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De Gaulle e “Le Monde”, una metafora per l’oggi?
di Walter Veltroni

I giornali «di carta» sono stati dati tante volte per morti. Invece, hanno superato sfide importanti: dalla nascita del telegrafo (che fu,anzi, alla base, della nascita del giornalismo moderno) alla concorrenza della radio e della televisione. Le nuove dimensioni di internet e della «multimedialità» rappresentano certamente dimensioni nuove e dirompenti.
Interrogarsi sul futuro dell’informazione equivale, dunque, a porre il problema di un nuovo rapporto fra «fatti» e commenti e del possibile ruolo di grandi istituzioni culturali capaci di garantire approfondimento e serietà della comunicazione.

Il telegrafo e il breviario

La carta stampata è morta e risorta tante volte. Nel 1845, a minacciarla fu la nascita del telegrafo, la trasmissione rapidissima di notizie che sembrava destinata a spazzare via i quotidiani. Un celebre personaggio del tempo, James Gordon Bennett, direttore ed editore del New York Herald, sicuro di assistere alla fine di un’epoca, scrisse: «Quanto alla carta stampata, sperimenterà in maniera fatale gli effetti della nuova modalità di circolazione dell’intelligenza». Non solo la profezia di Bennett non si verificò, ma il telegrafo significò la nascita del giornalismo moderno. L’arrivo rapido più che mai di notizie permise la professionalizzazione del mestiere e la brevità cui obbligava il mezzo di trasmissione fu all’origine delle famose cinque W (who, why, when, what, where) che ancora oggi costituiscono il breviario delle scuole di giornalismo.
Accenti apocalittici come quelli di Bennett, non rimasero limitati all’invenzione del telegrafo. Simili allarmi sarebbero stati lanciati con la scoperta della radio, prima, e con l’arrivo della televisione, poi. Come dimenticare Radio Days , dove il giovane Woody Allen passa giornate intere ad ascoltare la radio, sgridato dalla madre convinta che faccia male alla salute? Il piccolo Woody era attratto dai feuilleton, certo, ma gli adulti di quegli anni, letteralmente incollati ai radiogiornali, erano convinti che il futuro dell’informazione fosse via etere. Per fortuna, avevano torto. Ma se siamo arrivati fino a oggi, se la carta stampata ha conosciuto i successi e la diffusione spettacolare del Novecento, è perché i giornali hanno dimostrato di avere qualcosa in più, del telegrafo, della radio e della televisione. E di Internet?
La sfida della rete è senza dubbio la più difficile. Poiché permette una velocità di informazione senza pari, ma anche una varietà di linguaggi che non appartiene a nessun altro. È come se la televisione, la radio, la carta stampata, la saggistica, la letteratura e quant’altro si fossero fusi miracolosamente in un unico mezzo. Notizie viaggiano da un capo all’altro del pianeta, portando con sé sensazioni, dati, informazioni, approfondimenti, narrazioni, immagini. Una varietà di dati trasmessi simultaneamente su computer sempre più accessibili. In un certo senso, la definizione stessa di «notizia» ha perso il suo significato tradizionale e non a caso molti analisti americani parlano ormai da tempo di giornalismo-spettacolo, di «infotainment», specie nuova e molto potente. Così, se negli anni Ottanta i giornali avevano reagito allo strapotere della televisione, dedicando spazio ad approfondimenti che il linguaggio volatile delle immagini non permetteva, ora è in dubbio anche questo. Perché se la rete si serve di immagini, è fatta anche di testi scritti che possono essere letti e riletti, quasi come su carta stampata.

Una rivoluzione profonda

Ecco, così, i quotidiani alla ricerca ancora una volta di una nuova identità. Tanto più che il successo di Internet è dovuto a una rivoluzione profonda, a ritmi di vita mutati, a un tempo sempre più esiguo per la lettura, a maggiori informazioni e stimoli, magari anche superficiali, ma resi comunque irrinunciabili dalla complessità del mondo globale. Alcuni hanno mirato a raggiungere la porzione di livello più elevato dei lettori e hanno tentato la pista del giornale d’opinione, più snello, approfondito e commentato, che informato. Altri, come nel caso di tanta stampa di destra, stanno cercando di intercettare il disorientamento dei cittadini in società sempre più frammentate dalla globalizzazione, puntando sul senso di appartenenza a una comunità politica o ideale. Altri ancora, interpretando in modo diverso il bisogno diffuso di identità, stanno tentando la strada del radicamento territoriale. Altri, infine, hanno investito in free press di qualità, interamente finanziata dalla pubblicità e quindi concorrenziale con il basso costo dell’accesso a Internet.
Per il momento, ancora non è chiaro se tra queste strade ce ne sia una giusta. Quel che è chiaro a tutti, è che la via d’uscita sta nella capacità di reinventarsi, di ridiscutere innanzitutto la divisione tra fatto e commento tipico del giornalismo tradizionale. Proprio con questa intenzione, si è sempre più diffuso il genere giornalistico della «news analysis», una notizia interpretata, un fatto presentato da un punto di vista analitico che, per rispondere a un mezzo come la rete efficacissimo nel dare notizie dettagliate e in tempo reale, dovrebbe rendere più appetibili e meno sostituibili i giornali di fronte al fast food dell’informazione. Un altro tentativo è quello di trasformare i quotidiani in forma sempre più monotematica, privilegiando modalità di lettura che la rete non riesce a soddisfare.
Se Internet ci permette di focalizzare l’attenzione su un tema, su un articolo, su un approfondimento, infatti, il piccolo spazio di uno schermo non permette la consultazione simultanea, non permette di spaziare in ampie pagine coerenti costruite come un grande palinsesto dove ogni tassello richiama l’altro. Non è possibile neanche sullo schermo super tecnologico di un i-pad. Al massimo ci sarà concesso di «zummare» su un dettaglio, o di navigare tra le maglie di una rete ampia quanto indefinita. A Internet, cioè, manca l’esprit de système. Ma gli manca anche il piacere estetico dell’oggetto, il gusto con cui la mattina si spagina un giornale ancora nuovo. Una qualità di lettura che lascia il tempo alla riflessione, che permette di interagire fisicamente con idee che restano ferme, solide davanti a noi, nero su bianco. Le celebri parole di Umberto Eco sul destino e la natura dei libri, così, potrebbero rivelarsi vere anche per la carta stampata dei giornali. Ingannati dall’idea che tutto ciò che è moderno è segno di progresso, non ci accorgeremmo che la scrittura impressa su carta è un’invenzione carica di valore simbolico e probabilmente «impercettibile». Il rischio, allora, non sarebbe la scomparsa della carta stampata, ma la crisi dei giornali «generalisti» pensati più per la consultazione che per la lettura. I quali, soppiantati dalle edizioni on-line, in edicola cederebbero il passo alle riviste specializzate e a quotidiani di alta qualità, anche grafica, destinati a comunità omogenee di lettori.
Ogni epoca ha i suoi linguaggi e i suoi mezzi per esprimere idee, istanze, sentimenti. E, a giudicare dalla rete la nostra, definita spesso «età dell’informazione», appare ricca come non mai di sapere e di vitalità. Il problema che si pone, allora, è quello di razionalizzare la babele di informazioni che la società riversa nella rete senza sosta, creando punti di riferimento certi on-line. Un po’ come fece il generale De Gaulle alla fine della guerra quando, volendo un’istituzione che stimolasse una concorrenza basata sulla deontologia e sulla verità dei fatti, incoraggiò la nascita di un’istituzione autorevole come «Le Monde» con cui tutti gli attori del mercato dell’informazione furono obbligati a confrontarsi. Seguendo un ragionamento analogo, nel mondo della cultura italiana si è discusso a lungo se rendere l’enciclopedia Treccani accessibile gratuitamente on-line per incoraggiare strumenti aleatori come Wikipedia alla verifica delle proprie informazioni. Perché non abbracciare il futuro con coraggio e riflettere su misure come queste?