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Barack Obama: primi passi di un nuovo inizio
di Simone Siliani

Non sono stati necessari i canonici 100 giorni per avere un primo assaggio della linea politica inaugurata dal nuovo inquilino della Casa Bianca. Barack Obama, nei primi dieci giorni della sua presidenza, ha già adottato una serie di provvedimenti che hanno invertito decisamente la rotta della politica americana sconfessando tutto l’operato del precedente presidente.

Fiumi di inchiostro
Sono stati versati i proverbiali fiumi d’inchiostro sulla novità epocale costituita dal primo presidente afro-americano degli Stati Uniti d’America. Quasi tutto è stato detto sul suo curriculum vitae, sulla sua capacità comunicativa, sullo spettacolo della cerimonia dell’insediamento, sul valore politico-simbolico delle sue parole. Ma molti si chiedevano se l’azione di governo sarebbe stata all’altezza delle aspettative di cambiamento suscitate. Di solito, la misura sull’operato del nuovo presidente viene presa sui primi 100 giorni di mandato e, forse, tanto più nel caso di Barack Hussein Obama, di cui si era soliti sottolineare la relativa inesperienza politica, ci si sarebbe potuto attendere una simile misura valutativa. Invece, fin dai primi 10 giorni (quelli osservabili nel momento in cui queste note vengono scritte), Obama ha segnato in modo inequivoco la direzione del suo mandato. In modo scientifico e coerente ha dato seguito con precisi atti di governo e iniziative politiche alle idee fondamentali con le quali ha caratterizzato la sua campagna elettorale. Lo ha fatto con rigore e tecnicismo da esperto uomo di governo, dando al contempo chiari messaggi politici e culturali alla nazione, senza tatticismi e timori reverenziali verso gruppi di potere; una cifra politica oggi finanche inconcepibile nella palude della politica italiana. Obama ha chiaramente scelto la strada di demolire l’esperienza dei due mandati di George W.Bush non attraverso un attacco frontale al presidente repubblicano fino all’istituzione di una commissione d’inchiesta ufficiale sul suo operato (come pure chiedevano maitre a penser come Paul Krugman, v. “la Repubblica”, 20.1.2009) che avrebbe necessariamente concentrato l’attenzione sul passato, bensì mediante atti concreti, scelte normative e messaggi politici che – senza quasi mai nominare Bush – stanno sradicando le fondamenta culturali dell’egemonia repubblicana e reazionaria dell’ultimo decennio. Una presidenza “basata sui fatti”, dice il neo presidente, e le prime mosse lo hanno dimostrato.
Gli executive orders, cioè gli atti esecutivi del Presidente, e i Memorandum for the heads of executive departments and agencies, cioè gli atti di indirizzo del Presidente nei confronti dei Dipartimenti e delle Agenzie dell’Esecutivo, dei primi 10 giorni segnano un percorso chiaro della nuova Presidenza capace di parlare di rinnovamento all’America e al mondo.
Obama apre il suo mandato – dopo le telefonate con Abu Mazen, Olmert, Mubarak e  il re di Giordania, Abdallah – sulla politica internazionale e in particolare sulla crisi israelo-palestinese, dopo le critiche al suo silenzio nella fase di transizione verso la presidenza, con una straordinaria intervista alla televisione Al Arabiya, segnata dall’attitudine all’ascolto, al riconoscimento, al rispetto reciproco e soprattutto al dialogo fra Occidente e mondo islamico, del quale il nuovo presidente si fa mediatore e interprete. Una inversione a 180° rispetto alla logica amico-nemico che aveva caratterizzato l’epoca Bush, ma anche rispetto alla visione del conflitto palestinese-israeliano rispetto al quale le precedenti Amministrazioni USA avevano avuto un atteggiamento quasi paternalistico, quando gli USA si ergevano a “buon pastore” che avrebbe indicato la via democratica alla pacificazione e consideravano il conflitto israelo-palestinese una sorta di vicenda isolata avulsa dal suo contesto geopolitico. Obama, all’opposto, dichiara che solo israeliani e palestinesi sanno cosa è meglio per loro e si appella ad un realismo delle due parti che individui una possibile uscita dal vicolo senza sfondo cui ha portato la politica estremista di entrambi. Soprattutto dice che è impossibile gestire la crisi israelo-palestinese “senza tenere conto di quello che succede in Siria, Iraq, Libano, Afghanistan e Pakistan. Sono questioni collegate”. “Giudicatemi dalle mie azioni”, dice e l’azione diplomatica e il messaggio politico sono preceduti da un atto di indirizzo il 27 Gennaio per il Segretario di Stato Hillary Rodham Clinton, per sostenere le necessità urgenti della popolazione immigrata e rifugiata di Gaza, con il quale vengono stanziati 20,3 milioni di dollari per assistenza umanitaria alla popolazione di Gaza, rifugiati o migranti.

I diritti umani sono per tutti
Tutto si tiene nella visione e nell’agenda di Obama e così quello che è senz’altro un messaggio rivolto al mondo mussulmano, la chiusura di Guantanamo, si trasforma anche in un tema di politica interna e di indirizzo generale sulla questione dei diritti umani. Con l’executive order per la chiusura di Guantanamo, Obama dice al mondo intero, ma prima di tutto al suo paese, che i diritti umani sono per tutti e che nessun paese può, in nome di una supposta superiorità culturale o di civiltà giuridica, essere sollevato da seguire il diritto internazionale che ha trovato il suo apogeo nella Dichiarazione Universale del 1948 e in tutta una lunga serie di successive norme giuridiche attuative. L’executive order parte dal presupposto che negli ultimi 7 anni, circa 800 persone – mai riconosciute come combattenti nemici – sono state detenute quindi impropriamente in una base navale che non era né poteva essere per legge una prigione regolare, smentendo così, in un solo colpo, tutta la politica di Bush. Ma l’atto presidenziale non si limita semplicemente a chiudere Guantanamo, giacché se non venissero definite le posizioni individuali dei detenuti non sarebbero soddisfatti gli “interessi di sicurezza nazionale e di politica internazionale degli Stati Uniti e gli interessi della giustizia” che, significativamente, sono l’orizzonte che guida tutto l’atto. Così l’executive order definisce in modo puntuale le procedure per valutare e definire le posizioni di ciascuno dei detenuti di Guantanamo, in primo luogo sottraendone la giurisdizione al solo ambito militare e insediando una commissione guidata dall’Avvocatura Generale di revisione delle posizioni individuali e affidandole un compito chiaramente definito e sostenuto da precisi indirizzi politici: una volta ricomposte tutte le informazioni sui singoli casi, la commissione procederà a verificare in primo luogo la possibilità di liberazione o trasferimento dei prigionieri; per i rimanenti che fossero indiziati di aver commesso reati si dovrà subito dar corso ai processi, ricordando che tutti gli individui detenuti a Guantanamo devono godere del mandato dell’habeas corpus, cioè della procedura a tutela della libertà personale contro la detenzione arbitraria. Nel frattempo nessuna persona dovrà essere detenuta in condizioni contrarie alle leggi in vigore, compreso la Convenzione di Ginevra (una verifica in tal senso deve essere compiuta entro 30 giorni dal Segretario della Difesa che deve immediatamente correggere le eventuali storture); così come vengono fermati tutti i processi davanti a Tribunali Militari durante questa attività di revisione compiuta dalla apposita commissione. Nel quadro di questa procedura, l’executive order può così dare ordine di chiudere Guantanamo entro 1 anno e se, a quell’epoca, vi saranno ancora persone detenute nella base navale, esse saranno rimpatriate, liberate, trasferite in altri paesi, oppure trasferite in prigioni americane in base alle leggi statunitensi. Un’azione fondata su solidi principi di civiltà giuridica e al contempo realisticamente orchestrata per affrontare gli aspetti giudiziari e organizzativi dello smantellamento di una non-prigione come Guantanamo. Parallelamente, Obama emana un altro executive order che modifica le modalità e le condizioni per le politiche detentive, giudiziarie, di trasferimento e di liberazione di persone arrestate in azioni di controterrorismo, creando una apposita Task Force, presieduta dall’avvocatura Generale insieme al Segretario della Difesa e composta dagli stessi rappresentanti della commissione per Guantanamo. La Task Force, che disporrà di personale in forza alle diverse agenzie o Dipartimenti dell’Amministrazione, avrà il compito di operare una revisione completa delle modalità legali per l’arresto, la detenzione, il processo, il trasferimento, la liberazione per le persone arrestate in occasione di conflitti armati o di azioni di controterrorismo, producendo un rapporto al Presidente entro 180 giorni. La Task Force è significativamente messa sotto il duplice ombrello del Segretario della Difesa e dell’Avvocatura Generale e dovrà avere il supporto del Dipartimento della Giustizia, con l’evidente intento di sottrarre alla sola giurisdizione militare la gestione di situazioni del genere per evitare che aberrazioni come quelle di Guantanamo possano ripetersi. Analoghe finalità “preventive” sono sottese all’executive order (22 gennaio 2009) relativo ad assicurare la regolarità degli interrogatori dal punto di vista dei diritti umani, dell’integrità della persona e delle garanzie stabilite dalla legge.

“La luce del sole è il miglior disinfettante”
Fatti e coerenza, non ideologia e manicheismo; tutela attiva degli interessi generali e non degli interessi privati dei lobbysti; una Amministrazione aperta, dialogante e trasparente, senza opacità e segreti: in questa direzione Obama, nei suoi primi 10 giorni emana atti significativi.
Con due specifici atti di indirizzo (Memorandum), Obama imposta la sua politica di responsabilità e trasparenza. Il primo dà mandato all’Avvocatura Generale di produrre nuove linee-guida per l’applicazione del Freedom of Information Act, ricordando le parole del giudice Louis Brandeis (“la luce del sole è il miglior disinfettante”), secondo il principio per cui, in casi dubbi, l’apertura deve sempre prevalere. “Il Governo non deve mantenere segrete le informazioni solo perché pubblici ufficiali potrebbero essere imbarazzati dalla loro pubblicità, perché errori e fallimenti possono essere svelati o a causa di astratte paure. La segretezza degli atti non può essere giustificata dalla volontà di proteggere interessi personali dei componenti del Governo alle spese di coloro che essi sono lì per servire”. L’indirizzo presidenziale è che tutte le agenzie devono conformare la loro azione alla opzione della pubblicità degli atti e alla promozione attiva dell’informazione, a prescindere dalle richieste dei cittadini. L’altro memorandum si intitola “Trasparenza e apertura del Governo” e si fonda sull’obiettivo di ricostruire la fiducia pubblica stabilendo un sistema di trasparenza, partecipazione pubblica e collaborazione fra Governo e cittadini, nonché sulla convinzione che l’apertura rafforzerà la democrazia e promuoverà l’efficienza e l’efficacia del Governo. Così le parole d’ordine di trasparenza, partecipazione e cooperazione dovranno essere trasformate entro 120 gironi in precise direttive dal responsabile dell’Ufficio per le Tecnologie, in coordinamento con il direttore del potentissimo Ufficio per il Bilancio e la Gestione (Office of Management and Budget) che avrà la responsabilità di dare istruzioni ai Dipartimenti e alle Agenzie dell’Esecutivo per implementare tali direttive. Ma la trasparenza riguarda, evidentemente, in primo luogo la Presidenza che con Bush ha toccato il fondo dell’opacità, segretezza e violazione dei diritti dei cittadini sotto questo profilo. Per questo Obama emana un executive order (21.1.2009) per regolare, nel senso dell’apertura, il passaggio di informazioni e dati conservati negli archivi federali fra il Presidente uscente e quello appena eletto.
Ancora in questo solco si muove l’executive order relativo ai comportamenti dei funzionari pubblici secondo un codice etico teso appunto a garantire trasparenza della pubblica amministrazione, separazione degli interessi privati da quelli pubblici ed efficienza nell’azione dell’Esecutivo. L’atto, intitolato Impegni etici per il personale dell’Esecutivo ha qualcosa da insegnarci sul tema del rapporto etica-politica; in primo luogo che esso non è il terreno della ripetizione vuota di formule senza sostanza, bensì quello dell’azione concreta di governo. L’Executive Order di Obama si fonda su poche, chiare e impegnative previsioni:
– i dipendenti pubblici non accetteranno alcun regalo dai lobbysti durante il proprio mandato;
– essi non parteciperanno, per 2 anni, ad alcun incontro o iniziativa che coinvolga soggetti privati o clienti direttamente o indirettamente collegati al loro precedente impiego;
– se essi sono stati, nei 2 anni precedenti l’inizio del mandato nell’Amministrazione, registrati come lobbysti, non potranno per 2 anni occuparsi della materia oggetto di tale attività di lobby o essere impiegato in nessuna Agenzia dell’Esecutivo sulla quale hanno fatto lobby;
– quando lasceranno l’incarico non potranno fare attività di lobby verso quelle Agenzie dell’Esecutivo per le quali hanno lavorato.
– nella scelta di collaboratori e altro personale, si atterranno esclusivamente a criteri di competenza ed esperienza.
Inoltre, conviene sottolineare che questi impegni devono aiutare non solo a prevenire la violazione delle leggi, ma anche a dare l’immagine di una Pubblica Amministrazione imparziale e indipendente.
Il principio di responsabilità
Principi che improntano l’azione della nuova Amministrazione USA nell’affrontare la crisi economica e sociale. Il Piano da circa 800 miliardi di $ che Obama ha presentato al Congresso non è un mero piano di spesa a breve termine, bensì una strategia di investimenti economici a lungo termine in aree come le energie alternative, sanità e formazione. Obama, nel presentare il piano lo scorso 4 febbraio, pone al centro il principio di responsabilità che riguarda la politica, ma anche il mondo finanziario del quale segnala la necessità di un recupero di credibilità, annunciando nuove strategie per rimettere in moto il credito che il Segretario del tesoro Geithner presenterà. E, di nuovo, non si limita ad individuare le responsabilità di quel sistema, bensì annuncia vincoli precisi per le banche e gli istituti finanziari beneficiari di aiuti pubblici consistenti in un tetto massimo di 500.000 $ ai premi per i propri dirigenti, nella trasformazione degli ulteriori premi in obbligazioni che non potranno essere pagati fin quando i risparmiatori non saranno ripagati delle loro perdite, nell’obbligo a rendere pubblici e a giustificare benefici e premi accordati ai propri dirigenti.
Analogamente è il principio di responsabilità che sta alla base dei diversi atti che Obama ha emanato per fronteggiare la crisi sociale: l’executive order che garantisce diritti e limita la precarietà contrattuale per i lavoratori di imprese che ottengono commesse dal Governo federale (30 gennaio 2009); il memorandum per il Segretario della Sanità e Servizi Sociali che lo impegna a eliminare i vincoli posti agli Stati ad abbassare il livello dei requisiti per consentire alle famiglie povere l’accesso ai finanziamenti del Programma Federale per la Salute dei Bambini (State Children’s Health Insurance Program); l’executive order che consente – secondo una corretta interpretazione del principio di sussidiarietà orizzontale – alle associazioni operanti nel sociale di promuovere progetti di integrazione sociale di comunità in partnership con i Governi Federale, statali e locali e istituisce un Consiglio consultivo per il partenariato di comunità  (Advisory Council for Faith-Based and Neighborhood Partnership), composta da 25 rappresentanti della società civile e delle ONG, con il compito di identificare le migliori pratiche nella realizzazione di servizi sociali alla popolazione, valutare le necessità di sviluppare e coordinare le politiche pubbliche dei servizi sociali di comunità, avanzare proposte al Presidente.
Del resto, anche alla base degli atti della nuova Amministrazione USA sull’ambiente, l’energia e i cambiamenti climatici è posto il tema della responsabilità, quella della generazione presente e oggi al potere nella maggiore potenza occidentale nei riguardi delle generazioni future. La consapevolezza della complessità delle dinamiche globali che caratterizza la visione di Obama, non gli fanno velo rispetto alla determinazione e alla coerenza nell’assumere atti e indirizzi che pure mostra una visione strategica di lunga portata. Sta qui, forse, la virata più significativa rispetto ai due mandati precedenti di Bush, come già ebbe a scrivere “The Economist” nell’editoriale Renewing America: “Bush aveva la semplicistica tendenza di vedere il mondo attraverso lenti ideologiche e partigiane…. ha diviso troppo spesso il mondo fra bene e male… in economia è stato troppo prono a perseguire interessi di breve termine e a sacrificare i beni di lungo periodo”. Obama, all’opposto, nel suo discorso di insediamento, aveva detto della crisi che “la nostra economia è terribilmente indebolita a causa dell’avidità e dell’irresponsabilità di alcuni, ma anche della nostra collettiva incapacità di compiere scelte difficili e di preparare la nazione ad una nuova era”.