usare una qualifica ormai desueta, in zona laica, non mi sposto di un capello dal mio asse evangelico. Più che di una transizione alla laicità, come a volte mi è avvenuto di dire, si tratta di una immersione della laicità nella profezia, di una iscrizione della razionalità comune dentro il cerchio di un orizzonte che ha misure ben più vaste di quelle della ragione; è lo stesso orizzonte dell’uomo possibile, su cui batte la stessa luce che, nei momenti di preghiera, illumina il mio occhio contemplativo. La mia è, dunque, per usare l’espressione di un Padre greco, una fuga immobile» (5).
Dagli scritti degli anni 50 e 60 alla theologia crucis e alla teologia negativa presenti anche ne La terra del tramonto, il «filo conduttore» si evolve, innerva scansioni, rotture e discontinuità in senso forte – non necessariamente in direzione di un continuo «superamento» –, ma resta sostanzialmente intatto. Non so se Balducci avesse un «memoriale» come quello di Pascal; ciò di cui sono sicuro è che egli ha vissuto almeno quella stessa esperienza.
 
 
L’esperienza religiosa
Gli scritti del 1954 e del 1962, che sono meno noti, ci parlano di un Balducci statu nascenti e insieme già indagatore maturo dell’esperienza religiosa.
L’esperienza religiosa (6) è il titolo di un volumetto di poco più di 100 pagine, ma densissimo e significativo, in cui Balducci riscrive – salvando la maggior parte del testo e cancellando, per ragioni presumibilmente editoriali, le ricchissime note – un saggio intitolato L’anima e l’esperienza religiosa (7).
In AER Balducci mostra, nelle note e nella bibliografia di riferimento, di essere aggiornato sui principali studi relativi al tema; in ER implicitamente rivela, per la parte aggiunta e anche solo per variazioni di linguaggio o di una sola parola, la maturazione teologica maturata a cavallo tra gli anni 50 e gli anni 60 attraverso la lettura e talvolta la conoscenza personale dei teologi europei più rilevanti e incisivi nella stagione conciliare.
In apparenza rapsodico ed eclettico, Balducci segue una sua linea che lo porta ad assimilare e trasfigurare con un metabolismo veloce ma non arbitrario: è vero che sempre meno ama citare le fonti (per «noncuranza» e malcelata disistima nei confronti dello stile accademico), ma ciò va letto, mi pare, come assunzione in proprio della responsabilità di quello che dice, senza appropriazioni indebite e per rispetto delle originalità a cui la sua indiscutibile originalità si è alimentata ed è divenuta capace di volare da sola (ma sono frequenti in tutto il suo iter di originalissimo «saggista» espliciti riconoscimenti di debito ed espressioni di gratitudine).
Nella sua molteplice attività di oratore famoso e richiesto, di conferenziere, di scrittore, di annunciatore della Parola nel contesto eucaristico, Balducci dispiega i suoi doni eccezionali di intelligenza, di intuizione creativa, di eloquio spontaneo e rigorosissimo (non ha mai, se non costretto, trascurato la preparazione immediata pur avvalendosi di una sempre più vasta preparazione remota) e, soprattutto, il suo carisma di uomo di fede totalmente consegnato a Dio e allo Spirito creatore che soffia quando e dove vuole. Di tutto questo Balducci è stato consapevole, con timore e tremore che la sua aisance in ogni contesto non riusciva sempre a coprire. In questo Balducci è rimasto sostanzialmente fedele ai criteri messi a punto negli anni della formazione a Roma: se il «metodo» allora quasi ossessivamente cercato con ripetuti propositi è ormai diventato elemento del suo vivere, parlare, scrivere, agire, resta la sofferta dialettica tra l’umiltà trepida (e in continua attesa: praestolari cum silentio!) e la consapevolezza di una vocazione eccezionale e di una missione specifica da compiere nel mondo.
In AER e in ER Balducci si pone come studioso e anche, in qualche modo, storico diacronico e sincronico dell’esperienza religiosa universale. Non è, e sa di non esserlo, «neutrale». Anzi, rivendica per il credente una particolare abilitazione a parlare di esperienza religiosa e di mistica.
È bene, a questo punto, lasciargli la parola.
«Il soggettivismo religioso disconosce il dogma ed il comandamento per lo stesso motivo per cui disconosce la struttura razionale della fede. Ogni volta che un gruppo di uomini professa una religione di carattere nettamente determinato, non mancano mai credenze collettive il cui valore formale non è il sentimento di chi le accoglie ma la divina autorità che le impone. E la psicologia più acuta concorda con l’etnologia nel metter in rilievo l’importanza della lettera per lo stesso sviluppo dello spirito religioso, la sua efficacia, vorrei dire maieutica e dinamica. Le pagine di Blondel a tale riguardo sono indimenticabili. Se la religione è amore, essa è piuttosto amore effettivo che amore affettivo, né basta, per essere religiosi, sentire le cose di Dio, ma occorre volerle. Volerle, si capisce, così come il Dio creduto si è degnato di imporre: la sua imposizione per la coscienza religiosa è gaudioso privilegio di cui essa non saprebbe fare a meno» (8).
«Nessuna metafisica può esaudire i voti più segreti che agitano lo spirito umano e da cui essa stessa prende le mosse. (…) Non è forse questo il motivo per cui le dimostrazioni logiche dell’esistenza di Dio non bastano a provocare l’adesione intellettuale, nonostante la loro oggettiva validità? Forse esse presuppongono come preambolo una specie di cognizione immediata ed oscura dell’Assoluto in noi. Nessuna dialettica è capace di persuadere invincibilmente della realtà dello spirituale. In rapporto allo slancio della nostra natura, le argomentazioni metafisiche non sono che linee direttive, trame sottili d’orientamento: solo l’esperienza le può riempire di un contenuto reale, introducendo la persona vivente in contatto con Dio, secondo le norme che la ragione riesce ad anticipare» (9).
In AER e in ER Balducci percorre in lungo e in largo, con dovizia di citazioni nonostante la relativa brevità dei testi, l’esperienza religiosa cristiana e non, quella dei «mistici» e quella dei «comuni» cristiani, enunciando i criteri di discernimento di ogni autentica esperienza della mistica cristiana (10), ribadendo più volte «che la natura e la Grazia, nella loro ideale dimensione, sono l’una radicata nell’altra, in piena e prestabilita armonia» (11), indicando, come cristiano partecipe, in modo imperfetto ma realmente incoativo, della loro esperienza, che nel volto dei mistici «scopriamo il nostro volto futuro, l’anticipazione di un’esperienza che diventerà normale quando avremo deposto il peso ed il limite della nostra mortalità» (12).
 
 
La lezione di Blondel
Il trait d’union più forte di AER e ER con il primissimo Balducci della formazione romana è da rintracciare senz’altro nella lezione del Blondel, soprattutto de L’Azione, a cui il giovane Balducci aderisce con convinzione ed entusiasmo per la sua valenza liberatoria.
Nel suo diario (1943) scrive: «Belle pagine sull’efficacia della pratica sulla volontà (IX 205-210)
a) “l’azione è una parte integrante dell’intuizione, la vivifica e la illumina e avvia la volontà verso i suoi fini, col definirne a poco a poco e con l’attrarne l’ideale”
b) “Mediante l’azione l’intenzione morale s’insinua nelle nostre membra, fa battere il nostro cuore e cola la sua propria vita nelle nostre vene…”
Non credo opportuno soffermarmi qui a sviluppare questi concetti poiché dovrò tra breve considerare su lo stesso argomento altre pagine, sempre del Blondel, di sì meravigliosa novità e bellezza che alla prima lettura non ho saputo tenermi dal saltare di gioia nella mia camera. Una grande luce si è fatta nell’anima mia (5 gennaio 1943)».
In Blondel Balducci trova insieme il capovolgimento delle sue convinzioni intellettuali (gennaio 1943) e la conferma della giustezza delle sue aspirazioni spirituali più profonde: «”La bellezza ha un incanto che va ben oltre e ben al di sopra di chi la sente e di chi ne è rivestito… È un sentimento che per la sua stessa ampiezza e per il suo irradiamento diventa un’angoscia e un mistero; quasi che, in ciò che amiamo, la nostra ammirazione fosse rivolta a un lontano e più possente amore, di cui la bellezza conosciuta sarebbe un puro simbolo inadeguato” (Blondel X 40).
O Cristo Cristo sei tu la misteriosa bellezza cui si volge il mio amore? Non sento forse io una insoddisfazione anche quando ammiro?
Tutto che fa vibrare l’anima mia o Cristo è un riflesso di te Bellezza eterna. Ed è in te che io potrò compiere l’armonica sintesi tra verità-Bellezza e amore (10 gennaio 1943)».
E ancora: «Ed eccomi alle pagine più interessanti del libro del Blondel (X, 265-279).
Quante volte mi ha turbato il pensiero che nella nostra religione il soprannaturale scende nei particolari della vita pratica con segni materiali! Credere che, sotto la determinazione particolare dei dogmi, dei riti, e delle pratiche il trascendente sia immanente senza nulla perdere della sua infinità mi sembra a volte alquanto superstizioso. Ebbene, il Capitolo del B.[londel] Valore della pratica letterale ha dissipato ogni mio turbamento (13 gennaio 1943)».
Aggiungiamo una nota significativa: nell’originale francese del 1893 (Balducci aveva a disposizione nel 1943 solo una traduzione italiana), alla settima pagina del Capitolo citato, e precisamente a p. 411, il titolo corrente suona così: «la lettre vivifiante et libératrice» (espressione che non compare nel testo, ma certamente blondeliana) e costituisce la chiave di lettura di tutto il capitolo e, in qualche modo, dell’intero capolavoro di Blondel (13).
Con questo «sigillo» chiudiamo una riflessione destinata a più sviluppi proprio nell’odierna congiuntura teologica rispetto alla quale la lezione di Balducci, e la sua anagrafe, non è irrilevante.
 
 
La spada in pugno
Un intreccio fecondo, dunque, quello di Balducci, fra l’esperienza (e la teologia) della fede e l’impegno culturale e politico nel mondo, la cui tempestività e la cui valenza profetica si possono misurare a partire non solo da alcuni esempi testuali e fattuali, ma dalla continua attività itinerante di conferenziere e dallo stabile esercizio pastorale nella comunità di residenza (e oltre) e dal 1965 soprattutto nella comunità di Badia Fiesolana.
Balducci uomo della ricerca spregiudicata, del confronto continuo con la quotidianità politica e culturale, dell’impegno per un futuro migliore dell’umanità fino all’utopia dell’uomo planetario, era dunque saldamente radicato in una fede che costituiva per lui il segreto di tutto. Il senso della vita, del suo destino personale e della sua missione nel mondo erano legati a questo nucleo: Balducci non amava esibire la sua fede, piuttosto la occultava, ma anche il non-credente percepiva che dietro quell’intelligenza straordinaria palpitava una adesione a Cristo appassionata e irrinunciabile. Si pensi alle pagine intense in cui Balducci descrive il suo incontro con Mazzolari e l’emozione provata nel servirgli la messa e nel leggere, giovanissimo, un suo libro (Compagno Cristo): «In quel momento – confessa Balducci – sentii che un fuoco cresceva dentro di me e che mi veniva messa in pugno una spada che non mi sarà più lecito riporre nel fodero».
Purtroppo alcuni hanno frainteso l’impegno degli ultimi anni della vita di Balducci, come se si fosse dimenticato della dimensione ecclesiale o addirittura avesse messo in secondo piano la fede in favore di un «piatto umanesimo». La Chiesa era per lui lo spazio vitale, come la sua comunità religiosa; solo che egli la intendeva come eucaristia, in un senso molto più ampio e vitale della struttura puramente giuridica.
 
 
Dalle religioni alla religione
Parlando di sé una volta Balducci confidò: «Sono partito dalla religione e ora vi ritorno dopo un lungo periplo». Il giovane Balducci parte dai testi classici della teologia tradizionale, però, facendo tesoro della lezione di Blondel, comincia a leggerli in maniera diversa. Recupera, ad esempio, quella tensione verso l’assoluto che è insita nella natura umana e che si esprime attraverso la religione. In questa fase fede e religione sono agglutinate. Ci vorrà del tempo prima che incontri Barth e Bonhoeffer, il primo critico radicale della religione, il secondo teso ad esprimere i contenuti e i concetti biblici in modo mondano. Allora la distinzione fede-religione si fa più netta, anche se bisogna ammettere la difficoltà di una fede pubblica che non si esprima in forme in qualche modo religiose. Il Balducci dell’ultimo periodo riscopre la religione scoprendo le religioni. Dove si riscontra questa svolta? Ne fa fede soprattutto L’uomo planetario, in cui pone il cristianesimo come una religione accanto alle altre. In quest’opera Balducci mette sotto inchiesta le religioni e le accusa di non aver superato la «barriera» dello stato di diritto, quella sociale e infine quella della pace. Di fronte al tradimento delle chiese, è stato proprio l’illuminismo a riprendere i valori cristiani fondamentali; eppure l’ispirazione cristiana originaria non si è mai spenta e continua a fermentare sotterraneamente la cultura occidentale.
Balducci critica la modernità non per un pregiudizio antimoderno, ma in nome dei valori giusti che essa ha veicolato. Comunque «il ritorno alla religione» significava per Balducci un mettersi nella condizione esistenziale di un non credente, come uomo accanto ad altri uomini perché nessuno sa se la sua fede è autentica e anche il credente sente l’esigenza di chiedere: «aiuta la mia incredulità».
 
 
Come un testamento spirituale
Altrove (14) ho avuto modo di dire che per me L’uomo planetario è l’opera più matura e più mistica. Anche la conclusione «non sono che un uomo», di cui Balducci non poteva non ricordare l’anagrafe neotestamentaria (Atti 10, 25-26: Pietro che dice al centurione prostrato «Alzati, anch’io sono un uomo»), è un momento di teologia negativa, una conclusione forte che riassume tutto un itinerario. La terra del tramonto scandisce le «figure» storiche del cammino umano ed è opera tragica pur nell’intenzione prolettica evidenziata nel sottotitolo (Saggio sulla transizione). Emerge qui l’epifania dell’Altro. L’Altro, un orizzonte profetico è, insieme a La terra del tramonto, come un testamento spirituale, tra la rivoluzione della memoria e l’istanza della Cosmopoli (Il sogno di una cosa!). Le due ultime opere di Balducci risentono del ritmo più che umano della inesauribile sua disponibilità ad accorrere dovunque fosse chiamato a scrivere articoli e interventi, a parlare e a confortare. È nello stesso tempo di questa eroica produzione che Balducci, invitato, pochi mesi prima della morte, dal suo padre provinciale (e amico fraterno) a fare gli esercizi spirituali, risponde: «Vengo molto volentieri perché la cosa che mi interessa di più ora è la spiritualità».
 
 
L’ultimo Balducci
Ma la vera opera conclusiva di Balducci è la pubblicazione postuma delle ultime omelie (15). In queste omelie, come sempre in Balducci, è presente, non sempre in modo esplicito, il riferimento alla storia e all’attualità. Esse fanno parte del vissuto etico-politico dell’ultimo Balducci, quello degli anni 1989-1991: gli anni del crollo del muro di Berlino e del comunismo; gli anni della prima guerra del Golfo che lo vide coinvolto a più livelli in prima persona e lo vide sperare nel «primo vagito» dell’ONU (speranza dell’uomo di pace, non del pacifista) e patire la sconfitta del «rantolo di morte», dei documenti (e delle strutture di pace) emersi dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e ora galleggianti sulla melma nera della guerra.
La prima omelia, del 1 dicembre 1991 (pp. 13-20) ha come titolo «Il sogno di una cosa». Significativa è la conclusione: «Nell’arco della mia vita questo è il momento più deludente perché sono cadute molte speranze, non importa se mal riposte. A me interessa il sogno dei popoli, delle persone, dei poveri e se quel sogno va deluso la storia è priva di senso, siamo dentro il dominio della menzogna. Ma invece – ecco dove una fede che è insieme teologale e morale mi sorregge – questo sogno non finirà. Ne vedo i segni da ogni parte del mondo, vicino a me lontano da me. Non sono però i segni su cui chiede attenzione l’organizzazione dell’informazione che fa parte della dissipazione pubblica onnipotente (…). Siamo dentro una società che ci spreme nel midollo per far venir fuori bisogni impensabili in quanto essa vive sui nostri bisogni e quindi ci impedisce di prendere contatto con noi stessi (…). Non è vero che siamo progrediti perché il progresso va misurato sul consenso interiore e sulla realizzazione di questo sogno di una cosa che è il regno della giustizia sulla terra, come dice Geremia: “Egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra”. No, quel giorno non è venuto, è ancora lontano, dobbiamo stare con la testa alzata per vedere i segni. Ogni attimo è l’attimo in cui squilla il segnale della vicinanza dell’adempimento se abbiamo orecchi da intendere».
La prima omelia dovrebbe essere letta sinotticamente con quella dell’1 gennaio 1992 (pp. 59-67), che ha per titolo «Le speranze ferite». Balducci tentato dal pessimismo? Forse, ma più opportuno evocare l’ottimismo tragico del suo amato Mounier.
L’ultima omelia, quella della Pasqua (del 19 aprile 1992) ha per titolo «Le pietre dei sepolcri». Avviandosi alla conclusione Balducci evoca sorprendentemente il diavolo e cioè la menzogna di cui dobbiamo liberarci: «La logica della crocifissione è capovolta, è diventata logica di dominio. Da questa premessa è stato possibile lo sterminio degli indios, più terribile ancora dei forni crematori. Tutto questo lo dimentichiamo. La nostra fede religiosa si libera dai brutti ricordi, li emargina per vivere nella soddisfazione di sé. Ma così noi non troveremo la fede nella resurrezione (…). Noi sappiamo che significa resurrezione per l’umanità, significa che la gran parte degli uomini esca dal potere del diavolo. Io non voglio dire i nomi del diavolo, ne ho tanti in mente, comunque sono nomi che indicano il calcagno posato sulla testa del povero, la bocca tappata di chi ha verità da dire, la dimenticanza, nell’euforia pubblica, di quelli che non possono partecipare al nostro banchetto, perfino nella società opulenta. Leggevo che nell’Europa del benessere ci sono trenta milioni di poveri sotto il livello minimo della vita. Chi si ricorda di loro? Liberarsi dal diavolo vuol dire liberare anche noi stessi, liberare da questa menzogna; cioè, per ripetere le parole simboliche di Paolo, significa “celebrare questa festa non con il lievito di malizia e di perversità ma con azzimi di sincerità e di verità”. Non voglio dire altro».
 
1 A. Raffelt, H. Verweyen, Leggere Karl Rahner, gdt 301, Queriniana, Brescia 2004, pp. 145-149.
2 Per un orientamento ampio e universale sulla mistica si vedano: voce mistica in Dizionario critico di teologia, a c. di J.-Y. Lacoste – ed. italiana a c. di P. Coda –, Borla – Città Nuova, Roma 2005; voce mistica in Teologia, dizionario a c. di G. Barbaglio, G. Bof, S. Dianich, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2002;
voce mistica in Enciclopedia delle religioni, a c. di A. M. Di Nola, Vallecchi, Firenze 1970-1975.
3 Per questa comprensione si veda il Cerchio che si chiude, intervista autobiografica a c. di L. Martini (d’ora in poi CCSC). Ma del compianto e sempre presente Luciano Martini si veda l’opera La laicità nella profezia. Cultura e fede in Ernesto Balducci, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2002, assolutamente fondamentale e tuttora unica.
4 E. Balducci, CCSC, op. cit. p. 144
5 E. Balducci, CCSC, p.153.
6 E. Balducci, L’esperienza religiosa, Borla Editore, Torino 1962: d’ora in poi ER.
7 E. Balducci, L’anima e l’esperienza religiosa, pubblicato nel volume collettaneo a cura di M. F. Sciacca, L’anima, Morcelliana, Brescia 1954, d’ora in poi AER.
8 E. Balducci, ER, pp.24-25.
9 E. Balducci, ER, pp. 32-33; in AER, p. 246, Balducci cita Maritain in nota e, nella nota precedente, rinvia sul punto a Tommaso d’Aquino: «L’ultimo passo della nostra conoscenza di Dio è nel conoscere che non lo conosciamo», In Boëtium de Trinitate, I, qu. 4, a. 1.
10 E. Balducci, ER, pp.79-80.
11 Ivi, p.104.
12 E. Balducci, ER, p.104; AER, p.261.
13 M. Blondel, L’action, 1893.
14 Un mistico un po’ particolare, colloquio con L. Grassi a c. di A. Rossi, «L’altrapagina» n. 5, maggio 2002, pp. 23-24.
15 E. Balducci, Il tempo di Dio, Ultime omelie (Avvento 1991 – Pasqua 1992), Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Firenze), 1996.